I racconti di Valery Fuel
La realtà e la fantasia.
Ecco su cosa mi sono dilettata per anni.
Ho una mia teoria al riguardo: la realtà non è ciò che vivi, ma quello che vuoi vivere. La fantasia, invece, riguarda i sogni.
Il confine tra realtà e fantasia è una linea labile, paragonabile a una lama di rasoio; due universi paralleli racchiudono il sogno e la verità, due mondi molto simili tra loro. Quando inizia un sogno, si potrebbe dire di aver varcato la soglia della fantasia, oppure di aver intrapreso una strada diversa nella realtà.
Tutto ciò si può riassumere in un semplice oggetto: uno specchio. Non esiste oggetto, oltre a uno specchio, che può far assumere forma alla mia tesi. Vi è mai capitato di stare ore seduti davanti a un vostro riflesso e cercare di capire qual è il riverbero del vostro corpo? Qual è l’immagine reale e non quella riprodotta dal vetro? A me è capitato molte volte. Mai, però, come in questo periodo.
Passo ore davanti allo specchio pensando di essere chiusa dentro la parte sbagliata, perché sono convinta di essere entrata nella fantasia. O nella realtà, giudicate voi. Sono arrivata a un punto di non ritorno. Non riesco a capire dove finisce il sogno e dove inizia la verità.
Ma partiamo dall’inizio.
Per sette anni mi sono occupata di psicologia criminale con ottimi risultati. A un certo punto, però, ho voluto percorrere la strada buia e tetra che riguardava i miei ultimi pazienti.
I senza-autocontrollo, così li chiamavano. Tutti vittime della stessa rara malattia: il completo annullamento della ghiandola cerebrale che comanda la razionalità.
Avete presente quando litigate con il compagno e a un certo punto scatta una vocina nel cervello che dice smetti di discutere e inizia perdonare? È tutto deciso da quella piccola parte di noi. Non è l’orgoglio, semplicemente la ghiandolina a volte si fa sentire, altre no. Tutto qui.
Il male che colpiva queste persone non faceva scattare quella molla, le metteva in condizione di non capire qual era il giusto e lo sbagliato. Io dovevo ipnotizzarli per capire se la malattia poteva essere trasmessa, oppure se era scatenata da un trauma.
Ho sempre amato il mio lavoro, ma in quel periodo lo odiavo con tutta me stessa. Quella povera gente non cercava aiuto, ma solo che gli dessi un modo per farla finita. Erano perseguitati da un pensiero atroce, aver fatto del male alle persone che amavano senza rendersene conto e non avere il completo controllo del loro corpo.
Ho trascurato la mia famiglia per studiare quella malattia, mio marito, i miei due figli…
E ora io, Valery Fuel, mi trovo in prigione, a guardare uno specchio. Un’altra me stessa che mi fissa giorno e notte, raccontando giorno dopo giorno i neri racconti dei miei pazienti. Resto ad ascoltare impassibile, tremando come una foglia, perché so che, quando arriverà il turno del racconto che mi riguarda, non potrò fare a meno di ascoltare.
La studentessa
Oggi è una giornata triste. È il compleanno di mio figlio, il maggiore. Diciassette anni. La piccolina, invece, ha quattro mesi.
La mia immagine riflessa nello specchio mi fissa in modo sarcastico… gode nel vedermi soffrire.
So quale storia racconterà, oggi. Quella di Mary.
Mi avvicino alla finestra e guardo fuori; il sole splende alto nel cielo, gli uccellini cinguettano in una dolce giornata di primavera… adoro questa stagione. Purtroppo sono dietro le sbarre di una prigione.
– Guardia, dammi una sigaretta!
Non risponde ma si avvicina, gli conviene darmi retta. Quest’uomo ha provato una sola volta a rivolgermi la parola e io l’ho fatto sentire un pezzo di merda. Riesco ancora a entrare nella mente altrui.
Mi fa anche accendere, lo stronzo! A fare in culo tutto il mondo.
Ora voglio solo fumare. Devo prepararmi alla storia. Quella di oggi è troppo dura da digerire.
Mary è una studentessa universitaria di ventitré anni, americana, di buona famiglia, con tanti amici e un fidanzato. Vive a New York, dove studia e dove suo padre ha preso in affitto un piccolo appartamento, in modo che lei potesse star bene.
La mia immagine nello specchio sorride. Sa benissimo che questa storia mi farà soffrire, ma non gliene frega niente, lei racconta e gode.
– Puttana!
Sorride ancora, inutili le offese.
Mary va bene a scuola, ha ottimi voti. Una vita normale, la sera esce con gli amici e il fidanzato, va a cena fuori, qualche pub, discoteca…oppure a casa per fare l’amore.
Niente di strano per una ragazza giovane con un appartamento libero a disposizione. Una sera rientra da sola a casa e riceve una telefonata, ma quando risponde non c’è una voce dall’altra parte, solo un respiro. Indignata, riappende la cornetta.
