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(R)Esistenze il passaggio della staffetta. Donne e Resistenza. Morgana Edizioni Firenze
05 Aprile 2008
 

Con i tempi che corrono, in campagna elettorale, dove giovani leghisti, in una città dell’Emilia, sfregiano il tricolore irridendolo sulla scorta di un'ulteriore presa in giro a “Bella Ciao”; con i fascisti nostalgici dell’olio di ricino, decrepiti ma bastonatori nelle ossa nere; con i fascisti mediatici che esaltano i plasticati corpi alla Dolce & Gabbana, depilati anche di idee, esaltanti la perfezione del corpo bello razzisticamente inteso,… serve accendere la luce, su questo scaffale, verso un libro uscito alcuni anni fa, ma prezioso molto prezioso, pubblicato dalla Morgana Edizioni di Firenze nella collana Lunaris. L'intento di questo libro, come ricordato dalle curatrici, Laura Fantone e Ippolita Franciosi, è molto semplice: quello di legare a sessanta anni dalla Resistenza e dalla Liberazione un'ideale staffetta fra le donne che allora combatterono il fascismo e il nazismo per la libertà dell'Italia e le nuove generazioni. Le testimonianze sono tutte molto istruttive e anche narrative, realisticamente narrative. Il privato e il politico viene intrecciato. E questo, credo, soltanto le donne sanno farlo. In maniera più efficace degli uomini scrittori o politici. Compare anche la testimonianza di una donna straordinaria, mia amica, Teresa Mattei, la partigiana che anni fa i revisionisti, parafascisti italiani, hanno coperto di insulti sui giornali dopo che ha rivelato la sua partecipazione con i GAP fiorentini all'attentato contro il filosofo del fascismo Giovanni Gentile. Pistolettate sacrosante a un sostenitore di Hitler e del razzismo fascista mussoliniano.

 

Esempio tutto italiano, di certi ineffabili intellettuali nostrani, pronti a trattare come violenta e cattiva maestra una partigiana a cui era dato vedere il fratello torturato, e suicida in carcere in via Tasso, lo ha ricordato qualcuno?, per non parlare e rivelare i nomi dei compagni; una giovane partigiana a cui era dato vedere i massacrati e i fucilati nelle vie di Firenze. Queste le epiche gesta delle camicie nere di Mussolini e delle gloriose SS di Hitler.

A volte mi chiedo: ma se non ci fossero stati i Vittorini, Le Viganò, i Pavese, i Moravia, i Calvino, questi “pensatori” - hanno anche la passione del romanzo alcuni! - avrebbero scritto forse dei romanzi sulle forze dell'Asse che contrastavano gli Alleati, tutto jazz e impronunciabili abitudini sessuali, per giunta uniti nell'antifascismo agli italiani partigiani intrisi di perverse idee d'uguaglianza?

Per fortuna poche pagine degli scrittori citati, assieme alle testimonianze di partigiane e costituenti, come Teresa Mattei, la più giovane in quell'assemblea che tutti vogliono dimenticare, compresi tanti esponenti della nostra smemorata sinistra, terrà a bada - per sempre - questi revisionisti sul balconcino di carta e televisivo a modulare il loro volgare “mene frego” contro la Storia. E se non bastassero, casomai, ci sono tante lapidi disseminate ovunque dove chi sa leggere può capire chi erano le vittime e chi i carnefici.

In Germania, moderati e sinistra, assieme, hanno inaugurato il memoriale per le vittime del nazifascismo hitleriano, nel centro di Berlino; noi inauguriamo sceneggiati televisivi su Edda Ciano al centro dell'ora televisiva di punta, e poi trasmissioni con storici che disquisiscono sulla potenza sessuale del Duce, di Claretta Petacci, e di altri mostri fucilatori. Mi sembra ci sia una certa differenza.

 

Teresa Mattei la conobbi e la frequentai quando abitavamo a pochi chilometri di distanza a Casciana Terme, negli anni novanta, in Toscana. Custodisco il racconto sul suo impegno anche contro il totalitarismo stalinista come un libro non scritto prezioso. Insegnamento, al giovane che fui, che le forze migliori della Resistenza e del comunismo italiano erano anche antistalinisti e antitotalitari. Purtroppo gente come la Mattei non aveva seguito né nel PCI né nel PSI. E ora gli stalinisti di allora le fanno lezioni di liberalismo. Rivoltante.

Sia questo anche l'omaggio di un suo lontano amico alle colline dove abita e dove spesso vorrei tornare per sentire la sua voce.

 

Qui di seguito la testimonianza di Teresa Mattei estrapolata dal libro in esergo. Ovviamente tutti gli interventi sono importanti, e il lettore acquistando il libro potrà sincerarsene; la mia scelta verso l'esempio di Teresa Mattei è motivato e dall'amicizia e dal suo impegno, successivo alla Liberazione, per una scuola libera e una nuova pedagogia umanistica.

Credo di “saper insegnare” in modo diverso per la lezione appresa frequentando gli asili e le scuole organizzate dalla Mattei sulle colline pisane. (Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it)

 

 

 

PUNTO E A CAPO: INTERVISTA A TERESA MATTEI

 

Teresa Mattei partecipò all’Assemblea Costituente all’età di 25 anni. Già nel ’43 creò a Firenze un comitato di studenti antifascisti e in seguito contribuì alla fondazione dei Gruppi di Difesa della Donna. Nel 2001 seguì le proteste contro G8 di Genova e ne denunciò i comportamenti antidemocratici.

Teresa Mattei, che ci ha accolto in modo affettuoso e informale come una nonna, ha parlato come donna della Resistenza di ieri e di oggi. Dal nostro dialogo, in un freddo pomeriggio invernale, sono emersi frammenti di vita di giovani donne (e non solo) che hanno visto la guerra e i suoi orrori.

Dopo l’incontro con Teresa, abbiamo colto il suo invito a parlare con Giulia Nocchi e altre donne che hanno operato scelte rivoluzionarie senza mai essere famose; gente “normalmente” eroica, che ancora oggi sente il dovere civile di lottare affinché i valori democratici della Costituzione siano rispettati. Uno dei primi suggerimenti che Teresa Mattei ci ha dato, riguarda l’idea delle donne partigiane e dei loro limiti, che escludono spesso la possibilità di valorizzare l’aiuto di molte donne che non erano “speciali”, ma che hanno nutrito e reso possibile la resistenza antifascista. A partire dalla sua visione abbiamo trasformato il progetto iniziale cercando di seguire il filo della semplicità di relazioni e delle amicizie tra donne della provincia di Pisa. Donne speciali e spontanee, le cui parole ci hanno colpito e cambiato per sempre.

 

LA RESISTENZA

Com’era la Resistenza per le donne partigiane? Potresti raccontarci cosa significava essere una partigiana?

