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Alberto Figliolia. Intervista a Giuseppe Garibaldi
01 Marzo 2008
 

Giuseppe Garibaldi. Si chiama come il suo illustrissimo antenato: gloria nazionale, il più celebre della storia patria, scolpito nell'immaginario del nostro pur composito popolo, splendido prototipo, e non stereotipo, dell'italiano presso la fantasia di altre e disperse genti. Fautore dell'unità d'Italia, combattente della libertà, difensore dei poveri, dei deboli e dei reietti, ammantato del più romantico fascino, la memoria di Giuseppe Garibaldi rimarrà indelebile, particolare dimostrato, non soltanto ma anche, dalla molteplicità di piazze, vie, quartieri, scuole e statue, equestri o no, e quant'altro dedicatigli nel Bel Paese.

Giuseppe Garibaldi è il pronipote dell'uomo di Caprera, discendente diretto del comandante delle Camicie rosse e dei Mille, del guerrigliero per la libertà in Uruguay, del marito di Anita, del capitano di lungo corso e, nella sua incredibile e meravigliosa vita, anche del fabbricante di candele, in una New York senza skyline di grattacieli, con Antonio Meucci, l'inventore, scippato, del telefono. Giuseppe Garibaldi, l'icona del nostro passato la cui luce vorrebbe gettarsi beneficamente sul presente.

Il Giuseppe Garibaldi con cui abbiamo ora la ventura di parlare è un uomo colto e garbato, che di lavoro fa il dirigente ENI nella Direzione Rapporti istituzionali e comunicazione esterna e vive a Roma - «Anch'io ho girato e giro il mondo cercando sempre una relazione umana» - e non prova affatto imbarazzo nel portare un nome e un cognome tanto impegnativi.

«Ho sempre pensato che l’uomo era tanto grande che ho preferito essere una buona copia di me stesso. Lui era ed è irraggiungibile. Sono orgoglioso del mio bisnonno e mi piace continuare a trasmettere il senso della vita di quello che è stato L’Eroe dei due mondi».

Chi era il suo illustre antenato, oltre l'epica e l'agiografia? Qual era, anche in una veste familiare, la pasta dell'uomo Giuseppe Garibaldi?

«Un uomo con la U maiuscola, come ho avuto modo di appurare anche da alcune testimonianze pervenutemi da uno dei suoi figli, zia Clelia, terzogenita del terzo matrimonio. Morta nel 1959, lei ha potuto raccontarmi tante cose dirette. Suo padre, e mio bisnonno, non era solo un grande combattente o corsaro o generale: lui mi ha lasciato il segno, soprattutto scoprendo con quali sentimenti si muovesse per il mondo. Perché non si può mai dimenticare che sentiva la necessità di fare qualcosa per gli altri, per i più deboli. Da dove nascevano questo sentimento e questa necessità? Si può scoprire leggendo le sue memorie e le sue lettere. La zia peraltro raccontava di come suo padre fosse sensibilissimo alle piante e agli animali: era capace di aggirarsi per Caprera di notte alla ricerca di un agnello sperduto, che poi confortava con una spugna imbevuta di latte. Il mistero era il profondo amore che nutriva per gli altri e per il Creato; riteneva la sua anima come un atomo del Creato e di quella di Dio. Semplice, bella, sublime, è la religione del vero: essa è la religione di Cristo poiché tutta la dottrina di Cristo poggia sull’eterna verità, scriveva il bisnonno. Per tutta la vita si è portato dentro questi sentimenti di fede e solidarietà. Ma sapeva difendere anche gli atei perché essi pure avevano il diritto di esprimersi».

Quindi non era, come lo si è dipinto, un antireligioso per eccellenza?

«C’era un problema politico, non poteva riconoscere il potere temporale della Chiesa, altra cosa erano la fede e la religione. Infatti aveva ottimi rapporti con i francescani e difese Don Bosco quando gli oratori venivano perseguitati un po’ da tutti. Altri suoi amici fra i religiosi erano il barnabita Fra’ Pantaleo e Don Gavazzi che andò con lui a New York. Quando Anita stava morendo nella fuga verso Ravenna, a Pietrabuia fece dire tre messe per lei: il fatto di chiederle significa che sentiva pur qualcosa dentro».

L'eroe preferito dagli italiani, non a caso definito dei due mondi, ha navigato e viaggiato per decine di Paesi e nazioni...

