Se permettete comincerei con il leggere un brevissimo articolo apparso sul Corriere del 5 marzo 2008, a firma di due giornalisti.
«Simpatico, brillante, una battuta dopo l'altra e smancerie a non finire, da grande seduttore. E lei, appena diciottenne, impiegata, molto carina, era rimasta colpita dal fascino e dai modi spigliati di quell'agente immobiliare di 34 anni, auto sportiva, abbronzato e vestito all'ultima moda, con il quale era stata a cena insieme con i colleghi di lavoro. Così, quando lui le ha offerto da bere, lei ha accettato senza sapere che quell'uomo di cui cominciava a fidarsi aveva aggiunto nel cocktail un potente sonnifero. Una leggerezza che la ragazza ha pagato a caro prezzo, come quella di accettare un passaggio a casa. Perché, quando il farmaco ha cominciato a fare effetto, l'uomo ha raggiunto una strada sterrata a Lentate sul Seveso e in un boschetto l'ha violentata. Il giorno dopo la diciottenne ha denunciato l'agente immobiliare e ieri il giovane è stato arrestato dai carabinieri di Desio per violenza sessuale aggravata dall'uso di sostanze psicotiche. I due si erano conosciuti qualche mese fa. L'agente collaborava con la società nella quale la diciottenne lavora. Di fronte alle insistenti richieste di uscire insieme, la ragazza alla fine aveva accettato di andare a cena con l'agente immobiliare e tutti i colleghi d'ufficio, a Senago. Ma la presenza di più persone non ha fermato il piano dell'agente immobiliare. “Dai, un ultimo bicchiere e poi andiamo a dormire” le ha detto a fine serata. E lei ha accettato. Senza che se ne accorgesse, l'uomo è riuscito a versare nel bicchiere della sua vittima il Ghb, un anestetizzante incolore, inodore e insapore che viene utilizzato dai giovani per sballare in discoteca. Quando si è accorto che la giovane non avrebbe potuto reagire l'agente si è diretto verso Lentate sul Seveso, ha fermato l'auto in un stradina appartata, l'ha obbligata a scendere dall'auto, l'ha scaraventata e terra e l'ha violentata. Poi è scappato. A soccorrere la diciottenne sono stati i suoi colleghi di lavoro, insospettiti perché dopo un'ora non era ancora tornata a casa, dove si erano dati appuntamento. Preoccupati, l'hanno chiamata al cellulare e lei con un filo di voce è riuscita appena a trovare la forza di dire dove si trovava».
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Io ho una speciale cartella, nel computer, che si chiama “Italia”, in cui ho ripreso a registrare, da un paio d'anni, il modo in cui i media italiani, appunto, coprono i casi di violenza contro le donne. L'articolo che vi ho letto non è un caso eccezionale, è anzi abbastanza tipico perché con una leggerezza davvero insostenibile (ma che siamo noi a pagare a caro prezzo e non chi la usa) perpetua quasi tutti i miti concernenti lo stupro, quelli che lo legittimano e lo favoriscono. I miti, che vanno dall'impossibilità per gli uomini di controllare gli impulsi sessuali, il famoso raptus, alla provocazione delle donne (vestiti, attitudini, ecc.) hanno uno sfondo comune, che è quello di attribuire la responsabilità della violenza a chi la subisce.
Facciamo una prova: pensate a tre cose che si possono fare per prevenire la violenza sessuale. Scommetto quel che vi pare che per prima cosa che vi è venuta in mente è qualche raccomandazione alle donne: “Non uscire da sola la notte”, “Non vestirti in modo provocante”, “Non stare per strada”, “Chiudi sempre bene porte e finestre”, “Non parcheggiare l'auto dove c'è poca luce”, “Portati dietro uno spray al peperoncino”, “Fai un corso di autodifesa”. Tradotto è: cambia il tuo comportamento. A quasi nessuno viene in mente subito che a cambiare comportamento dovrebbero essere gli uomini.
