Partirei da una proposta semplice, che sembra ovvia ma non lo è: l'idea che vorrei mettere in pratica nelle liste è l'idea che le donne hanno valore, e che le differenze fra esseri umani, fra uomini e donne, siano esse biologiche o derivazioni culturali, non costituiscono scusante o giustificazione per la discriminazione rivolta contro le donne. Quando le donne vengono trattate come gli esseri umani che sono, ne guadagna la società intera, a livello economico, sociale, culturale. C'è un'interazione diretta tra il coinvolgimento delle donne nella vita sociale e politica ed il rafforzamento di valori, attitudini e comportamenti che riflettono e propongono modelli di equità e tolleranza. La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) li definisce, oltre che universali, inalienabili ed indivisibili. Tale definizione è molto importante per i diritti umani delle donne: significa infatti che essi vengono applicati ad ogni singola persona in ragione della sua umanità, e significa che vengono applicati in eguaglianza per ciascuno e ciascuna, giacché ciascuno e ciascuna sono eguali nell'essere semplicemente umani. Questa premessa egualitaria ha un risvolto storico radicale: anche in base ad essa le donne hanno chiesto riconoscimento politico per la propria umanità e chiunque oggi si troverebbe in serio imbarazzo a dover difendere pubblicamente l'argomentazione contraria, e cioè che le donne non sono umane.
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Pure resta uno scarto cognitivo, di comprensione e rappresentazione, in ragione del quale, pensando in termini di “pubblico/privato”, le donne vengono poste in uno stato periferico rispetto alla partecipazione politica (sono correlate solo o principalmente alla casa ed alla famiglia) mentre il cittadino “tipico” viene di solito descritto e pensato come maschio: il che significa, tra l'altro, che i tempi e i modi e i nodi della politica sono misurati su di lui.
Le lenti cognitive servono da filtri: per scegliere, suddividere ed ordinare ciò che una persona vede, e ciò che una persona comprende. Noi le usiamo, consciamente o inconsapevolmente. Il concetto di guerra “inevitabile” e “giusta”, ad esempio, viene filtrato da numerose di queste lenti: dottrine religiose e filosofiche e particolari affiliazioni politiche. Esse contribuiscono a creare le cornici in cui vengono rappresentati gli eventi, e le cornici danno forma alle azioni che verranno poi intraprese. Con questo sistema, alcune questioni vengono abilitate al discorso e al confronto, altre no. Io non dico a chi mi legge o ascolta di abbandonare le proprie lenti, sebbene consigli sempre di esaminare i risultati del loro uso (la cornice che ne risulta è inclusiva o escludente, cooperativa o gerarchica?), chiedo solo venga aggiunta allo sguardo la lente del genere.
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L'effetto principale della natura di genere del conflitto “pubblico/privato” è che le violazioni dei diritti umani delle donne che avvengono tra “privati” individui sono state rese invisibili, nonché considerate come al di là dell'intervento pubblico: i governi tendono ad ignorare ciò che accade alle donne (violenza domestica, restrizioni di movimento e opportunità) persino ove esistono leggi che proibiscono tali trattamenti.
La sfera “privata”, infatti, in nome di religione cultura famiglia, garantisce l'impunità ai violenti. La violenza strutturale (violenza di genere) che investe le donne ha ricadute pesanti su tutte le loro relazioni, sulla salute loro e delle loro famiglie, e sulla stabilità di una società che voglia dirsi “civile”. Non avremo una società civile e sicura sino a che non faremo uno sforzo per rigettare la violenza di genere. A chi ha fatto della “sicurezza” furbizia elettorale o gradino verso la barbarie vorrei che le nostre liste dicessero questo: le vite umane sono più sicure quando le persone sono libere. Libere da condizioni di lavoro pericolose, sottopagate, incerte, umilianti; libere da disoccupazione e da povertà; libere dalla violenza settaria, “etnica”, razzista, fascista; libere dalla violenza domestica. Sono, tutte queste, condizioni che le donne (native e migranti) conoscono assai bene, anche in Italia.