Molte siamo state, in un certo senso, partigiane, perché essere partigiane era già un modo di distinguersi: c’era dentro il mondo dell’eroismo, della guerra, della violenza. A me, che ho fatto la partigiana e la gappista, non è che piacesse molto andare in giro a far saltare i treni o queste cose. Invece la continua fedeltà istintiva a una linea che hanno avuto tutte le donne era la resistenza, perché loro hanno svuotato gli armadi per vestire i soldati che disertavano e scappavano a casa, hanno diviso una patata a metà con chi aveva fame, hanno rischiato la vita tenendo in soffitta profughi o ebrei. Era quella, secondo me, la Resistenza vera. Bisognerebbe interpellare tutte le donne, quelle anziane che si ricordano cosa è stata la guerra, cosa è stato il fascismo…

Anche la guerra partigiana è stata importante, ma è stata una su mille, una su diecimila che ha potuto fare la partigiana, nel senso che storicamente è stato indicato.

Le donne sono sempre concrete, sono “orizzontali” e quindi, anche in quelle circostanze gravi, si tiravano su le maniche e dicevano: « C’è da fare questo e si fa ». Anche le staffette (sì, le chiamavano staffette): «Tu, che sei una donna, vai là a quel paese e dai questa missiva, ricordatela bene!» perché non si poteva scrivere messaggi per timore di intercettazioni. Queste erano le staffette. Io, in bicicletta, venivo da Firenze e andavo fino a Viareggio a portare gli ordini perché ero una ragazza, quindi passavo più inosservata rispetto a un uomo…

Durante la Resistenza, i Gruppi di Difesa della Donna aiutavano anche i partigiani. Abbiamo organizzato gli scioperi del marzo del ’43. Io ho aiutato nell’organizzare quelli a Firenze e a Empoli da dove poi, purtroppo, hanno portato tutti a Mauthausen, l’8 marzo.

 

Teresa Mattei non ha un tono glorioso mentre racconta questi episodi, né decanta le azioni audaci e pericolose a cui ha partecipato. Con uno sguardo pieno di rammarico, commenta eloquente l’ultima frase, sulla deportazione delle donne scioperanti. Un altro tema che intendevamo esplorare era quello delle relazioni tra donne, sia tra donne partigiane che tra amiche e famigliari, soprattutto in relazione alla solidarietà e alla partecipazione alle scelte politiche di Teresa Mattei. Chiedendole di suggerirci altre donne che ha conosciuto e stima dai tempi della seconda guerra mondiale, non ha scelto di parlare di personaggi politici celebri o storicamente note. Al contrario, ci ha caldamente suggerito di andare a conoscere una sua “vicina”, una vecchia amica, Giulia Nocchi.

Giulia Nocchi è una mia amica… era una contadina in origine che poi è diventata una dirigente del Partito Comunista. Ha scritto anche un bel libro [Una donna fa politica, ndr], anzi, ne ha scritti diversi, anche se era quasi analfabeta lei! È molto, molto brava: si è occupata dei grossi movimenti delle donne contadine nelle Marche e a Matera. Ha la mia età, ha 82 anni. Lei scrive dei bellissimi articoletti sul Vernacoliere.

 

La cosa ci stupisce e ci fa sorridere ma, come scopriremo incontrando Giulia Nocchi, Teresa Mattei ha ragione. Giulia Nocchi è piena di vita e di senso dell’umorismo, malgrado la sua condizione di malata terminale.

Seguendo il filo della memoria, chiediamo a Teresa di raccontarci di altre donne della zona attive nella Resistenza e nel dopoguerra, per capire come è stata vissuta l’esperienza della Resistenza dalle donne, e le successive relazioni tra di esse. Quali erano i legami tra le partigiane e i partigiani? Di tipo parentale, gerarchico o tra pari?

Ideale era il marito… il fratello di Unica si chiamava Ateo, morto nella guerra partigiana, e poi la figlia adottata si chiamava Speranza. Erano cresciuti in Francia, perché di famiglie antifasciste perseguitate che erano emigrate dalla Toscano in Francia. Purtroppo oggi sono morti tutti… Unica era la mia referente durante la resistenza, periodo in cui era venuta a Firenze; suo marito Ideale Guelfi è stato uno dei fondatori del Partito Comunista a Livorno, anche se loro erano pisani di origine, ma per non essere riconosciuti il Partito li aveva mandati a Firenze. (Il ruolo e la stima per Ideale Guelfi emerge anche nell’intervista con Carla Guelfi, che lo ricorda soprattutto come primo sindaco di Cascina nel ’44, nominato da C.L.N.)

E poi c’erano due sorelle straordinarie, anche se una di loro è già morta, Sparta Trivella e Lea, invece, che ha 84 anni, va sempre a nuotare. Lei fa anche l’Università delle Donne a Pesaro. Loro erano figlie di fuoriusciti italiani in Francia, e hanno scritto ognuna un libro: Sono contenta di essere nata femmina e La mia vita vissuta. Anche loro hanno fatto la guerra partigiana. Avevano un’altra sorella, Atene, emigrata in Argentina. Sparta ha lavorato nel Comitato internazionale delle donne, a Berlino.

 

IL DOPOGUERRA

Nella letteratura e negli eventi pubblici a cui assistiamo, spesso si celebrano eventi, battaglie e momenti storici. È importante, dal punto di vista della vita quotidiana, che è da sempre l’ambito destinato alle donne, capire cosa è successo alla vita quotidiana dopo la guerra. È continuata la solidarietà? Come si è evoluto l’impegno politico? Quali valori e capacità acquisite negli intensi anni di resistenza sono rimasti importanti oggi? Dopo l’esperienza della Resistenza hai avuto l’esperienza unica di partecipare alla Costituente. Come si è trasformata nel tempo la tua vita politica?

Prima ho fatto vita politica e ho fatto la deputata nella Costituente, e poi, alla fine, sono stata emarginata completamente perché avevo criticato i metodi stalinisti. Dopo il fascismo e la guerra si pensava che il mondo potesse divenire migliore. Io criticavo certe cose del Partito Comunista e mi hanno subito radiata dal partito, e da allora sono sempre stata indipendente perché ho capito che non mi andava bene una formazione politica che mi imponeva di pensare solo in un certo modo. Perciò non credo nemmeno più a questi movimenti… i partiti politici sono finiti, ci sono le radici e i germi di qualche movimento che potrebbero costituire questo, altre aggregazioni, ma io credo molto di più alle cose piccole e non alla politica in senso istituzionale, con titoli ufficiali e luoghi di potere nazionale. Credo piuttosto che dovrebbero sorgere in ogni Comune delle iniziative, cioè che le comunità siano responsabili della gestione sociale e della soluzione dei problemi al posto degli enti burocratici responsabili, perché la burocrazia uccide l’umanità e la partecipazione.

