«I limiti del mio linguaggio
significano i limiti del mio mondo»
(L. Wittgenstein - Tractatus logico philosophicus, prep. 5.6)
«Ogni volta sperimento come, nel contesto di una struttura che veramente favorisce la creatività personale e di gruppo, ogni giovane è gioiosamente meravigliato di quanto riesce a esprimere e ascoltare; mi chiedo in qual modo sia possibile consolidare, approfondire e moltiplicare ampliando queste occasioni affinché riescano a inceppare e sbrecciare i meccanismi del dominio, tuttora vastamente imperanti: per riuscire a interrompere il circolo vizioso fra dilagante necrofilia inconfessata, disperazione per mancata creatività e informazione deformata, aberrante» .
(Danilo Dolci, Dal trasmettere al comunicare, ed. Sonda)
VOCI DALLA POESIA:
I Laboratori di Lettura e Scrittura Creativa
in seno al Carcere di Opera e di Bollate
Quanto Silvana Ceruti ha creato risponde in linea diretta a quanto Danilo Dolci ha teorizzato e perseguito per un’intera vita, la maieutica o meglio, una “versione” aggiornata al tempo presente: una nuova maieutica che «(…) è quella particolare organizzazione dell'apprendimento, della ricerca presupposta dall'apprendimento, che non ha al suo centro un corpo di verità pre-stabilite - trasmesse dalla cattedra o attinte al manuale - cui adeguarsi. Al centro dell'attività maieutica vi è un problema, che viene posto a tutti i presenti e su cui ciascuno è invitato a riflettere e a comunicare agli altri le sue riflessioni».
Ancora dagli scritti del Dolci: «nel corso della ricerca, viene promosso l'esercizio dei poteri individuali: la ricerca di informazioni, la comprensione dei significati, l'esercizio dell'immaginazione e della creatività, l'esercizio della divergenza e la ricerca di convergenze, la sperimentazione della reciprocità empatica e dell'autostima, l'ascolto dell'altro, la comprensione della diversità di opinioni non come elemento di disturbo nell'ottica competitiva, ma arricchimento della comunicazione, del dono reciproco fra i comunicanti».
Non importa se Silvana avesse o meno questa consapevolezza, importano invece i risultati. Che parlano attraverso la biografia del suo operato.
Il Laboratorio di Lettura e Scrittura Creativa in seno al Carcere di Opera è stato inizialmente avviato per essere solo un programma di aggiornamento sulla lettura promosso da un Ente ma a tempo determinato (due anni) terminati i quali la cosa si sarebbe conclusa. Quando il progetto istituzionale è terminato, si aveva ormai una piccola comunità di persone ed il “corso” è cosi proseguito. Da allora sono passati dodici anni, periodo nel quale Silvana ha proseguito come volontaria ogni sabato mattina, senza alcuna retribuzione o sostegno se non il placet (lungimirante) dell’Amministrazione carceraria.
L’idea alla base del progetto di Laboratorio non è stata né formare dei poeti né dare una forma di assistenza sociale: è stato invece un incontro tra persone anche se - spiega Silvana - «poeti lo erano a livello latente: hanno soltanto trovato un linguaggio, una modalità, oltre alla fiducia nel proprio sentire».
Perché poesia, però?
La preferenza è stata guidata da un motivo pratico. Scegliere la narrativa come base di partenza, avrebbe incluso la possibilità di non terminare mai lo scambio/analisi a causa del trasferimento presso altre strutture carcerarie di alcuni dei corsisti. Soprattutto non aveva Silvana idea di quanto tempo avrebbe potuto proseguire. La narrativa necessita di tempo, sia per la lettura che per gli sviluppi successivi; la poesia si poneva invece come un mezzo altrettanto valido - seppure completamente diverso - per una moltitudine di fattori: sintesi prima di tutto, immediatezza; la possibilità di varcare il confine tra testo presente e tutto quel mondo che è alle spalle del testo ma anche captare quelle possibilità che il testo schiude, i mondi possibili. Altro fattore da considerare sono state la prove pratiche di scrittura in cui ognuno si mette in gioco ed affronta non più la ricezione di un testo altrui, bensì riassume ed usa la propria lingua per la comunicazione scritta, superando il confine dell’oralità. Una poesia o una serie di poesia spesso hanno tempi di gestazione differenti da quelli di un romanzo. Una poesia – infine – poteva venire scritta anche al di fuori dei tempi del Laboratorio, poteva nascere, trovare forma in ogni altrove che l’ambiente carcerario offre, a differenza di un romanzo appunto, che prevede tempi e condizioni di scrittura più costrittive. La poesia è stata allora la scelta più convincente.
I primi cinque anni sono stati per Silvana un proseguire da “velista in solitaria” e con successo e pubblicando nel 1999 il libro In un mignolo d’aria che raccoglie una scelta di autori con testi selezionati dalla nascita del Laboratorio in poi.
Di pari passo, ci saranno però corsisti che verranno trasferiti in altre sedi, alcuni verranno rilasciati, altri saranno in uscita diurna in base all’art. 21 che prevede il rientro (in Casa Circondariale) solo per la notte.
Avverrà anche d’avere l’aula colma oppure vuota proprio a causa dell’avvicendamento dei corsisti.
In mezzo a tutto, vincendo anche una resistenza da parte di nuovi possibili corsisti a superare la barriera del mettersi in gioco in prima persona sbaragliando la connivenza dei singoli a volersi affidare al solo maternage dell’istituzione, vincerà soprattutto l’onestà, sia di Silvana, sia degli intenti del Laboratorio.