La cosa ovvia è che lo stupro non sparirà sino a che essi non lo faranno.
Restringere la libertà di donne e ragazze è ingiusto, e inoltre non ha mai fatto da barriera alla violenza sessuale.
Tutte le asserzioni che ho riportato poc'anzi sono basate su false letture delle cause dello stupro, e mandano questo ripetuto messaggio: che sono le donne le responsabili della prevenzione dello stupro, che le donne sono responsabili se subiscono violenza sessuale. Che è colpa loro. Anche perché, è notorio, gli uomini non possono frenarsi quando il raptus impazza. Quiz: Jane Goodall passò trent'anni in Africa ad osservare come si comportavano gli scimpanzé nel loro ambiente naturale. In questi trent'anni, quanti stupri poté notare fra le scimmie? Risposta: Neppure uno. I primati nostri cugini più prossimi non stuprano. Ovviamente non si possono trarre conclusioni assolute sul comportamento umano basandosi sul comportamento animale, ma questo semplice dato mette in crisi (se non bastassero a farlo i numerosi studi di psicologia e sociologia ecc. degli ultimi trent'anni) uno dei miti persistenti cresciuti attorno alla violenza sessuale, e cioè che la biologia maschile inclini e spinga gli uomini allo stupro, che si tratti di un irrefrenabile e primitivo impulso cui gli uomini non possono resistere. La violenza sessuale è invece appresa: nasce tutta dal convincimento sociale che gli uomini abbiano il diritto di dominare le donne.
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Avete ascoltato come vengono descritti i protagonisti della vicenda lombarda: lo stupratore non viene mai nominato come tale, è “il grande seduttore”. Un seduttore talmente abile da aver bisogno di drogare la ragazza con cui vuole avere rapporti sessuali. La giovane donna è invece “leggera”, leggi stupidina e improvvida, perché accetta di andare ad una cena con i colleghi in cui anche quest'uomo è presente; non basta più non uscire da sole con gli uomini, dobbiamo cominciare ad evitare anche i momenti conviviali di gruppo, o almeno dovremmo selezionare bene chi partecipa (come se i colleghi di lavoro una se li scegliesse). È incauta perché accetta il passaggio a casa da una persona che conosce e che, noi non lo sappiamo, può persino piacerle. Pare che sia normale, fra gli esseri umani, trovarsi simpatici o antipatici, attraenti o no; e pare che sia normale, per uomini e donne, avere desideri affettivi e desideri sessuali.
Cos'ha a che fare la violenza con questo? Perché dev'essere ossessivamente accoppiata al sesso? Se vi prendete la briga di esaminare il materiale pornografico troverete a stento una fotografia o uno scritto o un'immagine che esaltino il piacere reciproco e consensuale: troverete in abbondanza però catene, fruste, torture e stupri. È un altro dei tipi di propaganda che serve a desensibilizzare le persone rispetto alla crudeltà, a renderle cieche alla sofferenza altrui, e a perpetuare la nozione che metà della specie umana si trova su questa Terra al solo scopo di essere abusata e dominata dall'altra metà.
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È stato il femminismo a fare definitivamente della violenza di genere un crimine, a spingere perché fosse legiferato in tal senso. Ci siamo riuscite in numerosi contesti, nazionali ed internazionali; in altri stiamo ancora lottando. Abbiamo messo nuove parole nel vocabolario della politica: abuso sessuale, stupro maritale, violenza domestica, molestia sessuale. Ma la violenza, seppure sanzionata penalmente, non è ancora socialmente inaccettabile: ci sono sempre mille e un motivi per giustificarla. È ora invece che diventi una vergogna, perché è vergognoso che le persone vengano indotte culturalmente ad ammettere, sopportare, usare la violenza nelle proprie vite.
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Lo stupro di una donna è ammonizione, degradazione, terrore e limitazione per tutte le altre. La maggior parte delle donne e delle ragazze limita e sorveglia i propri comportamenti per paura dello stupro, anche se non le è mai accaduto di subire violenza. La maggior parte delle donne vive con questo timore, la maggior parte degli uomini no, e questo è' il modo in cui la violenza sessuale funziona come potente metodo di costrizione per metà dell'umanità.