 

Nilde Jotti ha scritto nel 1980: «Alle donne dell’antifascismo e della Resistenza è toccato un compito difficile e grande, che è servito non solo alla libertà del nostro paese ma anche ad andare avanti sulla strada dell’emancipazione della donna».

Nilde Iotti ha avuto ruoli molto importanti, ma si è gradualmente distaccata dai problemi concreti della vita delle donne e della famiglia. Io dieci anni fa le ho chiesto (dopo che era gia stata Presidente della Camera per due volte): «Nilde, lo sai quanto costa un chilo di pane? Quanta carne può comprare una massaia con 150 lire?» e lei rispose di no, che non lo sapeva proprio. E allora le chiesi: «Come puoi rappresentare le donne italiane?» Queste frasi mi ricordano Berlusconi quando si rivolge alle massaie e dice che sono le massaie che devono stare attente a scegliere; io mi immagino una massaia fornita di macchina che va da un paesino all’altro per vedere dove costano un pochino meno i carciofi o gli spinaci. È una cosa assurda, offensiva per le donne.

In breve, sono tornata alla base, mi hanno espulso dal Partito Comunista; ma, da allora, sono andata a scuola dalle donne e ho imparato tantissimo perché ho perso tutta la teoria e ho imparato la pratica della vita e mi sono sentita vicina ai problemi della“base”(che vorrebbe dire “il popolo”) ed è cosi che bisogna fare. È meglio unire a quello che si è studiato anche quello che si è capito con la pratica della vita, anche ascoltando gli altri. Il cervello umano deve lavorare insieme al cuore in un certo modo e non essere determinato da altri, trovare dei consensi sì, ma in un’altra forma. Per questo provo grande gioia di fronte alle comunità indie delle montagne andine dove le donne hanno un’importanza enorme e che sono straordinarie: loro difendono la loro cultura e la loro biodiversità, il loro modo di essere che è completamente diverso da tutti gli altri. La biodiversità è la prima cosa da difendere.

 

Teresa Mattei ha affermato in una frase emblematica che non si deve far politica per governare il mondo ma per spingere gli uomini (e le donne) a governarsi da soli. Le sue risposte confermano questa visione del mondo, anche negli aneddoti che racconta. In particolare, il fatto che lei abbia ‘inventato’ la mimosa come simbolo della festa della donna, dicendo che era importante scegliere un fiore comune, che tutte potessero permettersi, ma dargli una veste interessante, e così disse che la mimosa rappresentava la donna in un’antica leggenda cinese, cosa che ne segnò il successo.

Si, ho inventato io il simbolo della mimosa. L’ho scelta perché era un fiore povero che si trovava dappertutto in primavera, e non occorreva comprarlo, mentre i socialisti volevano proporre orchidee e violette, sul modello tedesco. Purtroppo oggi persino la mimosa è diventata commerciale, ma comunque è rimasto un simbolo. Quando scoppiò la guerra in Bosnia, per l’8 marzo,al posto delle mimose abbiamo fatto un nastrino giallo per raccogliere soldi per le donne bosniache; la Coop ci ha aiutato e per ogni scontrino ci ha dato mille lire così abbiamo raccolto 10 milioni di lire e abbiamo comprato una radio che permettesse ai bambini dispersi - con la loro voce - di ritrovare le loro mamme. La radio diventò l’unica maniera che avevano di ritrovarsi. È da lì che ci è venuta l’idea di Radio Bambina perché la parola, la voce, è la prima comunicazione.

Radio Bambina trasmetteva da Ponsacco ma anche da Firenze sulle frequenze di radio libere. Ha trasmesso con tante radio… si è lavorato con migliaia di bambini, da tutte le parti, qui soprattutto nel pisano e nei dintorni. I bambini volevano fare radio perché la parola ti dà anche un senso di responsabilità: se tu dici una cosa, come diceva Don Milani, ti senti responsabile, hai un progetto da comunicare. I bambini crescono bene se hanno dei progetti, ma non glieli devi dare tu, devono venir fuori da loro, tu puoi solo aiutarli.

Il fine di Radio Bambina è cercare di creare emozioni. Un bambino ha detto: «Io con la radio sono più ricco perché posso anche fare un viaggio sulla luna». Aveva capito la differenza con la televisione. Infatti il nostro slogan di Radio Bambina era “dall’immagine all’immaginazione”, “dalla parola il pensiero”. In principio erat verbum, è evangelico ed è molto importante filosoficamente. La parola è quella che crea dentro all’’uomo la consapevolezza, è il mezzo di comunicazione più importante e l’altra cosa importante è l’emozione. L’emozione deriva da una certa atmosfera, dal suono, dalla voce, che non è solo la parola; la voce è anche timbro, è un’emozione straordinaria e noi tutte queste cose le stiamo perdendo, invece è molto importante arrivare a capire questo.

Voi che siete giovani donne lo dovete proprio sentire in modo straordinario perché siete voi che potete salvare ancora il mondo da questa rovina, cioè dire veramente rincominciamo tutto da capo, punto e a capo. E, a capo, per prima cosa ci sono i bambini.

 

«Se nella società c’è comunicazione non può insediarsi il fascismo». Questa affermazione di Teresa Mattei, che ci aveva colpito profondamente leggendola in un’altra intervista, proprio mentre si discuteva la Legge Gasparri, è il fulcro su cui Teresa sembra aver improntato tante attività e progetti importanti nella sua vita. Durante la conversazione emerge fortemente il tema della libertà di espressione e della pedagogia, l’importanza di imparare a essere responsabili e liberi, attraverso lo scambio con le generazione precedenti, con chi vive vicino a noi, piuttosto che una democrazia e un’educazione affidata a modelli generali come la scuola e l’informazione mediata dalle istituzioni.

L’unica cosa in cui credo è la comunicazione, e non l’informazione: la comunicazione fra gli uomini è l’unico modo, direi, di avvicinarsi di più alla realtà, di cercare insieme le vie giuste per vivere meglio e capire gli altri. Ho lavorato con Danilo Dolci che è stato un grande esperto della comunicazione e dal suo insegnamento ho imparato la grande, sostanziale differenza fra il trasmettere e il comunicare. Purtroppo sia la scuola che l’educazione dei più giovani è in gran parte un “trasmettere”. Abbiamo imparato dai bambini a comunicare con loro davvero i bambini capiscono le cose, basta non dargli cattivi esempi… E poi ascoltare gli altri, molto più che parlare, ascoltare. I bambini bisognerebbe ascoltarli, soprattutto, quando stanno in silenzio perché vogliono dire molte cose anche col silenzio. Invece la gente non lo sa. Non puoi intessere un tessuto se non hai la trama e l’ordito, ci vogliono tutte e due.

