Par di capire che i radicali si siano “venduti”, per l’equivalente di un piatto di lenticchie. Par di capire che l’accordo elettorale con Walter Veltroni e il Partito Democratico sia una “svendita” dei valori, dell’identità, della storia stessa dei radicali. Par di capire, insomma, che i radicali stiano pregiudicando in modo irreparabile il loro essere, la loro stessa ragione costitutiva.
Figuriamoci: ma è evidente che la mancanza di un simbolo radicale nella scheda è cosa che brucia. Altrettanto brucia il veto a Marco Pannella e a Sergio D’Elia. Chiunque abbia voglia e pazienza di ascoltare gli interventi ai lavori dei Comitati di Radicali Italiani e dell’Associazione Luca Coscioni, si renderà ben conto di come la cosa sia vissuta e dei travagli che comporta. Con tutto il rispetto per i “mal di pancia” (e chi scrive li rispetta considerandoli anch’essi dati politici meritevoli della massima considerazione), la questione, però, così è mal posta.
Si potrà o no condividere la scelta di perseguire un’intesa con Veltroni e il PD. Ma occorrerà tener presente che a queste elezioni si va con una legge elettorale (il famoso “porcellum”) che lascia ben poche possibilità a quelle forze politiche che “corrono” da sole. A questo punto si potrà legittimamente obiettare: meglio soli che mal accompagnati, anche se questa “solitudine” comporta la ragionevole certezza che non si sapranno superare gli sbarramenti elettorali e si resterà fuori dalle istituzioni.
Benissimo. Si può anche decidere di giocare una scommessa che ha pochissime o nessuna possibilità di essere vinta, e moltissime di vederci fuori da Camera e da Senato. La “purezza” radicale non ne verrebbe intaccata. Ma sommessamente: non pare davvero che una pretesa “purezza” radicale sia la questione essenziale.
Nella passata legislatura, sotto le bandiere della Rosa nel Pugno, furono eletti diciotto deputati, e scippati quattro senatori. Gli equilibri parlamentari di quella legislatura sono noti e conosciuti. Nove deputati erano espressione socialista; due, Turci e Buglio, venivano dai DS e quasi subito hanno deciso di percorrere altre rotte; sette deputati radicali, dunque, con Emma Bonino ministro, e Capezzone presidente della Commissione attività produttive; quest’ultimo, quasi subito, in rotta di collisione con il gruppo dirigente radicale. Alla fine, sei deputati. Bene, questa esigua presenza da una parte non ha svenduto o pregiudicato alcun valore, alcuna identità, alcun “vissuto” radicale. Hanno anzi arricchito e impreziosito la nostra storia, e si ammetterà che tra le non molte cose positive del governo Prodi ce ne sono sicuramente due che portano il timbro radicale: la moratoria per le esecuzioni capitali nel mondo votata dall’assemblea generale dell’ONU; e il bilancio più che positivo – in termini politici, di considerazione internazionale e di economia – del ministero guidato da Emma Bonino. Poi si potrebbero fare altri esempi: la quotidiana, positiva azione di Marco Beltrandi, per quel che riguarda le vicende relative alla RAI e all’informazione in genere; l’efficace azione di contrasto in materia di politica economica contro le scelte conservatrici della sinistra comunista dei Diliberto e dei Giordano… Insomma, la presenza nella maggioranza della “pattuglia” radicale (che peraltro non aveva, giova ricordarlo, alcuna voce in capitolo al Senato), è stata significativa e importante. Ci sarà senz’altro chi obietterà che “si doveva”, “si poteva”, “non è sufficiente” e quant’altro. Ma la politica radicale è sempre stata quella paziente e ostinata della goccia che scava, non dell’assalto ai palazzi d’inverno.
Siamo all’oggi. Figuriamoci se è questione di assicurare una “poltrona” a Emma Bonino o a Rita Bernardini (foto), per fare due nomi. Si aveva bisogno di arrivare al 2008 per porsi il problema di una “poltrona” o di uno “sgabello”? Ma davvero si pensa che non si sono avute maggiori e migliori occasioni, se questa fosse stata l’intenzione? E davvero si ha così poca considerazione di quello che siamo – e così poca memoria di quel che si è saputo essere – per essere presi dal dubbio che ci si “svenda”? Davvero una storia di cinquant’anni non significa nulla, il “fare” e il “fatto” di Pannella, Bonino e di tutti noi è così irrilevante, se poi oggi si può credere che non si è altro in attesa che di quel piatto di “lenticchie”?
Se si decide di giocare la partita – e che sarà difficile, complessa non c’è dubbio – è perché si ritiene che questo paese abbia necessità vitale di una politica riformatrice e liberale, e che nelle istituzioni ci sia bisogno di una presenza politica che questa politica riformatrice e liberale la incarna. Per questo si pagano dei “prezzi”, e si accettano umiliazioni. A chi in questi giorni sostiene che i radicali sono un qualcosa di “comprato” e “venduto”, si suggerisce cautela: chi dice (e magari qualcuno spera), che i radicali sono in svendita, avrà modo di ricredersi. Poco (forse), ma sicuro.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 28 febbraio 2008)