Il telefono squilla nuovamente. Un respiro ansimante. Forse un uomo.
– Chi cazzo sei? Cosa vuoi?
Nessuna risposta. Soltanto respiri.
Mary riaggancia.
Decide di non dare peso al telefono… Domani deve andare a scuola e ha bisogno di riposare. Si china verso il muro e stacca la presa. Va in bagno per fare una doccia.
È così rilassante, dopo una dura giornata, un getto d’acqua calda sul corpo… Mary starebbe ore sotto la doccia, inebriata da vapore e profumo di bagnoschiuma, asciuga i capelli davanti allo specchio, quando sente il cellulare che squilla. Pensa subito a Mark, il fidanzato. Parte dal bagno correndo con i piedi bagnati, ma quando prende in mano il telefonino si accorge che il numero che sta chiamando non è in rubrica. Non è Mark.
– Pronto?
Nessuna risposta.
– Pronto?
– Mary? Sono papà! Sono due ore che ti chiamo a casa, ma dove sei?
Si tranquillizza… è suo padre.
– Scusa, papà, ero sotto la doccia e avevo staccato il telefono di casa. Sapessi che spavento mi hai fatto prendere!
Come una piccola bambina sperduta, Mary si mette a parlare con suo padre. Per circa mezz’ora rimane al telefono, facendosi passare tutta la sua famiglia e promettendo di andarli a trovare presto.
Appena chiude la conversazione raggiunge la camera da letto e vede Mark sul letto, disperato.
– Ma …quando sei entrato? Non ti ho sentito arrivare… Cosa hai fatto, perché piangi?
Mark sembra assente, non sente Mary che parla, che lo accarezza. È solo con il suo dolore.
Lei non capisce, si china verso di lui e gli sfiora le mani… sangue!
– Mio Dio! E questo da dove viene? Che cazzo è successo? Maledizione, rispondi!
Mark continua a piangere disperatamente.
Mary corre verso il bagno per sciacquarsi le mani, non ce la fa a restare lucida con tutto quel sangue addosso. Davanti al lavandino, quasi istintivamente, alza il viso e guarda lo specchio. Dietro di lei, Mark, con un volto irriconoscibile, pieno di odio, le scaglia addosso un coltello…una, due, tre coltellate. Mary non riesce a girarsi, continua a guardare nello specchio, convinta che tutto quel dolore sia soltanto un sogno. Non appena si volta comprende di aver avuto un incubo.
Il bagno è sempre lo stesso, niente sangue sul pavimento, niente ferite di coltelli vari. Mark, però, è ancora seduto sul letto che piange.
Lei torna in camera, lo guarda impotente cercando di capire quello che potrebbe fare, ma non le viene in mente niente. Riesce solo a emettere una flebile parola:
– Amore…
Mark alza il viso, è riuscito a sentirla. Sgrana gli occhi….
L’orrore, la paura, la disperazione.
Le urla di Mark che vede Mary sono udite da tutto il palazzo…mentre lei è sbigottita dalla reazione del suo uomo; urla, ancora, urla. Alza un dito e la indica. Lei fa un passo indietro, spaventata, ancora un passo… e urta qualcosa.
La ragazza abbassa gli occhi lentamente e si vede in terra, in un lago di sangue…il buio la assale tra le urla del suo assassino.
Oddio… sto male. Mi manca il respiro… no, mi manca una sigaretta!
– Guardia… dammi un’altra sigaretta!
– Non fai prima a chiedere il pacchetto?
– Allora lascia questo maledetto pacchetto del cazzo e vaffanculo!
– Sei molto fine, dottoressa.
Lo fulmino con lo sguardo. Si allontana.
Mi avvicino ancora allo specchio. L’altra me stessa è ancora lì, sorridente.
– Ma si può sapere cosa diavolo hai da ridere?
Niente, ha finito di raccontare, ormai non parla più.
Mark, il ragazzo di Mary, è stato il mio primo paziente. Nessuno credeva che non avrebbe mai voluto far del male al suo grande amore. Soltanto io ho avuto la forza di ipnotizzarlo e di credergli. È stato solo l’inizio dell’incubo, del grande morbo. Ora Mark è rinchiuso in una clinica psichiatrica, indossa una camicia di forza e dice a tutti che l’ultima parola di Mary fu amore…
I racconti vengono catapultati nello specchio e raccontati dalle vittime in persona…l’altra me stessa è contenta di vedermi piangere mentre lei ride…
Venitemi a salvare, se avete la forza di combattere contro voi stessi.
La realtà non è ciò che viviamo, ma quello che vogliamo vivere.
La fantasia è un sogno.
Non mescolate l’una con l’altra, non provateci, gli specchi sono molto vicini.
Domani mi aspetta un’altra storia…
Valentina Sposetti
valentinasposetti@yahoo.it