Ma non è l'unico. Pensate a quanto è “di genere” la povertà. Quando non vi sono reti di sostegno sociale (welfare, redistribuzione equa delle risorse) una donna che vive con un partner violento è costretta a restarci. Quando impieghi mal retribuiti, non sicuri, non permettono ad una donna di costruirsi una vita decente, la espongono a situazioni in cui la violenza è facilitata. E questa è una responsabilità istituzionale rispetto alla violenza di genere, ovunque. La violenza strutturale che investe le donne ha ricadute pesanti su tutte le loro relazioni, sulla salute loro e delle loro famiglie, e sulla stabilità di una società che voglia dirsi “civile”. Non avremo una societa' civile e sicura sino a che non faremo uno sforzo per rigettare la violenza di genere.
A chi ha fatto della “sicurezza” furbizia elettorale o gradino verso la barbarie vorrei dire questo: le vite umane sono più sicure quando le persone sono libere. Libere da condizioni di lavoro pericolose, sottopagate, incerte, umilianti; libere da disoccupazione e da povertà; libere dalla violenza settaria, “etnica”, razzista; libere dalla violenza domestica. Sono, tutte queste, condizioni che le donne (native e migranti) conoscono assai bene, anche in Italia. Le donne sono circa il 70% del miliardo e trecentomila persone che vivono in povertà; sono oltre il 65% dei rifugiati mondiali, e i due terzi degli analfabeti del pianeta. Sono anche i due terzi della forza lavoro “informale” e sfruttata, possiedono l'un per cento delle risorse economiche mondiali e percepiscono un decimo dei guadagni, sempre su base planetaria. Le bambine hanno il doppio di possibilità, rispetto ai bambini, di morire di denutrizione o di malattie infantili, ma comunque bambine e bambini muoiono della discriminazione rivolta contro le loro madri, degli ostacoli che vengono posti alla libertà delle loro madri di controllare la fertilità e al diritto delle loro madri di avere un tetto sopra la testa, cibo e un lavoro decente. Si potrebbe dirmi sì, però tutto questo in fondo riguarda paesi lontani, noi qui stiamo abbastanza bene, eccetera. Be', non è del tutto vero. Il World Economic Forum non è certamente un organo “femminista” o “progressista”, però ogni anno si prende la briga di misurare il gender gap, il divario di genere, dal punto di vista economico, e stila una classifica. Ai primi posti si situano i paesi migliori, diciamo, quelli dove il divario è più stretto, e nel 2007 questi paesi sono stati la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, l'Islanda. A fondo scala, diciamo, ci sono il Pakistan (126), il Ciad (127) e lo Yemen (128). Immagino vi interesserà sapere a che punto sta l'Italia. L'Italia è all'84° posto, dopo paesi come la Bolivia (80), il Perù (75) e l'Armenia (70).
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La parità economica spinge verso la parità sociale in termini di accesso all'istruzione, al lavoro, al soddisfacimento dei bisogni, e via dicendo, e spesso concretamente permette alle donne di trovare vie di uscita da situazioni violente. Io credo che dovremmo interessarci parecchio ai bilanci delle istituzioni, dei governi, e pretendere un'analisi di genere per essi.
Non vi pare strano che ogni volta che servono soldi si decida di tagliare assistenza, sanità, ovvero la rete di sostegno sociale? Perché non si taglia altro? Perché il maggior carico di lavoro derivato dai tagli finisce su una categoria che è stata destinata (da dio, natura, tradizione, destino...) a prenderselo sulla schiena. Le donne. Donne che perdono l'impiego o lo lasciano anche se non vorrebbero per accudire anziani, malati e bambini, senza aiuto, senza compenso, come se fossero le sole ed uniche responsabili del tenere insieme la comunità umana di cui fanno parte. Non è questa violenza di genere, e un torto che dovremmo raddrizzare?
