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Flavio Ermini, Plis de pensée. Recensione di Alessandro De Francesco
Plis de pensée. Champ Social éditions, Nimes 2007, 10 Euro
Plis de pensée. Champ Social éditions, Nimes 2007, 10 Euro 
02 Aprile 2008
 

Con Plis de pensée Flavio Ermini (Verona, 1947) – poeta, saggista, editore, direttore della Casa editrice Anterem www.anteremedizioni.it, nonché dell’omonima, celebre rivista, fondata nel 1976 con Silvano Martini – approda finalmente in Francia. E approda bene, con un testo intenso, pubblicato in edizione bilingue nella prestigiosa collection Poésie di Champ Social, accompagnato dall’asciutta ed elegante traduzione di François Bruzzo e da un’acuta prefazione di Franc Ducros, principale artefice del progetto.

In realtà Flavio Ermini in Francia era già approdato ben prima del suo libro: i tanti lettori che seguono il lavoro di Anterem sanno bene quale sia lo spazio dedicato ad autori e tematiche francesi contemporanee sia nell’ambito della rivista, sia nei progetti editoriali. Dallo stesso Ducros, a René Char, a André Du Bouchet, a Yves Bonnefoy, a Jean-Marie Gleize, a Jacques Roubaud e a molti altri, Anterem è da tempo uno spazio privilegiato per tutti i lettori italiani interessati alle produzioni poetiche francesi ed è anche per questo una delle realtà letterarie italiane piú note in Francia.

Ma le varie diramazioni della poesia francese contemporanea permeano non solo la rivista e i progetti editoriali, bensì anche la stessa scrittura di Ermini. Lo si vede bene in alcuni momenti dei Plis de pensée, come ad esempio il seguente, dove i temi della pietra e della bocca, nei quali risuona la lezione di Bonnefoy, vanno a situarsi in un immaginario rarefatto e ineffabile dove è possibile percepire l’astrazione spaziale e linguistica tipica di molte pagine di Du Bouchet:

 

quando tra l’indice e la bocca un’altra ombra appare nulla ne condiziona la forma. Divisa in parti uguali la pietra rovesciata è sostanza priva di nome, pietra su pietra costruita

 

lorsque entre l’index et la bouche une autre ombre apparaît rien n’en conditionne la forme. Divisée en parties égales la pierre retournée est substance privée de nom, pierre sur pierre construite [1]

 

Eppure la scrittura di Ermini, pur essendone debitrice, è anche decisamente differente dalla linea di Bonnefoy, di Du Bouchet e di altri autori, anche non francesi, che pure hanno palesemente e profondamente influenzato il lavoro (Celan, Char, Mandel’stam e, prima di essi, naturalmente, il Mallarmé del pli selon pli). La poesia di Ermini non si lascia ridurre ad eredità letterarie, conserva originalità e stile indistinguibile, pur rivendicando una certa linea stilistica e di pensiero, che è la linea della tensione metafisica inappagata, della parola che nasce dal silenzio, della riflessione poetologica all’interno della scrittura poetica stessa. Ascriverei tale proprietà al modo particolare con cui Ermini tratta tre elementi, peraltro strettamente interconnessi tra loro:

il materiale verbale, o meglio i campi semantici;

il rapporto tra poesia e prosa;

il rapporto tra poesia e pensiero e, più specificamente, l’introduzione dell’elemento saggistico in sede poetica.

Tali tre elementi, presenti in molti altri autori e in primis in quelli ricordati sopra, sono ricondotti da Ermini verso la propria, personale, indistinguibile esigenza espressiva.

Cominciamo dal primo: in contrasto con buona parte delle poetiche non solo contemporanee, ma forse anche novecentesche (si pensi per esempio al famoso “cozzare” tra “aulico e prosaico” del Gozzano visto da Montale), la lingua di Plis de pensée non è una lingua del contrasto, ma è una lingua, per cosí dire, della “purezza”, o meglio dell’“uniformazione” semantica. L’unico contrasto semantico ricorrente in Plis de pensée (salvo alcune interessanti eccezioni, di cui ci occuperemo tra poco) è dato dal rapporto tra l’astrazione dell’immaginario linguistico e l’uso iterato di un lessico corporale, terrestre, sensibile, che non è tuttavia esente da ascendenze “metafisiche” e, in generale, non intacca né contamina l’eleganza e la complessità dell’andamento sintattico. Il “sublime”, insomma, è raramente contraddetto:

