Analizzando il fenomeno dell’usura nella sua evoluzione storica, notiamo che ha assunto, nei vari periodi, molteplici significati, che si spiegano con la radicale trasformazione dei suoi “contorni”, passata da una fase originaria, circoscritta alla società contadina, a una fase più evoluta rappresentata dalla nuova società mercantile.
Le due tradizioni religiose, pur diverse, mostrano di identificare questi due aspetti: il Corano proibisce tassativamente l’usura, comminando agli usurai il castigo eterno delle fiamme: «costoro saranno compagni del fuoco, e in esso rimarranno per sempre». È la stessa punizione divina riservata agli usurai fiorentini e padovani di Dante, che nel VII cerchio dell’Inferno li condanna alla pena delle fiamme che piovono dall’alto sul «caldo suolo del loro supplizio senza fine». Solo con l’avvento del Vangelo verrà operata una netta distinzione tra l’aspetto morale e la norma giuridica.
Analizziamo i passaggi più salienti dell’evoluzione storica per renderci conto di come l’usura sia stata trattata diversamente a livello giuridico dalle varie forme di società che si sono succedute nel tempo.
Nel diritto romano con il termine usurae si faceva riferimento al simbolico valore di “interessi”, e non di interessi eccessivi, che sono quelli che noi moderni chiamiamo appunto “usurari”, per cui il relativo termine non designava nulla d’illecito. Il termine era collegato all’uso e, più in particolare, al godimento del capitale dato in prestito. Infatti, l’idea che il capitale producesse un frutto o un interesse, era diffusa e radicata in tutta la società antica e raramente essa veniva accompagnata da una convinzione di illiceità.
Il dare, il prestare o il prendere denaro a usura o esercitare l’usura ha assunto una connotazione di antigiuridicità solo in epoca tarda. È con l’introduzione della moneta e la conseguente comparsa del prestito monetario a lunga scadenza che si è avvertita la necessità di introdurre limiti all’imposizione di interessi. I romani imposero sanzioni prevalentemente di natura pecuniaria all’usura, il cui disvalore era costituito essenzialmente dalla sproporzione tra le controprestazioni.
Con l’avvento del diritto canonico muta notevolmente l’approccio al fenomeno, diventa essenziale la tutela dello stato di bisogno in cui versa il contraente più debole, trasformando tale fenomeno, come si affermava al tempo, in un “male grave per l’ordine temporale oltre che per la salute eterna”.
Con lo sviluppo dei commerci e con le profonde trasformazioni sociali ed economiche, il prestito ad interessi assume sempre maggiore rilievo.2
La Chiesa, sebbene ancorata al principio dell’assoluta proibizione dell’usura si vede “costretta” ad abbandonare il proprio atteggiamento intransigente. Diventa innegabile, in tale contesto, come il prestito a terzi del denaro non può non arrecare al mutuatario una perdita, che diventa quindi titolo legittimo per la pattuizione di interessi.3
Siamo in un momento centrale della nostra analisi caratterizzata dal passaggio, da una società feudale, fondata su un’economia rurale, ad una società fondata sugli scambi commerciali, dove il prestito ad interessi diventa un elemento importante della vita economica e un fattore essenziale dello sviluppo e del cambiamento. Riprende di nuovo vigore la disciplina del fenomeno presente nel diritto romano basata sullo squilibrio fra le controprestazioni, spostando l’attenzione sul controllo della misura degli interessi, facendo assumere al mercato dell’usura una configurazione moderna. Tale impostazione si affermerà per un lungo periodo di tempo, sicuramente sino al diffondersi delle idee liberali, segno inequivocabile dell’influenza delle mutate concezioni economiche sulla disciplina giuridica.
Abbiamo visto che l’usura non ha costituito sempre un delitto e con detto termine si intendeva il frutto del denaro dato in prestito senza che ciò implicasse qualcosa di indegno, odioso o moralmente riprovevole.
Con la trasformazione e l’evoluzione della società il termine “usura” è passato attraverso un continuo cambiamento fino a rappresentare, ai giorni nostri, la richiesta e la corresponsione di tassi esorbitanti applicati ai prestiti in denaro, laddove un tasso moderato viene di solito chiamato “interesse”.