La capacità di ascolto in una società complessa e multietnica è un tema chiave oggi. L’apertura ai nuovi mezzi di comunicazione, di cui Teresa ci parla, colpisce se pensiamo al fatto che lei è cresciuta in un mondo tecnologicamente molto diverso dal nostro. Se poi coniughiamo l’importanza dei media alla necessità di rinnovare la società partecipando in quanto donne, comuncando attraverso le emozioni, dando voce ai bambini, il suo pensiero di avvicina molto all’idea dell’attivismo mediatico che attraversa i movimenti degli ultimi anni. Teresa Mattei esalta il rapporto personale e il coinvolgimento quotidiano come elementi importantissimi. A partire dal ruolo della famiglia e dei genitori, dall’educazione ai diritti, abbiamo proseguito a domandarle della trasmissione intergenerazione, un tema caro al femminismo contemporaneo e a noi come giovani donne e madri in dialogo con lei.

 

E OGGI?

Qual è il ruolo della famiglia nella trasmissione dei valori, nelle pratiche di resistenza alle ingiustizie di oggi?

Per quanto riguarda la mia famiglia, mio padre era di Torino, mia mamma di Milano. Nel ’33 siamo venuti in Toscana quando mio padre era convinto che sarebbe scoppiata la guerra, dato che lui aveva perso il lavoro: non aveva voluto prendere la tessera del fascio. Avendo sette figli, decisero di venire in Toscana dicendo: «Stiamo a Firenze che è una città che non sarà bombardata, prendiamo una casa con un poderino, in modo che abbiamo da mangiare perché con sette figli sennò…, dove c’è buoni studi…» e abbiamo deciso di stare a Firenze per quella ragione lì. Nella mia vita, devo dire che i miei figli mi hanno contestato interamente (erano abbastanza grandi nel ’68), eh… per forza, sennò come si fa?

(sorride)

 

Strano, perché non eri una mamma tradizionale, no?

Venivamo da genitori bravi ma autoritari, e abbiamo messo al mondo figli molto critici nei nostri confronti, nel ’68 c’è stata una vera e propria rivoluzione culturale dei giovani. Io ho fatto comunque tantissimi errori... non si può evitarli Quando i miei figli hanno compiuto 18 anni ho pensato che dovessero andare fuori di casa, essere indipendenti e responsabili. Ma io stessa ho sbagliato tante cose e ho fatto pagare anche duramente questi eccessi ai miei figli. Ho perso mia figlia, che è stata quella che ha pagato più di tutti.. Non posso sentirmi una madre tanto brava.…

D’altra parte era anche difficile non fare degli errori, uscendo da una famiglia tradizionale, come sono le famiglie abbastanza colte italiane, abbastanza illuminate, e quindi ho pagato anche duramente. Sento che non ho niente da insegnare a nessuno,se non dire la mia esperienza. credo solo nella comunicazione. Però sono orgogliosa di mia nipote che è andata in Venezuela, a Caracas, a girare un video per la tesi di laurea dal titolo “La riconquista degli spazi urbani da parte dei poveri”. Una tesi di architettura molto strana, comunque il suo professore è molto contento. Ha scelto alcune immagini di donne che protestavano nel Maggio del ’68, [mostrando il poster], e mi ricorda lei, perché è una donna giovane, bella, forte. Io amo molto conoscere le donne giovani perché le ritengo in un certo senso più fortunate di noi, dall’altro più piene di problemi perché il mondo è più difficile adesso. Il fascismo di ora è molto più pericoloso e insinuante di quello di allora perché ha la televisione in più. Il fascismo di allora era “libro e moschetto” invece quello di ora è “televisione e benedizione”, anche papale, perché questo Papa, sì, dice anche cose contro la guerra, ma la Chiesa nel suo insieme è di un conservatorismo spaventoso. Oppure mi fa piacere il fatto che tempo fa mi abbia scritto un chimico di Roma per domandarmi notizie di un mio fratello che proprio sessant’anni fa, in questi giorni, è morto in Via Tasso, ucciso dalle torture delle SS. Era un chimico molto bravo, era già uno scienziato straordinario che a 27 anni è stato assassinato. Ho mandato a questo giovane un opuscolo su mio fratello fatto da mia madre ed anche i due librini che ha fatto mio figlio che sta in America Latina, e il cd-rom di Rocco (l’altro mio figlio) sui campi di sterminio. Allora lui mi ha scritto una bella lettera dicendo che si sente questa continuità familiare, che l’esempio conta più dei discorsi.

Per quanto riguarda le famiglia e la continuità dei valori nel tempo, credo che la storia sia un’altra grande cosa che bisognerebbe imparare. È morto ieri (5 Febbraio 2004, ndr) Nuto Revelli che era un mio grande amico. Lui ha ascoltato gli altri, è stato molto bravo, così anche Marco, suo figlio, è molto capace. Ci sono delle famiglie che riescono a innestare sempre sul ramo nuovo qualcosa, soprattutto con l’esempio di vita più che con le parole. Infatti, è pura follia l’idea di proibire ai genitori di portare i bambini ai cortei. Non si può pensare di fare la multa ai genitori che portano i bambini alle manifestazioni. Come si fa a non trasmettere a un figlio quello in cui tu credi sia giusto credere? E allora tutte le processioni e i catechismi e i battesimi, dove li mettiamo? Io non ho mai battezzato i miei figli. Ho lasciato che fatti adulti scegliessero da sé e nessuno si è mai fatto battezzare. Ma io ho sempre ritenuto una grande offesa il fatto che i genitori scelgano queste cose imposte dalla chiesa o da chissà chi. Persino il nome, io credo che bisognerebbe dare un nome provvisorio! Dato che facevo parte dell’ assemblea Costituente, mi sono molto occupata dell’Articolo 3, che è sull’uguaglianza, e dice: “Tutti i cittadini hanno pari dignità, senza differenza di sesso, razza, religione, provenienza”, ho constato che non abbiamo messo l’età. Di conseguenza, insieme al prof. Pizzorusso ho fatto la proposta di aggiungere la parola “età” perché i bambini sono cittadini come tutti gli altri. Questo farebbe riflettere tutti, e farebbe crescere meglio i bambini, i ragazzi, nella responsabilità di partecipi alla sovranità a pieno titolo.

 

Come credi si possa educare i figli alla libertà e alla giustizia? Qual è il ruolo della scuola oggi?

