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Giulio Marzaioli: Sul libro “Plis de pensée” di Flavio Ermini recensito da Alessandro De Francesco
Flavio Ermini e Ida Travi
Flavio Ermini e Ida Travi 
04 Aprile 2008
 

Per l’importanza riconosciuta ai Commenti che arricchiscono l’orizzonte dell’interpretazione letteraria sui libri di poeti contemporanei pubblicati di recente, per l’amicizia che mi lega a Flavio Ermini, per la simpatia che nutro verso l’avventura sperimentalpoetica di Alessandro De Francesco, ospito in prima il commento di Giulio Marzaioli. Invitandolo nel contempo (come è scelta abituale di Tellusfolio-Critica della Cultura verso la produzione di lettori-navigatori interessanti per la Redazione), vista la capacità che ha di entrare nelle nervature di un testo poetico, ad esercitare la sua lente con altri contributi in  questo giornale-rivistaweb.

   

                                                              Claudio Di Scalzo

                                                              discalzo@alice.it

  

  

  

 Attorno a Plis de pensée di Flavio Ermini

  

Tra i vari e pertinenti passaggi della recensione di Alessandro De Francesco, trovo particolarmente interessante quanto puntualizzato a proposito del “genere” dei testi-frammenti di Ermini, ovvero un non-genere che mal si colloca nel solo genere poesia o nel solo genere prosa, comprendendoli entrambi. Credo che l’opera di Ermini possa essere messa in controluce rispetto alla finestra che, negli anni, la rivista Anterem ha aperto su esperienze di ricerca che non fossero caratterizzate soltanto dal mero azzardo formale, ma anche da un’interrogazione costante alla e con la parola. Soprattutto in poesia è necessario porsi il problema della forma e qualsiasi sia la soluzione, in linea con formule già conosciute piuttosto che nel solco di una propria definizione, occorre che questa sia “propria” all’esito di un attraversamento. Così, restituendo a ciascun codice e a ciascuna forma la sua peculiarità, credo sia opportuno riconoscere a ciascuno il proprio codice e la propria forma. Sicuramente la “forma” prescelta da Flavio Ermini porta con sé i segni dell’attraversamento di forme altre, e tali segni arricchiscono l’”ascolto” del lettore come tracce di percorsi di cui, senza volere, rimane memoria nel e “attraverso” il proprio, che solo di questo si può dare conto (non esistendo la possibilità di dire qualcosa di “nuovo” - cito lo stesso Ermini da una recente conversazione). Ecco che, per quanto lontano da qualsiasi riferimento, il solo fatto di avere avuto esperienza di differenti linguaggi (differenti rispetto al proprio) colloca nella storia qualsiasi voce che, altrimenti, resterebbe a-temporale e quindi non permanente. Rendere conto di una conoscenza, di aver attraversato.

 

Questo mi sembra che faccia Ermini, in una commistione di riflessione filosofica e scarto percettivo che ben si iscrive (viene scritta) nel frammento non-in-versi, che tuttavia non può dirsi non-poesia o prosa in prosa, come, mi corregga De Francesco se sbaglio, Gleize è solito definire i propri testi. Complimenti per la sfida che vede questa storia a confronto con una storia, quella francese più recente, in cui tanti percorsi di-versi sono la prova di una differenziazione che - nonsotante la presenza di agguerrite scuole di poetica - arrichisce un panorama la cui dinamicità è alimentata anche da un dialogo effettivamente praticato tra discipline, linguaggi e, per l’appunto, generi.

  

 

                                          Giulio Marzaioli

                                       gmarzaioli@yahoo.it

 


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