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La divisione del patrimonio ospedaliero e sanitario  
Una vicenda datata ma che conserva intatta l'attualità negli odierni quotidiani problemi
13 Gennaio 2006
 

Dall'archivio del Gazetin riprendiamo un articolo pubblicato sull'edizione dell'aprile 2004 perché i problemi che in esso venivano segnalati, anziché venire affrontati e risolti, si sono incancreniti. E la questione, inevitabilmente, sta tornando d'attualità oggi...


Le cronache dei mesi scorsi hanno riferito dell’intervenuto accordo tra le due aziende regionali, la sanitaria e la ospedaliera, che amministrano la sanità in provincia circa la “spartizione” del patrimonio immobiliare. Cosa abbia alla fine convinto i due direttori generali, Triaca e Spaggiari, a mettersi d’accordo al termine di un anno di (presumibili) litigi e di (certo) ritardo, non ci è dato di sapere. Indubbiamente fuori luogo la presenza del consigliere regionale Bordoni in quella sede, documentata dalle immagini diffuse per pubblicizzare l’accordo, non avendo questi alcun ruolo istituzionale nella partita (e non essendo certamente accettabile quello di arbitro di precari equilibri politici). Totalmente assenti, né a quanto risulta previamente interpellati, i Comuni che, invece, di quel patrimonio sono i legittimi e diretti proprietari e i cui cittadini sono i primi destinatari dei servizi che, anche con quelle risorse materiali, devono essere loro assicurati. Questa, a prescindere dalle specifiche scelte adottate, è una bruttissima pagina d’esordio per le neonate aziende e bene farebbero i Comuni, attraverso l’organo a ciò preposto (la Conferenza dei Sindaci), a pretenderne, per una questione appunto “di principio”, una riscrittura.

Nel merito, poi, e ci limitiamo a Morbegno avendo sott’occhio la situazione, all’AoV&V andrebbero sia il presidio ospedaliero (e cioè tutti i padiglioni che lo compongono), sia le sedi dell’ex CPS (ma Triaca ha dimenticato che al primo piano di quella palazzina vi è il “suo” SerT…) e della Comunità protetta “La Casera”. All’Asl, di conseguenza, che rimane? Nulla! Salvo tutti gli affitti da pagare (la sede ex Inam che ospita il suo Dipartimento di Prevenzione Medico, quella di via Carlo Cotta utilizzata per il Dipartimento di Prevenzione Veterinario e quella di viale Stelvio dove sono collocati il Dipartimento per le Assi e il Consultorio) e dover chiedere ospitalità in ospedale per gli uffici amministrativi e altri servizi a forte accesso di pubblico (Invalidi civili e assistenza protesica, Scelta e revoca del medico base, Urp, etc.).

Una prima considerazione va subito fatta. Gli attuali indirizzi nella materia portano a ritenere che, mentre gli ospedali (e quindi le aziende che li gestiscono) andranno verso una forma più o meno accentuata di “privatizzazione” (si parla di Fondazioni, come già sperimentato con le Case di riposo, etc.), l’Asl continuerà a restare una espressione più o meno diretta dell’amministrazione pubblica (e in primo luogo delle realtà comunali). Detto ciò, capiamo bene che, se le proposte avanzate dai due direttori generali venissero recepite a approvate tal quali dall’amministrazione regionale (non disponiamo di notizie fresche al riguardo), mentre l’AoV&V potrebbe subito mettere a frutto l’ingente patrimonio di cui verrebbe a disporre, per l’Asl viene subito a porsi un non indifferente problema di investimenti, mentre ancora deve sostenere pesantissimi oneri per gli affitti, per poter disporre di una sede adeguata e funzionale.

Di converso, la cosiddetta riorganizzazione dell’ospedale già ha portato e ancor più inevitabilmente porterà a necessitare di minori spazi fisici (poiché, se invece così non fosse, ci sarebbe certo e parecchio da preoccuparsi circa i risparmi cui tali processi organizzativi sono finalizzati!). Già da parecchi anni vi sono a Morbegno interi corridoi con stanze e vani non utilizzati, poi il completamento del nuovo Pronto Soccorso (sic!) e la realizzazione di diversi ingresso e portineria ne ha liberati altri che giacciono tuttora inutilizzati e il cui stato di abbandono e degrado, i conseguenti problemi di cattiva funzionalità nei percorsi non giovano certo… alla buona immagine della struttura. E questo, ribadiamolo ancora, mentre l’Asl continuava, come continua, a pagare fior di affitti in sedi del tutto inadeguate.

È di tutta evidenza come una scelta che avesse al contrario lasciato all’Asl il padiglione che s’affaccia su piazza S. Antonio avrebbe, se non risolto, certo mitigato i problemi non da poco che si prospettano con l’avventata scelta adottata. Uno perché l’edificio ben si presta – senza grossi sconvolgimenti e ripristinando gli antichi accessi che s’affacciano sulla piazza (con indubbi benefici anche di tipo architettonico e urbanistico) e magari, un domani, potendolo rialzare di un paio di piani – a realizzare la necessaria separazione/distinzione mantenendo il vantaggio dei collegamenti, comunque necessari, consentiti dall’adiacenza. Due perché la soluzione consentirebbe in tempi brevi, con l’analogo rientro del servizio di Recupero e riabilitazione funzionale in ambiente ospedaliero, la dismissione della sede di via Caccia Dominioni che è certamente, allo stato, la meno funzionale e la più problematica.

Al contrario, sia l’ingegnere/direttore (cui analoghe, costose, fantasticherie in campo ospedaliero sono andate male) che la Cm/impresa di costruzioni, stando a quanto riportato dalla stampa, hanno subito prospettato mirabolanti “cittadelle della salute”, con le più assurde e deleterie localizzazioni, che sarebbero pronti ad edificare in un batter d’occhio. Ora, a parte le reali esigenze del settore, dalle quali non si dovrebbe mai prescindere, il Comune farebbe bene a ricordare subito che lo strumento urbanistico vigente prevede un’area ben precisa per la funzione socio-sanitaria, oltretutto perfettamente adeguata e senz’ombra di dubbio la più funzionale, che risulta delimitata tra le vie Parravicini e Morelli. E ciò per stoppare sul nascere ogni velleità speculativa o, magari, di imitazione della politica delle “grandi opere”. Vero è che lo storico edificio – il padiglione di cui si tratta è il più antico del complesso ospedaliero – necessiterebbe di un radicale, e probabilmente oneroso, intervento di ristrutturazione, ma ciò va ragionato, in concorso tra tutte le istituzioni interessate, nell’ambito e a ineludibile completamento dei progetti e dei positivi processi già avviati sulla piazza e sul convento.


Emilia Santommaso
(da 'l Gazetin, aprile 2004)


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