Adesso tolgono tutte le scuoline di campagna e le accentrano in grandi agglomerati. La scuola, invece di dargli le ali per volare, mette le catene addosso ai ragazzini, che invece sarebbero così bravi. Sono contraffatti da questo tipo di scuola, sono deprivati del rispetto per l’esperienza dei vecchi, e del rispetto per quello che possono imparare da soli andando in giro a vedere come lavora il papà o la mamma… sono veramente deprivati. Sono molto più “fortunati” i bambini africani, anche se ne muoiono a migliaia, però stanno con i loro papà e le loro mamme, con loro fanno il mais, vanno nella foresta. E noi invece con i nostri bambini abbiamo sempre meno tempo - più ci sono mezzi veloci per gli uomini, meno tempo c’è - diceva Illich. I bambini impiegano sempre 9 mesi per nascere - e si trovano di botto in un mondo febbrile, con genitori stressati, portati qua e là senza aver tempo di osservare le cose. Crescono, per quanto amati, come polli in batteria, fragili ed affamati di un ambiente che non hanno. La riforma Moratti poi è vergognosa, contravviene a tutte le cose che si sono studiate, da Pestalozzi in poi. Io mi chiedo solo quando i genitori cominceranno davvero a ribellarsi?… Forse il vecchio Carlo Marx aveva ragione: finché non c’è un motivo economico la gente non si muove, e adesso stiamo ancora vivendo il benessere finto di questi ultimi anni, ma sta finendo, direi per fortuna, perché è un falso benessere.

 

La legge Moratti e le riforme attuali tolgono il diritto all’asilo a molti bambini e alle mamme, che cosa ne pensi?

Così come sono conformati oggi, queste istituzioni sono pensate più come un diritto per le donne a portare i bambini all’asilo nido che non un diritto dei bambini ad avere veramente un luogo sociale per loro. Io ho insegnato anche nelle scuole di puericultrici, e abbiamo scoperto che le mamme e i papà non possono entrare negli asili nido perché devono avere la tessera sanitaria. Ma se dormono e mangiano a casa insieme? E abbiamo fatto una piccola rivoluzione, i genitori possono entrare! Quindi il diritto dei bambini è di avere un luogo sociale dove anche i genitori possono sentire la loro responsabilità sociale ed apprendere nuove cose.

Il mondo adesso è pieno di disoccupati perché ci sono quelli che lavorano tutto il giorno e quelli disoccupati; se tutti lavorassero due ore al giorno o alla settimana, come sarebbe giusto, allora non occorrerebbero gli asili nido se non come modello comunitario, cioè luoghi in cui la gente si ritrovi e stia con i propri bambini. La crescita di adulti e piccoli sarebbe immensa!

I vecchi socialisti di Vienna, al principio del ’900, avevano costruito le case popolari: c’era un grande movimento di architettura nuova e gli appartamenti al pian terreno con il giardino venivano dati alle coppie di nonni che tenevano tutti i bambini del casamento; ecco quella era una forma giusta, non capitalistica, di legare tutti alla miglior crescita dei piccoli. I bambini sono degli oggetti, adesso; vengono trasportati con i pulmini di qua di là. I bambini sono come una pianticella: non possono crescere bene se si pensa: “oggi la porto là e poi la riporto qui”. Essi devono avere una loro terra in cui crescere. I paesi, i nonni, la gente hanno il diritto di veder crescere i loro bambini e comunicare con loro e mantenere viva la cultura che li lega. Invece c’è solo la televisione. Abbiamo rovinato tutto.

Adesso ci sono i Baby Parking, un posteggio come per cani e gatti. I bambini invece, hanno un bisogno spasmodico di legami veri dove non c’entri il denaro, dove dovrebbe entrare l’organizzazione e il gesto volontario, invece si fanno pagare gli asilo nido alle famiglie. Dovrebbe essere una cosa molto più semplice, invece che dare dei soldi bisognerebbe dare ai genitori una giornata alla settimana per badare i bambini, e allora imparerebbero anche a far meglio i genitori. Sarebbe un modo nuovo di pagare le tasse! È una società tutta sbagliata. Quindi l’unica cosa da fare sarebbe di cambiarla.

 

Le istituzioni e il controllo dei bambini

Nel 1967 ho iniziato un percorso di comunicazione con il cinema fatto dai bambini a scuola; non i film ma il cinema, cioè l’intera produzione cinematografica, dall’idea iniziale, al soggetto, alla discussione, alla ricerca del fabbisogno, all’ordine di ripresa, al montaggio e alla proiezione finale. Sono otto operazioni fatte tutte dai bambini solo con l’aiuto dei ragazzi più grandi. I film erano in pellicola 16 millimetri: abbiamo fatto più di 40 film, e 4 sono stati scelti al Festival del Cinema di Venezia nel 1968. Poi il Vaticano ha proibito di proiettarli perché diceva che era pericoloso che i bambini potessero esprimersi liberamente. Hai presente il gesto di un prete quando vede un bambino? Gli mette subito la mano sulla testa, lo tocca, è un meccanismo di controllo. Sono sistemi di controllo che hanno un po’ tutti i preti, anche di altre religioni. Non si fidano delle possibilità che ogni uomo ha di poter crescere dentro di se, respirando e pensando più liberamente, lavorando meno tempo e utilizzando il “tempo libero” maggiore se lavora meno ore e meno giorni, per continuare a studiare, crescere misurandosi con gli altri e “pagando le tasse” in modo diverso, occupando le ore in cura della famiglia, dei figli propri o altrui. Il tempo libero non è prendere la macchina e andare al supermercato, come succede ora: i centri commerciali sono gli unici posti dove la gente si ritrova, è spaventoso, sono diventati le nuove piazze. Mentre con il nostro progetto si diceva: la radio può essere la piazza virtuale per i ragazzi, perché i ragazzi non hanno nessun altro posto dove incontrarsi che non sia a pagamento. Poi, per forza che c’è la droga, non hanno altro. L’eroina, diceva un vecchio prete mio amico, è l’espressione massima del consumismo perché costa molto, ti dà una felicità immediata, e non puoi più farne a meno.

 

Anche la lucida critica all’erosione degli spazi urbani, o di spazi pubblici, gratuiti e separati dalla sfera economica ci colpisce. Il tempo e lo spazio nella società del consumo ridefiniscono le relazioni sociali, sopratutti tra i giovani. A partire da questo punto di vitale importanza, proseguiamo la conversazione sui luoghi in cui “si sta bene”, gli spazi “amichevoli”. Infine le poniamo la domanda: quale è un luogo a cui sei particolarmente affezionata?

Io sono molto legata agli alberi, li ritengo dei grandi amici e ho paura delle città Trovo che hanno tradito qualcosa delle nostre aspettative umane. E osservo molto, e con rispetto, gli animali. Mi capita ogni giorno di imparare qualcosa da loro. Una vecchia amica che sta qui accanto, la nonna Lucia, che ha compiuto 100 anni e che ancora zappa il suo orto, piegata in due per l’artrite, mi ha detto una volta: «Chissà perché, se io e te guardiamo in un metro quadro di terra, vediamo diversamente. Io credo, vecchia come sono, di vederci cento cose più di te!» e ha ragione.

