MAREA
Il respiro del mare, e nessun altro suono, mai. Il perenne scroscio delle acque, ora calme e ora agitate, e null’altro, in nessuna direzione. Dal parapetto il bambino non vedeva che oceano, dovunque. Ora il sole stava immergendosi nelle acque di quello che doveva essere l’occidente. Le mura, il cortile e il palazzo erano inondati dalla luce arancione. L’unica isola in mezzo all’oceano, quattro mura di cinta che si levavano sopra l’acqua e proteggevano il palazzo coi colonnati e l’ampia piazza, ove cresceva persino erba tra i selciati. Per il bambino era la cattedrale, ma non vi era mai entrato; soltanto qualche volta sedeva sotto il porticato frontale. Non aveva mai visto porte che conducessero all’interno, o le credeva chiuse.
Il bambino corse nel cortile, seguito dall’animale dal corpo di piccione e la testa di cane. Il mare sospirava molto forte, nonostante le acque non fossero in tempesta. Il bambino si chiese come mai. Corse su per la scaletta che gli permetteva di salire alle mura e guardare fuori. Si era più volte domandato di cosa fossero fatte quelle mura e tutta la cattedrale: a volte avrebbe detto legno, a volte avrebbe sicuramente detto pietra. Perciò supponeva che fosse una magica mescolanza di entrambi, tanto che spesso non riusciva a distinguerli. Non lo aveva chiesto all’uccello-cane, non pensava lo potesse sapere; non ne sapeva più di lui su quel luogo. L’uccello-cane lo seguiva sempre, ovunque andasse… ma il bambino pure seguiva sempre l’animale. Salirono sulla scaletta e si sporsero sull’oceano. Dalle acque saliva uno scroscio forte e continuo, e andava crescendo. Il rumore della risacca.
«L’oceano parla», disse il bambino. «Sta male?»
L’uccello-cane non rispose, continuando a volgere la testa qua e là e facendo dondolare le orecchie penzolanti.
«È il sole che si spegne? Non ha mai fatto così prima».
I loro lineamenti erano quasi fosforescenti alla luce dorata del crepuscolo sull’oceano. Il rumore di risucchio si tramutò in boato. L’acqua prese a fluire in senso inverso, come tornando indietro risucchiata dal sole. Il bimbo osservò a lungo l’uccello-cane in attesa di una risposta.
«La marea si alza» disse la creatura; la sua voce era profonda e atona.
L’oceano si ritirava. Metro dopo metro i grandi pali su cui poggiava l’immensa palafitta della cattedrale emergevano all’aria, fetidi di fanghiglia e alghe eppure ancora in grado di resistere agli schiaffi delle correnti. Il bambino sospirò di stupore nel vederli, sotto di lui. L’oceano si prosciugava, scendeva di centinaia di metri, l’altezza era vertiginosa e l’acqua si faceva sempre più densa e scura. Poi un grande muro sorse dal mare, lontano, e il sole divenne un alone cristallino attraverso di esso. Il bambino fissò estasiato l’onda più grossa che avesse mai visto.
«La marea…» bisbigliò d’incanto.
Scese dalle mura e corse verso il palazzo. L’uccello dalla testa di cane lo seguì subito. Sentirono lo scricchiolare dei pali sotto di loro. Il bambino si appoggiò a una delle colonne della cattedrale e l’animaletto si mise accanto ai suoi piedi. Il muro d’acqua copriva il cielo e non era ancora giunto a loro. Poi li travolse, li oltrepassò, e trascinò la cattedrale dietro di sé insieme a tutto il resto dell’oceano.
Il bambino e l’animale corsero di nuovo sulle mura.
«Galleggiamo!» esclamò il bambino.
Trascorsero del tempo ad osservare il loro muoversi sull’acqua, ritornata calma, finché sentirono un tonfo secco e si accorsero di essersi fermati. Il bambino e l’uccello-cane corsero lungo le mura di cinta fino alle guglie della cattedrale. Dietro ad essa c’era una scogliera rocciosa, immensa, tale da non vederne la fine.
«La terra?» chiese il bambino. «O è qui che finisce l’oceano?»
Matteo Barbieri
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