«Usura e interesse non sono sinonimi, e nemmeno usura e profitto lo sono; l’usura ha luogo laddove non vi è produzione o trasformazione materiale di beni concreti».4 Certo, non lo sono più; ma lo sono stati per molti secoli, almeno fino ai primi dell’Ottocento. Comunque ad oggi le leggi di quasi tutti gli stati civili regolano, l’entità dei tassi d’interesse esigibili sui prestiti, condannando l’usura come reato contro il patrimonio.
Santarelli ha accuratamente osservato: «Se vogliamo capire fino in fondo, non soltanto lo statuto complessivo dell’usura negli ordinamenti vigenti, ma tutti gli effetti che le normative in materia di usura hanno avuto e continuano ancor oggi ad avere nella struttura dei nostri ordinamenti giuridici, anche in settori che all’apparenza nulla hanno a che vedere con la fecondità o la sterilità dei capitali, è necessario andare a riscoprire le origini cronologicamente remotissime di quelle normative; e dopo averle adeguatamente riscoperte ci convinceremo che tra quelle origini apparentemente tanto lontane e l’attualità corre un rapporto di evidentissima continuità».5
Per tentare di capire che cos’è oggi l’usura bisogna avere chiari gli elementi che da sempre la influenzano e che variano in base all’evolversi delle concezioni economiche ed etiche.
I legislatori di vari paesi si sono visti inevitabilmente impegnati nell’affrontare la questione dell’usura e la prova del fatto che essa è intimamente legata al tipo di politica criminale di un periodo storico o di un singolo Stato è data dal fatto che si è più volte oscillati tra la proibizione pura e semplice e la regolamentazione più o meno rigida di essa.
Nei codici preunitari, quali il Toscano, il Parmense, il Regolamento degli Stati Pontifici e nel Codice Penale Sardo del 1839, la pratica dell’usura viene punita limitando la sanzione penale a modesti fenomeni di prestito, si colpisce la dimensione “microeconomica” del fenomeno e la sua regolamentazione ha lo scopo di controllare il fenomeno dei prestiti. Ciò spiega perché il delitto di usura è in genere compreso fra quelli che offendono il patrimonio individuale.
Con l’affermarsi delle idee liberali in economia, la disciplina penale dell’usura subì un’ulteriore mutazione, nel senso che con la progressiva annessione degli stati preunitari al Regno d’Italia e l’emanazione del codice civile del 1865, la repressione penale fu eliminata. Infatti il codice penale Zanardelli, del 1889, era privo di una norma sull’usura in omaggio appunto al principio tipico della società liberale, concernente la libertà degli interessi.6
Le pressioni della teoria e della prassi a favore di un controllo del fenomeno, portarono alla redazione e alla presentazione di cinque progetti di legge, tra il 1894 e il 1910, ma senza successo.
Nel codex iuris canonici del 1917 resta ferma la riprovazione dell’usura anche sul piano giuridico dal momento che tale comportamento si pone come espressione di avarizia e di lesione del comandamento cristiano fondamentale della carità.
Sarà con il codice Rocco del 1930 (nel quale si pose un limite all’interesse che il creditore poteva vantare nei confronti del debitore) che l’usura torna ad essere un delitto (art.644 c.p.), anche se è doveroso sottolineare che, con l’avvento del regime fascista, già nel 1926 con Circolari ministeriali, si cercò di controllare il fenomeno, prima con provvedimenti di polizia e successivamente con il T.U. di pubblica sicurezza del 1931, che introduceva l’ammonizione e il confino per gli usurai.
Quella apprestata dal Codice del ‘30 si rivelò ben presto una costruzione definita “una rete a maglie larghe”, per la presenza nella normativa di elementi strutturali di non facile accertamento.7
La situazione è radicalmente cambiata con l’entrata in vigore del codex iuris canonici del 1983, con il quale il diritto canonico non si occupa più dell’usura come reato: l’esercizio del prestito a interesse viene lasciato alla sfera della coscienza individuale, come questione d’ordine morale più che giuridico.
Nella codificazione canonica del 1983 non esiste una normativa specifica riguardante l’usura e lo stesso termine scompare sia nella trattazione riguardante i beni temporali della Chiesa che nella parte penalistica del nuovo codice.
Il parlamento italiano invece con la Legge n. 356 del 1992 introduce una nuova figura di reato la c.d. usura impropria fra le misure promulgate per contrastare la criminalità di tipo mafioso. Infatti la finalità della fattispecie è quella di predisporre primariamente una difesa contro l’emergente fenomeno dell’infiltrazione delle organizzazioni mafiose nell’attività usuraria, mediante esosi prestiti alle imprese in crisi, finalizzati ad aggravarne le difficoltà economiche al fine di acquisirne il controllo e successivamente la proprietà delle stesse.
