È sempre più difficile per l’educatore, sia esso genitore o insegnante, orientarsi in una società che giorno dopo giorno perde per strada i principi fondamentali dell’educazione e ne azzera il contenuto.
L’osservanza delle regole e l’applicazione dei principi morali sono elementi base del vivere civile dove prioritario è il rispetto della persona, l’intangibilità della sua dignità, l’ottemperanza dei diritti e dei doveri, ma l’orizzonte resta immobile nel marasma generale, stretti in una cappa plumbea dove non si scorge né un’evoluzione, né una revisione, né un tentativo di “resurrezione” dalle sabbie mobili dove affondano i principi morali e con essi la nostra storia.
Come educare se tutto diventa spettacolo e nel senso più deteriore del termine: il processo di Erba, a dir poco, “spettacolare”…, bambini costretti in stato di schiavitù, la violenza in famiglia, lo scotch per zittire, la lingua lesa per punire, bimbi di famiglie non in regola, lasciati fuori dalla scuola, lo sfruttamento degli indigenti, situazioni precarie senza soluzioni, il “rifiuto dei rifiuti”, quattordicenni allo sbando e studenti ultimi in classifica, le violenze sessuali e le deviazioni morali; una precarietà di vita che non consente progetti, una povertà tangibile, l’insofferenza verso il diverso e l’indifferenza verso il bisognoso, le morti bianche, una religione che non convince e che troppo interferisce, politici che ledono la dignità del loro mandato: sputi, vituperi, turpiloqui, arroganza e derisione, ideologie azzerate, sono queste le immagini quotidiane proposte dai media e questi i modelli e le prospettive di vita che quotidianamente vengono offerte ai giovani e in specie agli adolescenti senza considerarne la reazione emotiva; tutto ciò che di bello e positivo viene fatto non diventa, se non raramente, notizia, dimenticandoci che i ragazzi passano ore a recepire tali messaggi attraverso anche internet e sono quegli adolescenti che ci guardano e ci imitano. Questo è in sintesi lo specchio negativo della nostra società che attraverso le immagini colpisce direttamente e senza difese la fantasia dei ragazzi e che crea in tutti noi un disagio, un malessere latente che ci fa guardare con nostalgia al passato, perché oggi ci sentiamo strumenti di un meccanismo dove la scelta libera diventa condizionata da altri strumenti subdoli e insidiosi; la nostra è diventata una società di parole e di promesse e non più di principi; un sistema che non lascia al singolo nessuna difesa; dove la piccola frangia di chi ha si potenzia sempre di più a detrimento di chi non ha e non ha mezzi per avere… e specialmente dei giovani; ogni giorno ci sentiamo defraudati del corretto vivere e non abbiamo armi di difesa perché troppo forte è il potere mediatico che ci sottrae anche la capacità di pensare e di riflettere, e i più danneggiati sono i ragazzi. La scuola, la famiglia e chi per essa non possono da soli assolvere il loro compito di educatori perché troppo forte è l’incidenza esterna e troppo negativo lo specchio di chi dovrebbe essere esempio primo… e spontanea viene la domanda: “Da dove nasce la violenza che ci circonda, e quella degli stadi? Da chi bisogna imparare? Quale linguaggio adoperare? Cosa rispondere ai nostri ragazzi e ai giovani, che vogliono partecipare e chiedono sicurezze e certezze? Chi additare a mo’ di esempio? Quali principi insegnare, se questi vengono quotidianamente vilipesi e calpestati?”
L’educazione, come detta la stessa Pedagogia, è il cardine della società e pertanto implica l’insegnamento, e non solo a scuola, di principi e valori.