 

 

CENNI BIOGRAFICI

Teresa Mattei è nata a Genova nel 1921.Ha combattuto contro la dittatura nazifascista pagando un prezzo di violenza. Fu staffetta partigiana con il nome di battaglia “Chicchi”; tra le fondatrici dei Gruppi di Difesa della Donna. Fu tra le prime iscritte dell’U.D.I. (Unione Donne Italiane), ed eletta deputato della circoscrizione di Firenze e Pistoia all’Assemblea della Costituente. Ha inventato il simbolo della mimosa per la ricorrenza dell’8 marzo, Festa della Donna. È fondatrice e presidente da dieci anni della Lega per il diritto dei bambini alla comunicazione.

Teresa è la sorella di Gianfranco Mattei, docente universitario di chimica, artificiere dei GAP di Roma, morto suicida in via Tasso per non cedere alle torture e tradire i suoi compagni.

 

 

 

(R)Esistenze, il passaggio della staffetta

Sandra Landi e Paola Di Cori

 

(R)Esistenze a cura di L. Fantone e I. Franciosi, Morgana Edizioni, € 10,00

Il libro affronta il tema dell’Esistenza/Resistenza nel passaggio fra tre generazioni: “le nonne” - coloro che hanno vissuto negli anni della guerra partecipando attivamente alla lotta di liberazione nazionale -, “le mamme” - coloro che sono cresciute lottando per la liberazione individuale, per farsi riconoscere i diritti nel mondo del lavoro, nella scuola, in famiglia - e “le giovani donne” - coloro che raccolgono la staffetta per difendere i diritti acquisiti e impegnarsi per la pace e la nonviolenza. Qui di seguito il sommario del libro e poi l'autointervista di Sandra Landi e la riflessione su femminismo e Resistenza di Paola Di Cori.

 

 

SOMMARIO

 

PRESENTAZIONE Daniela Pampaloni

IL PASSAGGIO DELLA STAFFETTA. INTRODUZIONE Laura Fantone

 

(R)ESISTENZE DI OGGI

IO/OI AUTOINTERVISTA Sandra Landi

LA RESISTENZA DELLE DONNE NELLE GUERRE DI OGGI Teresa Sarti Strada-Emergency

RESISTERE IN ANGOLA Suor Manuela

 

(R)ESISTENZE DI IERI

(R)ESISTERE. LA MEMORIA ATTIVA DEL FEMMINISMO Paola di Cori

MEMORIA E RESISTENZAUgo di Tullio

 

INTERVISTE

PUNTO E A CAPO Teresa Mattei

ALLORA ERAN SBERLE, POI FU UNA PRIMAVERA Giulia Nocchi

IL PANE TE LO DANNO… Mirella Vernizzi

MICA DUE DRITTI E DUE ROVESCI! Carla Guelfi

TESTIMONIANZA DI GIUSEPPINA (DETTA UNICA) G. GUELFI raccolta da Annamaria Galoppini nel 1979

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

AUTOINTERVISTA di Sandra Landi

 

Tutte le donne sono state, in un certo senso, partigiane”

Teresa Mattei

 

Nacque Sandra e furono contenti

ma se fosse nato Sandro, ancor di più.

A cavallo d’un secolo poi traballi

o scivoli o t’aggrappi, o vai su o vai giù.

(Insomma, devi subito resistere per esistere!)

I grandi sembravano felici, con tante canzonette da cantare,

della guerra nessuno mai parlava, ma tutto della guerra poi gridava:

c’erano tante rovine e tanti cocci, e un mondo tutto da rifabbricare.

 

Ma scovai Lina, gran raccontatrice:

fiaschi e novelle con maestria impagliava

e insieme a Chichibio, Fiammetta e Bice,

di Ultima, di Guelfo e di Zelmira mi narrava.

(Così nelle storie cominciai a esistere)

Nobili e cavalieri vissero con staffette e partigiani,

Dante con Togliatti e con la Nilde se ne stette,

in una fiaba senza tempo e senso, da rigirare intanto nelle mani.

 

Pure in ottava rima, cominciai a sognare

in quel mondo scombinato, di giochi, verità e tanta fantasia.

M’imposero il tacere, con voglia di parlare

crebbi donnina fra barriere e scogli, mentre rondine volevo volar via.

(Esistere maschera o persona? Come essere attrice di sé senza uccidere l’infanzia?)

Cercai ascolto, considerazione e stima

fra troppi salotti tutta per me una stanza

con tante belle parole già pronte per la cima.

 

Si andava in Vespa, in Lambretta e in Littorina,

e alla radio ascoltavo l’uccellino e l’almanacco.

Mi preoccuparono, ma ero ancor piccina,

la rivolta ungherese e l’ottobre polacco,

(era fatica esistere? azzardi di pensieri si lanciarono verso orizzonti lontani)

seppi dei barbudos e di Fidel, che si sedettero con Robin Hood nel vento.

Chiesi dei due K e della guerra fredda, perché scaldarsi era già un problema!

Ma il miracolo economico portò all’uscio di casa la Seicento.

 

- Devi essere consapevole e responsabile!

Così imparai il ricamo, il ragù e l’uncinetto.

- Devi essere scomponibile (madre-sorella-sposa) e pure irreprensibile!

Famiglia e suore mi spalmarono così un manierismo perfetto.

(Esistere in marmellata, dolce quanto basta)

Mentre agognavo l’assoluto, e ogni cosa mi era proibita

s’ingarbugliò e fece cilecca la mia vita: fotocopia divenni e non poesia

ma cominciò ad andarmi di traverso quella stupida salita.

 

Prigioniera della mia bravura, libera avrei voluto volare

in gusci m’acquattai, ma azzurri orizzonti sempre sognai.

Di legge truffa, riformismo e convergenze parallele, sentii parlare

fra Nenni, Moro e Fanfani, del Papa Buono subito m’innamorai.

(Esistere nell’azzardo dell’ego per capire chi ero?)

Ma mi venne il sangue caldo fra le gambe: la paura e la vergogna senza sapere

m’imbrigliarono in mille laccioli e in legami falsi

mentre avevo voglia di ali mi ritrovai in catene.

 

Per Kennedy mi sforzai di piangere, ma piansi per la morte del bel Che.

Venne il Vietnam e divorai Marcuse: con l’uomo a una dimensione

plurima fui costretta a diventare, così bevvi Francoforte, compreso Mao Tze.

Esplose il 68: lotta al potere, conflitto permanente, viva la contestazione!

