Il racconto di Silvia Ballestra (Corriere della Sera, 30/03/2008) che assume a contenuto i gravi fatti di Chiavenna lascia sconcertati. La lettura è la base dell’educazione e della formazione e risulta del tutto negativa quando un autore utilizza come trama di un racconto un fatto realmente accaduto; un fatto che di per sé è ancora più efferato e tragico, perché compiuto da adolescenti. Chiavenna è un paese profondamente colpito al cuore da un episodio di sangue che vede compromesse tre ragazze, ma il fatto, anche a distanza di anni, per la sua specificità, esce dai confini del territorio implicato e ci coinvolge tutti emotivamente perché riguarda ragazze, che all’epoca non superavano i sedici-diciassette anni.
La riflessione, in tutti noi, prende il sopravvento e il pensiero indaga sulle cause di tanta brutalità, ma il giudizio resta soffocato e inespresso, perché troppo grande è stato il fatto e troppi sono ancora oggi gli interrogativi; perché riguarda adolescenti, spesso troppo fragili e troppo facili prede in un ambito sociale in cui la diversità diventa curiosità e assume i colori della trasgressione, che, se incontrollata e plagiata provoca danni irrimediabili a sé stessi e agli altri. Silvia Ballestra scrive intorno a questa storia un racconto noir, nero come le figure “nere” di Goya, nero come le coscienze di quanti provocano tutto ciò in una società traballante… può indurre a tanto, la noia o un luogo? Ci si chiede incerti e stupefatti e non c’è risposta plausibile; c’è solo silenzio e come per tanti altri delitti, c’è solo dolore e riflessione per tanti interrogativi che diventano un atto d’accusa; episodi così violenti ci lasciano esterrefatti e sarebbe bene che non ritornassero in uno scritto sia per rispettare tutti coloro che ne sono stati coinvolti e che tuttora lo sono sia per evitare un effetto negativo su chi legge e proprio sugli adolescenti; fatti così efferati dovrebbero restare chiusi nella coscienza di ognuno di noi, dove il “noir” prende forma e ci interroga per sapere: chi siamo e dove stiamo andando; per scuotere le nostre menti e svegliarci dal torpore che annebbia la nostra ragione, per farci riflettere sulle cause del presente e intraprendere un cammino comune che ci liberi da questa cappa che non ci lascia più respirare, e che quotidianamente, in ogni sfera sociale compromette il nostro futuro e la conoscenza di noi a noi stessi... L’invito è di non tramutare in uno “spettacolo” il nostro quotidiano né con le immagini né con le parole. Altro è il processo educativo; altro la scrittura!
Anna Lanzetta