 

la forma piatta degli occhi è terra che non pesa nella parte prossima al vuoto che si forma sovente tra i corpi

 

la forme plate des yeux est terre qui ne pèse rien dans la partie proche du vide qui se forme souvent entre les corps [2]

 

O ancora (ma gli esempi potrebbero essere innumerevoli, data la coerenza e l’uniformità del “flusso” poetico di Plis de pensée):

 

sulla terra dell’uomo divengono invisibili alla luce le forme cave. In opposizione, è l’aspetto verbale del cielo a formare l’idea stessa di nascita

 

sur la terre de l’homme les formes creuses deviennent invisibles à la lumière. Par contre, c’est l’aspect verbal du ciel qui forme l’idée même de naissance [3]

 

Vi sono però, si diceva, alcune eccezioni, alcuni “strappi” semantici, alcuni significativi slittamenti. In essi l’universo lessicale di partenza è interrotto, e cambia rotta:

 

il braccio che al rigelo prima dell’altro emerge è simile alla macchina attraverso cui passa il nutrimento.

 

le bras qui au regel émerge avant l’autre est semblable à la machine à travers laquelle passe la nourriture. [4]

 

Oppure:

 

Sull’asfalto e tra i cavi circondano la piccola apertura le bave del dicente che con il corpo tutto il corpo avvolge

 

Sur l’asphalte et entre les creux les baves du disant qui de son corps tout le corps enveloppe entourent la petite ouverture [5]

 

Si potrebbe forse tradurre “cavi” con cables anziché con creux. Inteso cosí, l’effetto di spostamento semantico sarebbe ancora piú marcato: “macchina”, “asfalto”, “cavi”, “bave” contro “uomo”, “terra”, “cielo”, “vuoto”, “bellezza”, “mondo”, “luce”, etc. La forza espressiva di questi due splendidi passaggi lascia intravedere quello che potrebbe risultare, da un certo punto di vista, l’unico punto critico del lavoro: l’“uniformazione” semantica e il “sublime” del flusso linguistico di Plis de pensée avrebbero forse potuto essere messi piú spesso in discussione, a vantaggio di un’operazione poetica certo meno perfetta, ma magari, proprio per questo, maggiormente in risonanza con il mondo che ci circonda.

È pur vero, ciononostante, che la perfezione, o, piuttosto, la linearità semantica e sintattica dell’opera (in opposizione a un’ipotetica non-linearità, in senso quasi matematico, del linguaggio e del reale) sono richieste dall’apparato teorico che Ermini integra con padronanza e consapevolezza nell’ambito del discorso poetico. In esso, sul piano dei concetti messi in campo, la presa di coscienza della non-linearità, declinata nell’emergenza di un’operazione letteraria trasversale, avviene: Plis de pensée è mosso da una sorta di logos, di discorso che unifica e compenetra poesia e pensiero (le due grandi istanze che da anni animano su tutti i fronti l’operato di Ermini). Eredità poetica europea, ancora una volta, che Ermini fa sua trasformando in vero e proprio progetto saggistico-poetico la teoria del linguaggio e la metapoesia che potevano permeare i testi di uno Char o di un Celan. E siamo qui nell’ambito del terzo punto elencato sopra:

 

trae a sé dalla pietra nella sede buia degli occhi la lingua tutte le cose di cui riconosce il respiro, poiché non esiste all’esterno del corpo alcun luogo, né dà tregua la vita suscitata dal nome

 

si adatta alla vita dell’uomo mediante esercizi di scrittura l’assenza, non la convenienza delle cose

 

la langue tire à soi de la pierre dans le siège obscur des yeux toutes les choses dont elle reconnaît le souffle, puisque aucun lieu n’existe en dehors du corps, ni la vie suscitée par le nom ne donne aucun repos

 

l’absence s’adapte à la vie de l’homme par des exercices d’écriture, non pas la convenance des choses [6]

 