«Ha girato e toccato il mondo per necessità, in esilio, navigando, commerciando, combattendo, e conosceva uomini e persone dal Perù al Mar Nero, dalla Cina agli Stati Uniti d’America. Aveva un’intelligenza così vivace che approfondiva ogni argomento gli interessasse per cui sapeva di armi, agricoltura e allevamento, ma anche di trigonometria sferica che gli serviva per calcolare le rotte marine. Era un uomo amante della natura che si era perfettamente integrato con il mare. A questo proposito Caprera era per lui come una nave. Nella sua isola spaccava il granito per liberare i terreni che cominciò a coltivare. Per meglio riuscire studiava sui libri come si doveva concimare o curare le piante ammalate o come mantenere sani e produttivi gli alveari. Posso affermare, anzi, che fu un vero e proprio agronomo: tanto del tempo libero lo dedicava a riviste specializzate in agricoltura a cui era abbonato. Amava gli animali: la cavalla Marsala che l’aveva seguito per vent’anni fu da lui seppellita con il marmo che aveva anche usato per dare sepoltura alla sua piccola figlia Rosa Questo rapporto con la Natura permise all’uomo Garibaldi di permearne la propria personalità; aveva imparato a conoscere una natura che rinasceva ogni volta, dopo ogni battaglia, con i suoi ritmi vincenti e con pochi compromessi, quelli millenari del ciclo della vita. Fu così che il mio antenato seppe non perdersi nei tanti compromessi della politica, ma ugualmente inseguiva degli obiettivi per raggiungere i quali seguiva queste regole che ne facevano, come si usa dire oggi, un uomo vincente».

Tuttavia rinunciò ad ogni privilegio...

«Sbatté la porta al Parlamento, schifato dal fatto che i politici parlavano troppo senza risolvere i problemi della gente. Oggi si tapperebbe le orecchie di fronte a una politica senza prospettive e continuerebbe a essere un uomo fermo. In ogni caso poteva e sapeva essere un fine e arguto politico. Non intraprendeva un’azione d’armi se non ne aveva calcolato le conseguenze».

Qual era il rapporto che Giuseppe Garibaldi aveva con il denaro?

«Non sapeva bene che farsene. Diceva che ognuno deve essere messo nelle condizioni di guadagnare il giusto. Si può comunque dire che lui ha sempre lavorato per gli altri. Era talmente disinteressato che a un certo punto si è trovato anche in cattive acque finanziarie. Difatti si mise a scrivere, vedi I Mille, per guadagnare. Del resto aveva rifiutato la pensione dello Stato. Il suo pensiero era... Ho fatto tanto per un’Italia colma di valori, orgoglio e lavoro. Invece che mantenere la burocrazia e gli eserciti convertiamo tutto in opere sociali. È utile riportare un altro esempio sul suo modo di porsi al riguardo: la regina Vittoria gli chiese quale bel regalo potesse fargli. Una stufa di ghisa, rispose alla Regina, alla quale, tuttavia, ciò sembrava poco. Infatti mise un collier di pietre preziose dentro la stufa. Il bisnonno mise subito in azione la stufa. Del collier non si seppe mai nulla».

Il suo bisnonno era famosissimo anche fuori dei confini ed era il pericolo pubblico numero uno...

«Era più temuto qui a Caprera che da qualsiasi altra parte: era spiato da tutte le polizie d’Europa. C'era un continuo viavai di gente: spie, visitatori e ammiratori o ammiratrici da tutto il mondo. Caprera ad ogni modo era la sua base operativa per riflettere, raccogliere le idee e cominciare ad agire, e qui tornò, deluso, dopo aver fatto ogni possibile. Sì, dopo l’unità d’Italia, tornò qui con le sementi per la terra».

Lei sa com'era nei momenti più privati o nel cosiddetto tempo libero?

«Amava tantissimo la lettura, in particolare Foscolo, e amava scrivere poesie. Sapeva essere anche molto allegro e gli piaceva suonare l’organo a manovella, cantare e ballare con la figlia Teresita. Dei musicisti amava in particolare Giuseppe Verdi. Gli piaceva mangiare stoccafisso e baccalà che cucinava lui. Era sempre sobrio e parco, come dimostra il fatto che non accettasse, per esempio, inviti a bordo di cutter dell'aristocrazia inglese. Però, magari, andava a mangiare nelle case dei pescatori. Si sappia tuttavia che era un uomo molto attento alla comunicazione: era seguitissimo dalla stampa straniera e teneva alla sua immagine in quanto depositaria di valori in cui credeva fortissimamente ed era assai attento alle innovazioni tecnologiche del tempo, fra cui la fotografia: per questo motivo oggi abbiamo le foto di tutti i Mille! In Cina si parla ancora adesso, e in un certo modo, di Giuseppe Garibaldi, così come in India. Può anche darsi che con quest'ultima ci sia stata un'interazione di pensiero pacifista. Le idee del mio bisnonno hanno girato per il mondo. Eppure, nonostante le migliaia di libri scritti sul suo conto e le parole per lui spese, di Giuseppe Garibaldi non è ancora stato detto tutto, anzi purtroppo in occasione del bicentenario della nascita troppo spesso si sono dette e inventate storie destituite di qualsiasi fondamento!»

 

Alberto Figliolia

(per 'l Gazetin, marzo 2008)


 
 
 
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