È necessario uscire dal “buco nero” della diseducazione e riappropriarci della nostra capacità di educatori a tutti i livelli; dobbiamo consorziarci contro ogni forma di strumentalizzazione; ognuno deve riprendere con responsabilità il proprio ruolo, e insegnare a capire, a discernere, a ragionare, ad acquisire il senso critico; per fare questo bisogna riscoprire il “focolare” domestico, il dialogo per confidarsi, confrontarsi, esserci. Bisogna riscoprire il “C’era una volta” e con esso la lettura, la scrittura, il sapere e il fare: la cultura deve riappropriarsi in ogni sede, dei suoi strumenti educativi e contrapporsi con forza ai falsi messaggi che inquinano i nostri ragazzi; “Educhiamoci” prima noi adulti se vogliamo educare i giovani; ognuno deve sentire su di sé la responsabilità di un mandato di continuità e non di distruzione; l’educatore sia esso maestro, genitore o qualunque altro ruolo ricopra, deve rispondere moralmente del compito di cui è investito e chi non si sente in sintonia con tale ruolo deve in coscienza rinunciarvi per dovere verso tutti; solo così facendo, potremo diventare per i giovani, “esempio” positivo e dare l’input per ricominciare.
Già in altri scritti, sparsi in queste pagine (Scuola - notizie e commenti), ho parlato degli adolescenti, perché l’adolescenza è a mio parere la fascia d’età più esposta a rischi di ogni genere, ed è verso gli adolescenti che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione; la lezione è semplice: dialogo, comunicazione, apertura alla diversità, “Amore” sono le parole “chiave” di un processo che dobbiamo attivare, in uno scambio di ruoli tra educatore e educando; non è più tempo di dettare principi, è tempo di ascoltare chi annaspa in una palude che lo ingoia giorno dopo giorno; i giovani non ci chiedono ricchezze, ma Amore, quell’Amore che non sappiamo utilizzare per far crescere un cuore.
Chi vive la realtà della scuola, a qualsiasi livello, la conosce perfettamente e sa di avere in mano tutti gli strumenti per poter educare se crede fermamente nei valori della cultura, dell’educazione ma essenzialmente nei giovani: promessa e premessa per un domani diverso dall’oggi.
La vera lezione di vita si vive a scuola, in famiglia, in tutte le sedi della vita sociale e comunitaria e spetta a chi è preposto all’educazione in modo diretto o trasversale prendere atto di disagi e malesseri, campanello di allarme di uno stato di precarietà e di diffidenza, e intervenire per dare serenità, sicurezza e fiducia. Diverse dottrine e scienze concorrono allo studio dell’educazione ma la lezione più forte e autentica, perché vera, resta quella della quotidianità.
Teorie e parole non servono a risolvere una situazione degenerante che è sotto gli occhi di tutti ma che grottescamente si finge di non vedere; chi ha in mano l’informazione con parole e immagini, chi è preposto all’educazione, in qualsiasi settore della vita associativa, trasmetta messaggi positivi: che bellissimo è l’essere e niente è l’apparire; che il bullo è il più debole; che in ogni circostanza c’è chi è pronto a intervenire con atti e con parole; che gli adulti sono pronti a confrontarsi; che ci sono spazi aperti a tutti, giovani compresi; che il mondo è fatto a gradini per età ma tutte parimenti da considerare; che esistono ideologie capaci di coltivare le menti; che il mondo è fatto di mani che si stringono e non di risse pubbliche: i ragazzi ci guardano e questo si aspettano e se un giorno, il mio Pinocchio si deciderà a diventare bambino, una veste che rifiuta per paura dell’adulto (vedi articolo), allora avremo vinto la battaglia contro la nostra negligenza e ricomincerà la rigenerazione in cui gli adulti daranno la mano ai giovani, i giovani agli adolescenti, gli adolescenti ai ragazzi, questi ai bambini e così via fino a raccoglierli piccolissimi e a creare un meraviglioso circolo di vita e l’educazione si nutrirà di tali meriti e scoprirà che i ragazzi, indistintamente vogliono vivere da protagonisti il processo di rinascita, perché ne hanno diritto; i giovani sono la nostra forza, la parte più bella e più sana della società, noi adulti non abbiamo il diritto di inquinarli; essi posseggono curiosità, potenzialità, creatività, spirito critico e forza di volontà inimmaginabili, una ricchezza alla quale noi adulti possiamo solo attingere e con umiltà se vogliamo ricominciare un rapporto di intesa e di complicità.
Anna Lanzetta