(Ora e sempre: ESISTEREEE! Soggetto smarrito non mi accorsi di essermi librata

in identiche identità)

Nell’anno degli studenti nessuno studiò mai, studiai come una pazza

sognai il vietato vietare, al potere l’immaginazione, la scopata in ascensore…

via lontano, evasione e liberazione, lasciar la casa e scoprir la piazza.

 

L’eskimo fu per me il colore dell’ombretto

verde eskimo per essere Botticelli, freak e streak, più bella e più contestatrice

rifiuto del potere, agire collettivo e lotta al preconcetto!

Il maggio francese e la primavera di Praga mi fecero di Dubcek ammiratrice,

(Esistere, finalmente esistere, in sogni tinti di rosso che di rosso tinsero il cielo)

Fu danzante, colorata e folle la lotta che infiammò

l’immaginazione al potere non andò

ma vennero i Beatles, la caduta di Saigon e il mondo tutto si disgelò.

 

L’uomo (sempre lui) andò sulla Luna,

È grande, è brillante e bella!” Armstrong disse

ma dopo il conte Giacomo non mi parve novità alcuna.

Come una farfalla fui catturata: matrimonio in grande stile, orpelli e grancasse

(esistere in odori dolciastri di sughi grassi vaporizzati chanel numerocinque)

diete perenni, Nutella e sensi di colpa a sfare

Clorinda o Angelica, aquila o colomba,

Madonna o Maddalena, non sapevo più cosa diventare.

 

Appena ucciso il padre in un altro m’imbattei

C.G.I.L., U.D.I., A.R.C.I e P.C.I.: di comunista la patente presi

lotta continua subito tenei

da raccattapalle e da mascotte attesi.

(Resistetti anche lì fra mille solitudini in una battaglia mille volte combattuta)

Padre-partito-padrone: pensiero unico adescatore

Lenin, Marx, Gramsci e Ho Chi Min

alla ricerca di qualche altro albore.

 

Federazioni, sezioni e consultori, ogni orpello fu bandito

stile etnico dell’est, gonnellone e zatteroni,

alla scuola di partito imparai le scuole di partito

cantai Bandiera rossa, e sognai Baglioni.

(Perché non si può esistere con la mente e con il cuore?)

La democrazia arrugginì prima di essere usata

L’Unità, Rinascita, Noi donne

tante Morante e Maraini con Virginia Wolf sempre molto amata.

 

Mater materna fui fra politica, lavoro e studio costante

l’infinito scorreva come un film blablante dalle troppe sigarette affumicato

contro le quote garantite fui presa per saccente

manifestai per i desaparecidos, odiai Pinochet e piansi per Allende incatenato,

mentre fu un re a salvar la Spagna, m’indignai per Peron, m’incuriosì l’Evita,

gridavano i silenzi in una me nell’estate immersa

senza essermi accorta che la primavera era già sparita!

(Affrettarsi a esistere)

 

Caddero i colonnelli in Grecia e in Portogallo i dittatori,

la “guerra dei sei giorni” venne e mai più terminò

l’autunno caldo, piazza Fontana, le brigate rosse e i neri tramatori

fra Amendola e Ingrao, il compromesso storico Berlinguer inventò.

(Resistere, resistere... ma, a forza di resistere, non è che ti dimentichi di esistere?)

In piazza per il divorzio, per l’aborto le firme e le mozioni

ancora tumulti, battaglie, e da sventolar bandiere

va a finir che non c’è più posto per le emozioni.

 

E or che ho imparato con mia figlia a crescere e con mia madre a invecchiare

fra fascismi e razzismi camuffati, ancora e sempre RESISTENZA!

C’è un pagliaccio che ride e che mi vorrebbe catturare

eccomi allora in nuova intraprendenza con una sconveniente disubbidienza

non mi accontento più di “’sti quattro soldi di felicità”

voglio “il cielo in una stanza” e “24.000 baci”

mentre “l’universo trova spazio dentro me”

cerco “un uomo d’oro” ma nel “l’isola che non c’è”

e se “ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento

nel freddo giorno d’inverno, adesso sono nel vento”

ADESSO SONO NEL VENTO!!!

 

 

(R) ESISTERE. LA MEMORIA ATTIVA DEL FEMMINISMO

 

Ancora una volta, storie di partigiane; fatte circolare come fonte preziosa di indicazioni di vita e di suggerimenti politici per il presente.

Sono stata in parte sorpresa, devo confessarlo, dalla scelta di Laura Fantone e Ippolita Franciosi. Leggendo i testi raccolti e l’introduzione mi ha colpito il tono appassionato e problematico che percorre le loro considerazioni, del tutto giustificato quando teniamo conto della difficoltà in questi anni, per le italiane, di rendersi protagoniste efficaci e visibili nella sfera pubblica, dell’angusto orizzonte del confronto teorico, della modestia dei luoghi d’incontro collettivo, e in particolare: del grande senso di solitudine e smarrimento diffuso tra le donne di diverse generazioni che ritengono il femminismo e la sua storia un punto di riferimento ineliminabile nella costruzione della propria identità politica .

Tornano così di nuovo attuali alcune domande, più volte riproposte nei decenni passati, su cosa fanno le donne che si richiamano al femminismo - una parola troppo vaga e fin troppo specificata a un tempo, che queste pagine di colloquio, incontro, scambio tra giovani donne e partigiane vorrebbero riempire di nuovi significati. In particolare, qui si cerca di coniugare femminismo e resistenza, due termini che le curatrici, senza nascondersi dietro l’occasione di qualche anniversario commemorativo, né utilizzando sotterfugi retorici, gettano sulla pagina quasi con urgenza esasperata e intorno ai quali propongono di rilanciare il dibattito politico.

La voce di queste giovani studiose non è da considerare un caso isolato perché ormai da molti anni sono attive in tutto il paese alcune associazioni e reti (tra le più note, “Thirty something”, “Next genderation”, “Sconvegno”, e altre), che in maniera assai esplicita si impegnano nella ricerca di qualcosa che potremmo chiamare la memoria attiva del femminismo: cosa ne rimane, ma soprattutto come renderla visibile ed efficace in tempo di crisi. Laura e Ippolita non sono interessate a nuovi fondamenti teorici, o ad astratte genealogie religiose, e ancor meno aspirano a essere rassicurate da protettrici influenti nell’odierno mercato accademico ed editoriale; vogliono individuare piuttosto delle alleate esperte, insieme alle quali sia possibile ragionare sul potere - alla pari, anziché sedute in seconda fila come continua ad accadere troppo spesso perfino in quelle scarse occasioni di dibattito politico delle donne in cui le generazioni più giovani sono presenti.

