Nella calda, vasta e magica cornice del Teatro degli Arcimboldi si sta svolgendo in questi giorni la rappresentazione de I La Galigo, uno spettacolo in cui si mescolano danza, poesia, musica e arti marziali, la messa in scena dallo sterminato arcipelago indonesiano di un lungo, articolato, e carico di simboli, racconto, epico e visionario, termini, per una volta, davvero non abusati. L'origine letteraria di tale storia può farsi risalire addirittura al XIV secolo, per la precisione al Sureq Galigo, poema tramandato in via orale dall'etnia Bugis del Sud Sulawesi.
Sotto l'impeccabile e geniale regia di Robert Wilson si muovono, in questa prima milanese, più di cinquanta artisti-performers, fra i migliori dell'Indonesia. Tre ore di uno spettacolo affascinante, suggestivo, coinvolgente, senza pause, dalla processione di tutti i personaggi in slow motion, ieratica, d'apertura, attraverso vicende e vicissitudini disparate e disperate, sino alla riesplosione di vita finale e alla passerella ancora in slow motion, sacrale come la lenta e possente forza dell'esistere.
«I La Galigo», è stato scritto a suo proposito, «prende il nome da uno dei personaggi centrali dell’opera originale. Scritto integralmente nell’antico linguaggio Bugis, che oggi solo un centinaio di persone è in grado d'interpretare, il manoscritto (uno dei più voluminosi dell’intera letteratura mondiale) non è mai stato formalmente trascritto prima né esistono traduzioni in inglese o altre lingue. Più lungo del Mahābhārata e paragonabile alle avventure di Ulisse nell’Odissea omerica, il poema narra la storia della creazione del Mondo e delle sue prime sei generazioni di abitanti. Le burrascose vicende dei protagonisti costellano la cosmologia dell’antico mondo Bugis, buona parte del quale vive ancora oggi nella musica, nei costumi, nell’architettura e nei rituali della tradizione Bugis. Robert Wilson celebra questa cosmogonia e ricrea magistralmente il mito, dagli epici viaggi per mare alle insaziabili passioni di dei e amanti”»
I La Galigo è dunque un viaggio in e verso mondi remoti ed esotici, nelle terre, mari e cieli dell'immaginario collettivo e cultura di un popolo, ma ha stimmate universali: il dolore, l'amore, la gioia – individuali, panici – non conoscono latitudini. La musica, nella riscrittura fattane da Rahayu Supanggah ed eseguita dal vivo, segue fedelmente il dipanarsi della narrazione, sottolineandola, accrescendone il pathos, catartica, a sua volta suggerendo: i cantanti e i musicisti non sono in disparte, bensì stanno sul palcoscenico, insieme con gli attori-danzatori. La sua eco è millenaria e atemporale, le evocazioni riempiono le vene di chi ha la fortuna di udire e assistere al fantastico accadimento e alle avventure che si susseguono senza posa. Felice la definizione coniata... «Un’opera di teatro musicale che illustra meravigliosamente l’eterna ricerca del senso del mondo».
Fra gli strumenti della tradizione sono stati usati il membranofono, tamburi come il ganrang, il gendang pakarena o il gendand Toraja, idiofoni come il kato-kato, il canang (gong orizzontali), strumenti aerofoni come il pui pui (una sorta di tromba), basing, suling dengkong-dengkong, flauti diritti, e, ancora, il kesok-kesok, un violino a due corde, o il kacapi, un liuto a due corde. Oltre al canto e alla melodia. Il risultato che si produce è immensamente seducente.
Da Patatoqé, Creatore e Dio Supremo del Mondo Sotterraneo, e Guru ri Selleq, Dio Supremo del Mondo Sotterraneo, a Batara Guru, Wé Nyiliq Timoq, Sawérigading, Wé Tenriabéng, We Cudaiq, Salinrunglangi, Mutia Tojja, sino alle maschere grottesche di La Pananrang e La Sinilélé, ai gatti Miko-miko e Méompalo e al coloratissimo caravanserraglio equatoriale, si muove una pletora di personaggi e caratteri, e storie s'intrecciano con stupore e sapienza fiabesca. Ha scritto Franco Quadri in occasione della prima assoluta de I La Galigo a Singapore nel 2004: «Lunghi viaggi e spietate guerre attorniano la rincorsa sessuale (c'è un amore incestuoso da evitare, per non far finire il Regno e il Mondo, nda), e Wilson ci rende indimenticabili le magie che mobilitano la nave più grande del mondo, di cui si vede soltanto un fianco verticale con dei rematori in azione a ogni livello mentre una pioggia di lacrime accompagna il loro viaggio; o l'albero trasparente che si sfa nell'aria dando origine alla nave: una sagra del meraviglioso mai priva di ironia.... e gli assalti dei galli, tra tempeste, mari in burrasca e arcobaleni, mentre tuonano i tamburi e la vecchia dea del riso, interpretata dalla settantasettenne Coppong Daeng Rannu, mitica maestra di pakarena, segna il tempo a colpi di ventaglio».
Invero I La Galigo è uno stupendo apologo sulla condizione umana, ricerca e domanda, aspirazione spirituale, all'infinito o alla semplice felicità di un amore appagato, fra esplorazione della realtà che ci circonda e penetra, incontri proibiti e desiderati, perdizione e rovina, destini negati e riaffermati, strani e necessari amori. Inizio, fine e, ancora, inizio.
I La Galigo – capolavoro classico e di contemporaneità – sarà in scena sino a domenica 17 febbraio al Teatro degli Arcimboldi (viale dell'Innovazione, 20, Milano, zona Bicocca, con tutti i suoi allettamenti psichici da piazze e viali dechirichiani). Lo spettacolo ha inizio alle ore 21, eccetto domenica, giorno in cui comincerà alle 16. Il costo del biglietto varia da 16 a 40 euro (la visibilità e l'acustica sono ottime ovunque e comunque). I sopratitoli in italiano sono discreti, utilissimi e non invasivi.
Info: tel. 02641142212/4, sito Internet www.teatroarcimboldi.it e www.myspace.com/teatroarcimboldi.
Alberto Figliolia