Il legislatore nella consapevolezza del grave problema della connessione instauratasi tra usura e criminalità organizzata, inserisce nel codice penale un’ipotesi di usura qualificata, caratterizzata da due particolari novità: in primo luogo, l’attività imprenditoriale o professionale del soggetto passivo e in secondo luogo, dal nuovo oggetto della condotta di approfittamento: non più lo stato di bisogno ma le condizioni di difficoltà economica e finanziaria della vittima.
Il riferimento a chi svolge un’attività imprenditoriale o professionale conduce ad una prospettiva macroeconomica di tutela, comprendendo anche le imprese e il mercato, segnando così il passaggio da una concezione tradizionale dell’usura, legata a fenomeni minori, per lo più di carattere individuale, ad una più moderna, con chiari collegamenti anche alla criminalità organizzata, aspetto tenuto in giusta considerazione dalla legge del 1996.
Quindi dopo un primo intervento riformistico ad opera del legislatore del 1992, ne è seguito un secondo a distanza di appena quattro anni con la L. 7 marzo 1996, n. 108, al quale dobbiamo l’attuale formulazione del nostro art. 644 del c.p.
L’usura è oggi in grado di assicurare redditi elevatissimi, è un buon mezzo per il riciclaggio del denaro sporco, costituisce un investimento poco rischioso ed è un fenomeno in allarmante crescita.
La ratio di queste improvvise e accelerate modifiche va ritrovata nel dichiarato intento non solo di reprimere ma anche di prevenire il ricorso al credito ad usura che per la prima volta viene riconosciuto intimamente connesso con il crimine organizzato.
Lo stesso quadro normativo di contrasto, tradizionalmente caratterizzato da una marcata connotazione penale repressiva, non ha consentito di fronteggiare efficacemente il fenomeno dell’usura, contro il quale, una volta individuate le cause sociali, economiche e storiche del suo dilagare, occorre costruire uno “strumentario” vasto ed articolato che deve spaziare da una corretta disciplina civilistica (peraltro già presente nel nostro codice) ad un razionale sistema di erogazione del credito fino alla creazione di un sistema amministrativo periferico al quale far riferimento per frenare sul territorio le manifestazioni del fenomeno.8
Si tratta di costruire un complesso e armonioso sistema di tutela, capace di ricorrere non soltanto alla tradizionale protezione offerta dal diritto penale, ma anche a disposizioni di diversa natura ed origine.
Inoltre il sistema di tutela pensato dovrà essere efficiente e per essere tale la tutela non può essere isolata cioè affidata alla sola incriminazione.
«Una lotta effettiva all’usura non può non passare attraverso un efficace controllo del territorio, tale da creare una situazione di minore insicurezza e da incoraggiare il ricorso all’autorità giudiziaria».9
Collegata alla questione del controllo del territorio, si potrebbe far ricorso anche ai rimedi offerti dal diritto civile, che potrebbero essere utilizzati per le ipotesi meno gravi.10
Per completare e soddisfare pienamente l’esigenza di effettività e per poter arrivare alla costruzione di un’efficace strategia complessiva di tutela, accanto al miglior controllo del territorio e all’arretramento dell’intervento penale a favore di quello civilistico, è necessario affrontare il punto essenziale della possibilità di incidere da parte dello Stato nel settore bancario e finanziario ed in particolare in tema di accesso al credito. Su questo punto per meglio sintetizzare il concetto si riportano le parole di Cavaliere: «le organizzazioni criminali offrono un -servizio- rispetto al quale c’è una forte domanda, inevasa dal sistema legale del credito. Si tratterebbe allora di tentare di espandere le possibilità di accesso al mercato legale del credito, sottraendo clienti al sistema illegale, e quindi in maniera preventiva e non tramite fondi di solidarietà e iniziative simili che intervengono solo in un momento successivo».
In conclusione è opportuno sottolineare come il futuro debba passare attraverso l’operatività dello “strumentario”, cioè un ventaglio di misure costituite da interventi di natura preventiva da ricercare in primis in altre branche del diritto e altri di natura repressiva con l’importante notazione che la sanzione penale deve rappresentare l’extrema ratio, nel senso che deve entrare in funzione una volta che tutte le altre misure abbiano fallito.
Alfredo Esposito