Giorgio Ferrari
Cuba senza Castro
Il dopo-Fidel è già cominciato
Boroli Editore, pagg. 180, € 14,00
Fidel Castro si fa da parte, s’inventa un ruolo di maestro di vita in pensione, scrive riflessioni sul Granma, consegna Cuba al fratello Raúl, ma continua a condizionare le scelte di governo. A Cuba sta finendo un’epoca? Molti commentatori cercano di dare una risposta, si arrampicano sugli specchi, espongono una serie di teorie contraddittorie e in definitiva concludono che per il momento non ci sono segnali di cambiamento. Raúl Castro rappresenta la piena continuità con il passato, è un uomo troppo succube di un ingombrante fratello per poterlo contraddire. La morte di Fidel Castro aprirà le porte a possibili cambiamenti, ma quel giorno è nelle mani del destino. Per il momento Raúl si circonda di fedelissimi comunisti come José Ramon Machado Ventura, Juan Almeida Bosque, Esteban Lazo, Abelardo Colomé Ibarra, Julio Casas Riguero e (migliore tra i peggiori) Carlos Lage. Come sperare in un cambiamento con un governo composto da uomini della vecchia nomenklatura?
Cuba senza Castro è un libro obiettivo, politicamente corretto, un reportage sul campo, scorrevole come un romanzo e ben documentato. Giorgio Ferrari utilizza uno stile elegante e a tratti romantico per descrivere l’ultimo avamposto comunista, una terra dove sta avvenendo un cambio invisibile. Il Comandante in capo sta per morire e nessuno sa cosa accadrà. Raúl rappresenta il lato oscuro del potere, braccio forte del regime, controlla polizia, esercito e servizi segreti, soprattutto non tollera i dissidenti. A Cuba non c’è pericolo di guerra civile, secondo Ferrari, nessuno muore di fame (è ottimista, non ha visitato gli albergues), tutti sono abituati (direi meglio obbligati) ad affidare il loro destino al comandante, sanità e istruzione sono invidiati dal mondo intero… Condivido la mancanza di pericolo di una guerra civile, ma non per questi motivi, il problema è che non esiste una borghesia, non c’è un ceto medio, tutti sono poveri e le rivoluzioni non le fa la gente che non ha da mangiare. Terrore, repressione e miseria sono le armi per tenere buoni e impegnati i poveri cubani. Ferrari mette il dito sulla piaga del tesoro accumulato all’estero dai fratelli Castro e questo passaggio dovuto sconvolgerà i castristi italiani che negano l’evidenza. Analizza i possibili successori di Raúl, visto che il fratello di Fidel non è un ragazzino e il suo compito pare quello di traghettare Cuba verso la modernità. Tra i migliori soggetti per la futura Cuba individua Roberto Alarcón, che ha una faccia da brav’uomo, ma non credo possa fare molta strada dopo la figuraccia rimediata con gli studenti universitari. Ferrari ha il merito di raccontare il caso Ochoa come una sporca storia di contrabbando e narcottrafico, ma soprattutto come un’esecuzione mirata a togliere di torno un pericoloso concorrente. Ochoa cominciava a essere troppo popolare, dopo la guerra di Angola e le evidenti simpatie per il nuovo corso sovietico. Fidel non poteva permettere che andasse oltre.
“La vita agra ai tempi di Fidel” è un capitolo ben scritto ma lacunoso, perché troppo ottimista quando afferma che il cubano spende 126 pesos per mangiare e con altri 90 copre le altre necessità. Un cubano con 126 pesos fa la fame, non sopravvive, in un’economia basata sul peso convertibile che è parificato all’euro. Per fortuna che il cubano inventa, ruba, fa mercato di tutto, dispone di parenti all’estero, scappa, sposa uno straniero e chi più ne ha più ne metta. Fa bene Ferrari a dire che il regime comunista corretto al doppio mercato produce forti disuguaglianze sociali tra chi maneggia valuta pregiata e chi dispone soltanto di pesos. Il turismo è l’unica via d’uscita per tanti laureati costretti a fare i tassisti, le prostitute, gli affittacamere, i camerieri e i ristoratori casalinghi per sopravvivere. Ferrari descrive le speranze di cambiamento rappresentate dal Progetto Varela di Payá, cita le dame in bianco, denuncia i 300 dissidenti incarcerati senza nessun rispetto per le loro condizioni di salute. L’autore racconta la vita in campagna, le fughe dei balseros e dei marielitos, aggiunge che la maggior parte dei cubani non scappa per motivi ideologici ma per migliorare le proprie condizioni di vita. Verissimo. Il problema principale dei cubani è quello di mettere insieme il pranzo con la cena, ma è anche vero che non vedono un futuro e una possibilità di miglioramento sociale.
Le conclusioni di Ferrari sono condivisibili. A Cuba è difficile che possa cambiare qualcosa nell’immediato, perché Fidel Castro è ancora vivo, i cubani di Miami non vogliono modificare certe posizioni di privilegio e Hugo Chávez offre stampelle enormi al regime.
Cuba senza Castro è un ottimo libro che tratteggia luci e ombre di un comunismo caraibico vicino al tramonto, fa pensare, non propone soluzioni preconfezionate e non si abbevera a nessuna ideologia. Un vero gioiello in tempi di giornalismo servile e interessato che usa la calunnia e la retorica come arma di convincimento.
Gordiano Lupi