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È stato il femminismo a fare definitivamente della violenza di genere un crimine, a spingere perché fosse legiferato in tal senso. Ci siamo riuscite in numerosi contesti, nazionali ed internazionali; in altri stiamo ancora lottando. Abbiamo messo nuove parole nel vocabolario della politica: abuso sessuale, stupro maritale, violenza domestica, molestia sessuale. Ma la violenza, seppure sanzionata penalmente, non è ancora socialmente inaccettabile: ci sono sempre mille e un motivi per giustificarla. È ora invece che diventi una vergogna, che venga ripudiata negli stessi termini in cui la Costituzione italiana ripudia la guerra. È vergognoso che le persone vengano indotte culturalmente ad ammettere, sopportare, usare la violenza nelle proprie vite. È vergognoso che la violenza venga tollerata e istituzionalizzata dallo stato. Abbiamo necessità di una campagna di massa che decostruisca alle fondamenta tutti i miti pericolosissimi che si accompagnano alla violenza di genere (e che in sintesi colpevolizzano la vittima). Abbiamo bisogno di istruire al genere, al rispetto fra i generi, innanzitutto gli operatori che vengono a contatto con vittime e perpetratori di violenza: le forze dell'ordine, gli avvocati, i giudici, e coloro che lavorano con bambini e adolescenti ad ogni livello, dalla scuola alla sanità pubblica.
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Ecco dunque come sono le liste che io vorrei:
- Inclusive rispetto al genere: un luogo ove donne ed uomini sono partner alla pari nel lavorare per raggiungere scopi di cui tutti beneficiano. Perciò lavorano per l'integrazione fra diritti civili e politici (autodeterminazione, diritti riproduttivi, partecipazione politica) e diritti socioeconomici (casa, salute, lavoro): spesso le donne non godono abbastanza di questi ultimi per essere in grado di esercitare i primi.
- Comunicative: gli individui si parlano l'un l'altro di ciò che considerano importante. Ognuno ha un contributo da dare in questo senso, e le liste restano luoghi aperti in cui si discute non solo di ciò che accade in Parlamento, muovendosi dalla socializzazione informale e dalla contrapposizione di opinioni ad un'attitudine ricettiva in cui si parli dopo aver riflettuto e si ascolti con molta attenzione.
- Concrete: una delle funzioni principali di un gruppo inclusivo e comunicativo che voglia fare politica è la definizione degli scopi da raggiungere. Per fare questo, è necessario impegnarsi in processi di apprendimento e, allo stesso tempo, in nuovi modi di condividere il potere. Le situazioni di rischio ambientale e degrado ecologico vanno affrontate con urgenza assoluta: sempre che vogliamo continuare a vivere su questo pianeta, beninteso.
- Democratiche ed egualitarie: in una società politica comunicativa, partecipata, le persone si rispettano e valutano quali interi esseri umani. A livello internazionale, mi aspetto che questo si rifletta nel premere per l'organizzazione di conferenze di pace ovunque sia in corso un conflitto, conferenze che includano esplicitamente le donne oltre che tutte le ong e le strutture della società civile.
- Coerenti: “il fine non giustifica i mezzi” è un principio di comportamento etico ben conosciuto in tutto il mondo. Semplicemente, come ricorderete, «non si usano gli attrezzi del padrone per smantellare la casa del padrone» (Audre Lorde), ma non perché noi ci riteniamo più belli e più buoni di lui: non vogliamo assomigliargli, ripetere ciò che lui ha fatto, sbagliare anche noi. Useremo altri attrezzi, costruiremo edifici differenti. Vi è una strettissima relazione tra fini e mezzi come chiunque abbia solo annusato la parola “nonviolenza” sa benissimo. Inoltre, scopi raggiungibili non possono essere definiti senza la disamina onesta delle risorse umane e materiali a disposizione.
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Poi, ma questa è la giocoliera che fa capolino in me, mi piacerebbe che fossimo un po' folli e, sapendo collegarci a da dove veniamo, dove siamo e dove vogliamo andare, avessimo fiducia nel futuro, e la suscitassimo in altri.
Maria G. Di Rienzo
(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 26 febbraio 2008)