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Echi di campagna elettorale
24 Marzo 2008
 

La campagna elettorale è convulsa e impegnatissima, con una sorta di incredulità; invero che si faccia campagna così intensamente per una legislatura che tutti danno già per brevissima (con tanti saluti per i costi della politica!) con una serie di prediche dagli schermi televisivi di un inarrrestabile (quanto a chiacchiere senza fondamento) Veltroni, e un ancor più inarrestabile (quanto a stupidaggini) Berlusconi, senza alcuna possibilità di interloquire, senza contraddittorio, senza partecipazione, come se dopo di loro ci fosse il deserto o il diluvio fa impressione. Non è già un vistoso segno di involuzione autoritaria? non è già il segno di un fascismo del XXI secolo? inizia il cammino funesto di una democrazia autoritaria secondo decisioni prese sempre altrove da dove stanno le persone, cui viene lasciato un chiacchiericcio noioso sui pettegolezzi e uno scontro sui localismi senza respiro. Come si sa, ma sembra che venga accuratamente dimenticato e coperto, il localismo è l'altra faccia della globalizzazione capitalistica. Ma sembra che persino a sinistra talora lo si dimentichi e si viene sempre interpellati che cosa ci si sta a fare in una regione che non è quella di residenza e chi mi ci ha mandato e altre piacevolezze. Non dai compagni e compagne, molto ospitali e affettuosi, ma dalla stampa che ospita dichiarazioni in proposito quasi leghiste. L'ho detto anche alla presentazione delle candidature, che si è fatta in Ancona all'inizio della campagna. Il fatto che ci si preoccupi di tale “problema” è segno che Berlusconi (arrossisco a dirlo) è culturalmente egemone e passa talora anche nelle teste di sinistra: come siamo caduti in basso!

Comunque la campagna serve molto per sentire che le tematiche generali anche quelle più difficili, sepolte sotto coltri di tempo perduto ci sono e come: restano a sentire appassionatamente e interloquiscono subito. Le iniziative che si tengono nelle librerie o in luoghi di dibattito riescono sempre bene, con una “durata”, con una “presa” non effimera. L'uso delle categorie dell'analisi marxista del reale applicato alle situazioni che parevano prive di senso “prende”, colpisce per l'utilità e chiarificazione. Se riusciamo e tenere aperto il varco (il che è ciò che dobbiamo assolutamente riuscire a fare, altrimenti la sinistra scompare dalla storia persino meritatamente) è assolutamente necessario che diamo vita poi come sinistra arcobaleno a una fondazione di studi teorici nel vero senso marxiano, gramsciano e luxemburghiano del termine, cioè come accurata analisi del reale, indicazione delle finalità comunemente individuate e decise e dei metodi precisamente definiti e su ciò che si conviene, stringere un patto di unità d'azione che comprenda e intrecci le esigenze politiche dei vari soggetti: le forme del lavoro dipendente, il movimento delle donne, i temi delle risorse e un modello di sviluppo autocentrato (alla Samir Amin), il soggetto della politica di pace, il soggetto della comunicazione, la forma partito come strumento per agire le proposte nelle istituzioni.

A mio parere si va individuando una prospettiva comprensibile e netta, che interessa e che può essere declinata in un discorso in una narrazione politica accessibile, non approssimativa, rigorosa e accettabile. Il discorso c'è e c'è anche chi è disposto ad ascoltarlo.

 

Detto ciò, voglio esporre un paio di punti che non mi sembra siano stati capiti bene e che danno luogo a perdite di tempo. Mi riferisco al “voto utile” e alla laicità in ordine alle strutture della Chiesa in Italia.

Non bisogna accettare il discorso del voto utile e del resto ormai sono molti/e che sostengono essere voto utile quello che rappresenta e narra esigenze e diritti e chiede risposte necessarie. Sostenere invece che è utile il voto che alla fine fa approdare a un bipartitismo senza alternative è già l'anticamera della democrazia autoritaria (come negli USA).

