Prima di parlare di Memorie dal sottosuolo e quindi della superba interpretazione data da Gabriele Lavia al racconto di Fedor Dostojewski, andato in scena al Teatro “Argentina”, nell’adattamento teatrale da lui stesso scrupolosamente curato, diventa necessario ricordare qualcosa a proposito dello scrittore russo.
Nato a Darovàya, nel governo di Tula, frequentò da studente la scuola degli ingegneri, dimostrando di apprendere con estrema facilità le scienze più astruse. Fu quindi irreggimentato nella burocrazia russa, organizzata militarmente ed obbligata a vestire l’uniforme, ma non sopportò a lungo quell’autentico carcere d’intelligenza, in cui la gioventù si incretiniva.
Decise quindi di abbandonare quella sterile monotona esistenza, in cui potevano adattarsi soltanto gli spiriti mediocri, là dove uno sterminato branco di servi del potere aiutava l’assolutismo a tenere in catene il popolo russo, e scelse la via della letteratura.
Il suo primo romanzo, pubblicato nel 1845, fu Povera gente e venne accolto come autentica rivelazione. Dostojewski sentiva ciò che scriveva e pensiero e sentimenti, nella sua libertà di coscienza, si fecero subito azione: si iscrisse così al movimento per l’emancipazione dei contadini ancora asserviti dalla gleba.
Individuato come sovversivo nel 1849 venne arrestato e condannato alla fucilazione. La pena gli venne poi commutata con quattro anni di lavori forzati in Siberia. Ne La casa dei morti è il ricordo delle sofferenze patite al bagno penale, tra i maggiori malviventi, dove l’unica consolazione gli veniva dalla lettura della Bibbia.
Tornato libero, ma povero e malato, nel 1859 cominciò a Pietroburgo una nuova vita. Da nikilista era divenuto patriota ortodosso e slavofilo, avversario dichiarato della civiltà europea. Credette alla rigenerazione del mondo per virtù del cristianesimo, e tutta la sua opera ulteriore risente della crisi profonda subita dal suo spirito. A questo proposito egli ebbe a commentare: «Tutta la legge dell’esistenza sta soltanto in questo. Che l’uomo possa inchinarsi davanti all’infinitamente Grande».
Ne I fratelli Karamazov, ne L’idiota ed in altri suoi romanzi, viene evidenziato quasi un vangelo mistico, là dove egli osserva e glorifica i poveri e gli sventurati, fin nei loro vizi mentali e nelle loro colpe, poiché la religione della sofferenza umana deve spingersi a tutte le brutture. Lo stesso accade in Memorie dal sottosuolo, là dove l’autore indaga la psiche e i meccanismi tormentati della mente di un giovane impiegato: un essere inconcludente, a disagio con se stesso e in collisione con la società, isolato con una vita inconsistente. Si tratta di un malato, di un personaggio estremamente cattivo, oltremodo ripugnante, in dei momenti addirittura grottesco. Con lui interagiscono sulla scena la giovane prostituta Lisa (la bravissima Alice Torriani) e il domestico Apollon (Pietro Biondi).
A fronte della perversità del protagonista la donna rappresenta il simbolo dell’innocenza perduta e della possibilità di redenzione grazie all’amore. Il ‘sottosuolo’ in cui quasi come una talpa si muove il protagonista, sta a significare una condizione dell’animo umano. Il monologo tende a indagare sul vivere umano, là dove la depravazione e l’immoralità, possono venir salvate solo dall’amore. L’uomo del sottosuolo dice così a Lisa: «La vita è bella per la ragione che si ama. Anche nel dolore se si ama la vita è bella. In qualunque modo si viva, se si ama, vale la pena di stare al mondo… Basta amarsi». Ed aggiunge di lì a poco: «Dove non c’è amore, non c’è niente; l’amore è un mistero divino». Apollon (il domestico) dal quale l’uomo del sottosuolo vorrebbe liberarsi, non parla, ma recita salmi, lo domina e tacitamente lo rimprovera, rappresentando la sua coscienza. La scena di Carmelo Giammello è fatta di una neve fradicia, in disfacimento, che con la sporcizia si tinge di grigio, quasi a rappresentare l’inestinguibile cancro del malessere che domina il mondo.
Teatro: Argentina
Città: Roma
Titolo: Memorie dal sottosuolo
Autore: Fedor Dostoevskij
Adattamento e regia: Gabriele Lavia
Interpreti: Gabriele Lavia, Alice Torriani, Pietro Biondi
Scene: Carmelo Giammello
Costumi: Andrea Viotti
Luci: Giovanni Santolamazza
Musiche: Andrea Nicolini
Lucio De Angelis
(da Notizie radicali, 31 marzo 2008)
Pe informazioni sulle rappresentazioni al
Teatro “Novelli” di Rimini, 1-3 Aprile 2008
Tel. 0541 24152