Nei paragrafi de “Il passaggio della staffetta” Laura e Ippolita chiariscono di essersi rivolte alle partigiane perché non avevano trovato nelle femministe degli anni Settanta interlocutrici altrettanto incoraggianti, disponibili, interessate a esplicitare in quali modi nell’attualità sarebbe possibile esercitare efficaci forme di resistenza. E allora, perché non tornare a interrogare le protagoniste delle lotte di sessanta anni fa?

Quando nel 1976 uscì presso le edizioni milanesi La Pietra la raccolta intitolata La Resistenza taciuta, e subito dopo la bella recensione di Luisa Muraro che su “Quaderni piacentini” la presentava al più ampio pubblico di femministe attive in quegli anni, per le donne della mia generazione fu un momento importante . Quelle vite di partigiane piemontesi, riscoperte a trent’anni dalla fine della guerra, vennero lette con stupore ed entusiasmo: stupore perché per la prima volta dalle mobilitazioni del ’68, noi che pensavamo di aver compiuto un gesto di rottura radicale con le generazioni precedenti, ci trovavamo di fronte a donne le cui aspirazioni, mutati i contesti, non erano poi troppo diverse da quelle nelle quali ci identificavamo. In tanti modi, loro avevano in realtà anticipato e reso possibile le nostre lotte di liberazione. E questo significava che dietro e prima di noi non c’era un deserto, e nemmeno un silenzio millenario, come recitavano alcuni dei documenti di fondazione del femminismo italiano , bensì un immenso territorio da esplorare, riattraversare e da guardare con occhi diversi. Di qui anche l’entusiasmo con cui abbiamo salutato le voci non più taciute ma ormai finalmente udibili e assai autorevoli delle partigiane; e non fu certo per un caso che la raccolta venne considerata alla stregua di un libro di fondazione della nascente storia delle donne in Italia.

A quella pubblicazione ne seguirono alcune altre, tra cui la famosa raccolta Compagne, curata nel 1977 da Bianca Guidetti Serra per Einaudi: e poi si moltiplicarono gli studi riguardanti la partecipazione femminile alla vita politica del secolo XX°, che cominciavano a disegnare un percorso di soggettività femminile protagonista, della quale proprio di recente iniziano a essere ricostruiti alcuni importanti capitoli per il secondo dopoguerra .

È un fatto, in ogni modo, che tutte queste ricerche, pur essendo caratterizzate da una estrema serietà dal punto di vista dei risultati scientifici, si sono ahimè rivelate di grande inefficacia a livello delle pratiche; o per meglio dire, sono servite per irrobustire filoni di studio e specialità disciplinari, i quali tuttavia sono rimasti di regola staccati dall’analisi politica sull’attualità. Quest’ultima, come noto, in Italia rimane prerogativa delle giornaliste e delle rare donne che hanno accesso autorevole sui quotidiani, radio e televisione. Sociologhe, storiche, economiste e giuriste sono interpellate dai media e intervengono assai poco di frequente, e generalmente lo fanno in qualità di “esperte”; quasi mai, è il caso di osservare, come ‘femministe ancora in attività’.

Per dirla in poche parole: da tempo (all’incirca dai primi anni Ottanta in avanti), si è creata in Italia una divisione di compiti abbastanza precisa tra chi, come e dove fare professione aperta di femminismo. Questa divisione - di femminismo parlano e scrivono soprattutto giornaliste, politiche e qualche sparuta filosofa o sociologa - le altre parlano del proprio specifico settore di interesse - viene accettata da tante cosiddette femministe storiche quasi come l’inevitabile pegno da pagare per raggiungere un po’ di legittimazione professionale e qualche soldo di emancipazione, ma a prezzo di una repressione della propria biografia politica e della memoria del femminismo, ritenuto un residuo fuori moda di militanze giovanili ormai remote. L’altissimo costo di tutto ciò è stato un mancato rapporto con le donne più giovani. Qualcosa non ha funzionato, o ha funzionato assai male sul piano della trasmissione e su quello della comunicazione intergenerazionale. Basti pensare alla scarsità, per non dire mancanza quasi assoluta in Italia, di riflessioni approfondite, di studi storici e politici sul neo-femminismo ; un dato in contrasto con la quantità di ricerche che ormai provengono non solo dal mondo anglofono - dove tradizionalmente questo settore è sempre stato fiorentissimo - ma dalla vicina Francia, paese nel quale negli ultimi due o tre anni si sono moltiplicate pubblicazioni di alta qualità su questi argomenti .

Nelle situazioni in cui sono diventate più visibili e socialmente influenti - le università, il mondo dell’informazione e dell’editoria, i mass media, alcuni luoghi istituzionali dello stato e del governo - le femministe storiche non sono state sufficientemente brave nella costruzione di spazi comunicativi, formativi e politici accessibili, aperti, dinamici, efficaci; se in alcuni casi sono diventate autorevoli ed ‘esperte’, è stato spesso al prezzo della riproposizione di nuove forme di autoritarismo e di conformismo che alle donne più giovani sono molte volte sembrati comportamenti estranianti, incomprensibili quando non del tutto inaccettabili.

La raccolta di Fantone e Franciosi parla a nome di una generazione maturata politicamente nei movimenti no-global, nelle mobilitazioni contro le guerre in Kosovo e in Iraq, a Genova nel luglio 2001 e a Roma nel marzo 2002 per appoggiare la linea poi sconfitta di Cofferati, ferocemente anti-Bush e quindi coerentemente anti-Ratzinger; che non si sente rappresentata da improbabili ministre delle Pari Opportunità nominate in base a tradizionali criteri di equilibrio politico maschili, ma non concepisce né “affidamenti”, né altre forme di tutela dall’alto. Insofferenti di un femminismo storico istituzionale, cito letteralmente, “che ci comunica[no] distacco e chiusura su se stesse”, le giovani vogliono rilanciare nuove pratiche di resistenza che tengano conto della grande diversificazione esistente nel femminismo; poiché quest’ultimo, come osservano giustamente Laura e Ippolita, non è affatto “un’entità omogenea”, né può essere rappresentato da una sola generazione.

Ed ecco che, con un giro inaspettato, quando hanno voluto riallacciarsi a una tradizione storica e porre le basi per nuove forme di resistenza nel presente, hanno preferito rivolgersi a donne anziane non compromesse, incorrotte, indomite; e soprattutto da costoro si sono sentite rispettate come interlocutrici.

Il titolo scelto - “Il passaggio della staffetta” - non è casuale. Per le femministe degli anni Settanta è una sfida da raccogliere con umiltà e desiderio di ascolto, e anche un’occasione di rinnovamento da non lasciarsi sfuggire.

 

Paola Di Cori

Storica, esperta di genere e dei movimenti sociali, docente presso l’Università di Urbino


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