E veniamo alla Cei, alla Conferenza episcopale italiana, che non è il Vaticano: «distingue frequenter» diceva san Tommaso d'Aquino, distingui quando serve, non sempre, ma spesso: e qui bisogna distinguere. Che cosa? uno stato straniero che è il Vaticano e una organizzazione nazionale come è la Cei. Del concilio Vaticano II le conferenze episcopali sono quasi l'unica cosa che si è finora salvata. Esprimono le esigenze a lungo sostenute della liturgia in lingua e non in latino e la rappresentazione delle diverse situazioni culturali e sociali delle nazioni. Ratzinger cominciò e reagire e a reazionare con la messa in latino, ma ancora lascia le conferenze episcopali che, soprattutto in America latina, sono state e sono luoghi di dibattito e scontro molto importanti. E che bisogna saper leggere. Orbene, se leggiamo ciò che è accaduto in Spagna ci rendiamo conto che lì la conferenza episcopale si è divisa sul modo di far fronte a Zapatero ed essendo passata la linea della contrapposizione intransigente e frontale, questa è stata sconfitta. Zapatero -che ha capito tutto- molto abilmente ha detto che sarà d'ora in avanti più “umile”, nel tempo stesso affermando che anche la conferenza avrebbe fatto bene ad essere meno superba, dato che la superbia è un peccato capitale.

Anche nella Cei vi sono due linee, una intransigente che fa capo a Ruini, che però non è più il presidente della stessa e una più politica e custode della propria “relativa” autonomia che forse fa capo a Bagnasco (foto). Non voglio con ciò dire che Bagnasco sia un cardinale “progressista” mai no, ma ha un più spiccato culto della propria autonomia. Si ricorderà quando da Ferrara in tempi non sospetti disse che lui non era il Vaticano, ma la Cei. Quando la Cei parla non si può obiettare che è ingerenza, come quando parla impropriamente il Vaticano: in questo caso si può anche chiedere l'abrogazione del Concordato (come scrivo nel dépliant che si sta diffondendo nel collegio delle Marche): ma se è la Cei, i Vescovi sono cittadini italiani che hanno lo stesso diritto di interloquire nella campagna elettorale che ha Montezemolo. Naturalmente possono essere attaccati, si può e deve dire se non si è d'accordo con quanto dicono, ma non che non hanno diritto di parlare. Proprio chi chiede l'abrogazione del Concordato, deve subito dopo dire che infatti la piena libertà di esprimere opinioni religiose è difesa dall'art. 2 della Costituzione e per questo non c'è bisogno di Concordato. 

 

Tutto ciò premesso, che si può replicare alla Cei? Dopo aver letto bene ciò che dice? Che dal comunicato si vedono due linee non mediate, ma messe in successione, dunque vi è una contraddizione aperta, che vedremmo se fossimo addestrati a leggere con cognizione, un po' di cultura religiosa e senza pregiudizi ciò che dicono.

Allora: si legge nella dichiarazione della Cei una linea intransigente, ma non fondamentalista, che fa appello alla coscienza dei credenti senza pretendere di dettare legge a tutti. Una posizione già un pochino più avanzata e meno clericale di quelle classiche di Ruini. Ma poi si aggiunge che la legge elettorale di fatto non consente di dare espressione concreta al voto, perché è una legge malfatta, di impostazione oligarchica ecc. Dicono inoltre i Vescovi che non si devono fare le larghe intese e che non vi sono voti inutili. Insomma cose accettabili e che certo sostengono appena si manifesta un soggetto come Casini, e perciò toglie appoggio ad atei devoti e a laici teneri e simili, riaprendo i giochi. Perché lo fanno? perché essendosi prima spesi per Berlusconi e Fini e anche per Veltroni forse preferiscono appoggiare un soggetto politico più esplicitamente cattolico laico. È una buona decisione dal loro punto di vista e non cattiva nemmeno per noi. Perché non riconoscerlo? se vogliamo respingere l'egemonia culturale di Berlusconi e costruirne una di sinistra, dobbiamo essere capaci di intervenire su tutte le contraddizioni che si manifestano a destra, comprese quelle nella Cei. La spontanea reazione anticlericale fa bene alla salute perché consente di ridere o ghignare, ma ripete un copione già visto che non ha effetto politico alcuno. Scusate la predica. Amen!

 

Lidia Menapace


 
 
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