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È evidente che abbiamo molto, moltissimo, da fare.
Per quanto riguarda l'Italia abbiamo necessità di una campagna di massa che decostruisca dalle fondamenta tutti i miti pericolosissimi che si accompagnano alla violenza di genere (e che, come detto, in sintesi colpevolizzano la vittima). Abbiamo bisogno di istruire al genere, al rispetto fra i generi, innanzitutto gli operatori che vengono a contatto con vittime e perpetratori di violenza: le forze dell'ordine, gli avvocati, i giudici, e coloro che lavorano con bambini e adolescenti ad ogni livello, dalla scuola alla sanita' pubblica. Abbiamo bisogno di tavoli antiviolenza, e qui voi mi pare lo avete già, di case e seminari e conferenze e iniziative antiviolenza.
Forse abbiamo bisogno anche di piccoli atti quotidiani di femminismo “situazionista”, come quello di una mia amica che, di fronte al castello accessoriato in cui era rinchiusa la Barbie di sua nipote, ha avuto la pensata di mettere un cartello al collo della bambolina su cui stava scritto “Fammi uscire, devo andare al lavoro”. Da parte mia ho scritto di recente, pubblicamente, ad uno dei candidati sindaci per la mia città: costui, per onorare l'8 marzo, organizzerà “corsi di autodifesa” in piazza per le donne, di modo che possano contrastare (parole sue) l'eventuale “balordo” sconosciuto che decidesse di aggredirle. Gli ho risposto che se vuole il mio voto e vuole onorare le donne, i corsi li faccia agli uomini, per insegnar loro a rispettare il resto dell'umanità, e che purtroppo noi donne più che il balordo mai visto, siamo costrette a temere amici, compagni, amanti e mariti.
Sentite il Rapporto Istat rilasciato il 21 febbraio 2007, dal titolo “La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia”: «I partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate. I partner sono responsabili in misura maggiore anche di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenze. Il 69,7% degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è stato opera di estranei. Il rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto più elevato quanto più è stretta la relazione tra autore e vittima».
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Allora a me appare chiaro che educazione e informazione sono necessità primarie, fin dalla scuola materna, se volete, e mi appare anche evidente che in Italia quasi nulla dell'immenso lavoro culturale e politico che le donne fanno e hanno fatto viene visto, e che a quel quasi vien dato poco valore e ancor meno spazio. Non parliamo poi dell'oscuramento e del trattamento che ricevono gli uomini che rifiutano la violenza. Quindi, nonostante oggi sia insieme a voi in un'occasione di festa, io non posso negare che il quadro sia tutt'altro che bello, ma so che abbiamo degli strumenti a disposizione, e che questi strumenti spesso aprono degli squarci di luce.
So anche che qui sono presenti persone che lavorano contro la violenza di genere da anni, a diversi livelli, che forniscono aiuto e servizi, che creano cultura e modi diversi di stare insieme, modi in cui sono la cooperazione, la condivisione ed il rispetto a segnare le relazioni. E sono persone che meritano il nostro grazie, e il nostro appoggio costante. Costoro, donne ed uomini, conoscono di prima mano quanto serve far pressione sulle istituzioni, quanto serve riuscire ad accedere ai media, quanto serve contrastare nel quotidiano tutte le piccole e striscianti forme di svilimento e umiliazione delle donne. C'è un tesoro di esperienze e risorse, insomma, che potrebbe diventare più accessibile di quel che è, sino a porsi come senso comune. È un obiettivo che può tenerci insieme tutti e tutte, con le nostre differenze e le nostre storie, e dare inizio a quella grande campagna antiviolenza diretta all'intero territorio nazionale che io vado postulando (e sognando).
Maria G. Di Rienzo
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci messo a disposizione questo testo, utilizzato come traccia per una più ampia relazione a un recente incontro.]
(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 23 marzo 2008)