Ma questo terzo punto non potrebbe vivere senza il secondo: la prosa e la poesia costituiscono, nella scrittura di Ermini, un unico dispositivo di espressione. Tutto Plis de pensée (come molte altre opere dell’autore) è composto in una prosa che non è tanto una forma di prosa poetica o di poesia in prosa, quanto essa stessa forma di poesia; e, parallelamente, in un discorso poetico che non è poesia filosofica ma è esso stesso pensiero, e, sul piano stilistico, esso stesso saggio. Non parlerei di metapoesia, né di metalinguaggio. Parlerei piuttosto di una “prosapoesia” in cui poesia e saggio, discorso poetico e flusso del pensiero non sono intrecciati, non sono in dialogo, ma sono da considerarsi come perfettamente coincidenti e identitari: nella scrittura di Ermini prosa e poesia, poesia e pensiero, saggio e discorso poetico coesistono nel medesimo spazio linguistico e semantico.

Da questa profonda esigenza nasce l’operazione di uniformazione semantica di cui si diceva sopra, che ci ha potuto lasciare (se non altro al livello di una prima lettura non corroborata da considerazioni analitiche) interdetti. Tale peculiarità distingue l’opera di Ermini dagli altrettanto validi ibridi saggistico-poetici degli stessi Paul Celan (penso soprattutto a Il Meridiano) e André Du Bouchet (alla cui prosa, almeno da un punto di vista visivo, Plis de pensée si avvicina molto), ma anche di Michel Deguy (penso in particolare a L’énergie du désespoir), Claude Royet-Journoud (penso ad esempio alla recente Théorie des prépositions), etc. Nei testi di questi autori, il lavoro di slittamento da un genere all’altro e di riconnotazione cognitiva tra poesia e pensiero si accompagna a un’inevitabile quanto necessaria decostruzione dello stile, della sintassi, dei campi semantici. Ermini, invece, con pari necessità, resiste. Plis de pensée conserva la possibilità di un Dire con la “D” maiuscola, di una parola che affermi profeticamente, a cavallo tra poesia e saggio, la propria necessità espressiva; pur nascendo e lasciandosi permeare dalla stessa consapevolezza che anima le preoccupazioni storiche, teoriche e letterarie degli altri autori qui ricordati. Lo dice bene Franc Ducros nella sua prefazione:

 

Cette parole, issue du tumulte e du tourment, ne se donne pourtant, parole de méditation, que selon un calme devenu comme absolu. Les sursauts, les soubresauts, les affres du travail, si la langue les accueillait, menaceraient les figures se composant de manquer ce qu’elles ne parviennent que difficilement à transmuter. [7]

 

In questo senso destano ammirazione la consapevolezza estetica, il valore letterario, l’onestà intellettuale, l’originalità e, direi, l’importanza storica del progetto di Ermini, che si rispecchia splendidamente in queste pieghe di pensiero nelle quali l’autore ci invita a immergerci. E coloro che già praticano lo spazio della poesia contemporanea sanno anche fino a che punto l’operazione di Ermini sia urgente e indispensabile: penso a certi sviluppi “reazionari” della piú o meno recente poesia italiana, in cui le preoccupazioni estetiche e filosofiche abdicano in favore di un lirismo facilmente digeribile e giustificato da ipotetici ma in realtà inesistenti strati piú profondi di significato, altrettanto ipoteticamente percepibili da lettori più accorti. Animate da preoccupazioni ben più significative rispetto ai vari nuovi lirismi, le pieghe di pensiero di Ermini sono spazi, interstizi di resistenza critica in cui le questioni più permanenti ed enigmatiche – e per questo più umane: da qui la presenza ricorrente della figura dell’“uomo” – della creazione poetica e dell’esistenza vengono approcciate da un’angolazione inconfondibile e destinata ad occupare ancora a lungo un posto decisivo nel panorama della scrittura di ricerca.

 

Alessandro De Francesco

 

 

[1] Sezione Nel nome. Non si cita la pagina perché le pagine nel testo non sono numerate. Elemento significativo, d’altronde, che evidenzia il flusso del testo e predispone il lettore allo sviluppo del discorso poetico.

[2] Sezione Nel nome.

[3] Sezione In Verità.

[4] Sezione Dalla veglia.

[5] Sezione Tra luci.

[6] Sezione A Parole.

[7] F. Ducros, Préface, in F. Ermini, Plis de pensée, op. cit.


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