L’uscita di quel primo libro In un mignolo d’aria, segnerà un periodo di contatto tra Silvana e l’esterno: poeti, scrittori e artisti in genere, pittori, fotografi. «Perché portare ai corsisti solo libri? Non è questione soltanto di libri ma incontrare anche persone: solo cosi può nascere un vero rapporto di scambio», ripete Silvana. «L’arte nasce dall’intimo dell’uomo ma è anche quella che più mette in contatto con gli altri».
I primi a collaborare con entusiasmo e a varcare le mura saranno Giampiero Neri e Renzo Vidale (dopo avere ottenuto le necessarie autorizzazioni dall’autorità carceraria) cui seguiranno – negli anni – tanti altri.
Dopo In un mignolo d’aria vedranno la luce i volumi Vigilando il lavoro dell’orologio nel 2000 e svariati calendari poetici. Una nota a margine la merita poi una iniziativa solo apparentemente accessoria: l’apertura del sito web del Laboratorio. Molte delle pubblicazioni nel tempo sono andate esaurite ma sono state rese disponibili via internet da uno dei ragazzi che proprio il corso ha frequentato: “in opera” (e in rete) è tutto ciò che desiderava non andasse perso (l’indirizzo web è http://members.xoom.alice.it/labcreativo).
Nel 2006 a Silvana si affiancano Diana Battaggia e Maddalena Capalbi nonché l’editore LietoColle e viene prodotto il volume Confesso che amo, parole d’amore dal carcere.
Parte dei proventi derivanti dalla vendita del volume si decide siano devoluti per acquistare strutture e arredi per i bambini che risiedono in carcere o che vi giungono in visita ai detenuti.
Dal connubio nasce una successiva evoluzione del Laboratorio, con nuovi poeti che l’editore contatta e che i sabato mattina portano la propria presenza all’interno del Laboratorio di Opera.
È in una di quegli incontri che per la prima volta, passerò quelle mura anche io e saranno proprio i corsisti a farmi comprendere senza possibilità di dubbio quanto il carcere non sia quel luogo dove colmare le carenze che hanno reso la persona un deviante. Non è sufficiente chiudere il problema dietro una porta e gettare poi la chiave perché il problema sia risolto secondo il motto se occhio non vede, cuore non duole.
Dietro le mura delle carceri è una esistenza in vitro, un annichilimento dato dall’impossibilità di fare. La spoliazione annulla, non redime. Ed è necessario arrivare a capire che è necessario un cambiamento culturale che non trascuri – certo – le legittime esigenze di sicurezza, ma che non divenga d’altro canto impoverimento, un atteggiamento negativo, banalizzante. Soprattutto, è una questione di corresponsabilità sociale: la struttura ospitante deve avere i mezzi o poter accogliere quei mezzi perché la pena non sia contro ma per la persona offesa.
Lavorare per e con contro gioverà di riflesso alla collettività e riformulerà sia il legame sociale che il ripristino di quel patto di fiducia originaria che deve sussistere in una società “buona da viverci”.
Chi pare recepire appieno il valore della corresponsabilità sociale sono il Poeta Milo De Angelis e il corsista Vladimiro Cislaghi. Incontratisi in seno al Laboratorio, il primo porterà poi avanti lo scambio iniziato di persona continuando - per lettera - il dialogo. Ecco così nascere il volume Madre baratro pubblicato nel 2006 nella prestigiosa collana Niebo, de La Vita Felice Editore e se si poneva il problema delle letture pubbliche, ecco la soluzione: non potendo - il Cislaghi “persona” - uscire in permesso, saranno comunque la poesia e la sua voce ad uscire. Il Cislaghi provvede con delle cassette audio registrate nella propria cella: durante i reading saranno fatte ascoltare al pubblico, pubblico che decreterà la validità del lavoro scrittura accogliendo il libro con una critica entusiasta.
Nel 2007 verrà fondato il Laboratorio di Lettura e Scrittura Creativa all’interno del Carcere di Bollate grazie a Diana Battaggia, Maddalena Capalbi, al supporto logistico della LietoColle Editore ed il placet dell’Amministrazione carceraria senza dimenticare che un grazie del tutto speciale a quanto insegnato da Silvana.
Prosegue cosi il dialogo ma soprattutto l’aiuto ai corsisti per la costruzione di un macro-spazio generato da mente, sentimento e attraverso la scrittura, in alternativa al micro-spazio dettato invece dall’autocensura come alternativa allo stato affittivo dell’ambiente nonché dalla mancanza di relazione sociale, spazio fisico personale e scelta, dove scelta implica non solo un “qualcosa da fare” ma la proiezione di sé stessi verso il futuro possibile.
Col lavoro compiuto durante i Laboratori sia a Opera che a Bollate, si vedranno alcuni corsisti diventare ex-corsisti prima ed ex-detenuti poi.
Gregory Facchini ad esempio, e il suo primo libro La rabbia di Nessuno o Luciano Bresciani, anch’egli alla prima pubblicazione con Sulle rive.
O Santo Tucci (www.santotucci.it), che usa la poesia nel lavorare il vetro e tra poco, pochissimo, aprirà un negozio tutto suo in collaborazione con la Provincia di Milano.
Diceva qualcuno che la poesia non cambierà il mondo. Forse non è proprio cosi: aiuta a cambiare le persone e - di riflesso - cambia anche il mondo.
O almeno questo è ciò per cui lavoriamo.
Fabiano Alborghetti
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le foto delle copertine dei libri sono su gentile concessione di LietoColle editore
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le foto in bianco e nero dell’interno del carcere di Opera sono su gentile concessione dell’Agenzia Contrasto.
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la foto a colori è di origine ed autore sconosciuti. Rimango a disposizione qualora vi fossero dei diritti da reclamare, confidando che la buona causa per la quale è stata usata compensi moralmente l’autore.