La Cisl di Valle Camonica Sebino ha pensato di ricordare la figura di don Lorenzo Milani, con un convegno dal titolo emblematico “DON MILANI – LA PAROLA AI POVERI”, rivolto agli studenti delle scuole secondarie del territorio. Ricorreva lo scorso anno il quarantesimo anniversario della scomparsa del parroco di Barbiana e della pubblicazione di Lettera a una professoressa.
Insieme agli studenti erano presenti all’incontro i docenti e alcuni sindacalisti di nuova e vecchia leva. Tra loro c’ero anch’io, una giovane maestra con più di 30 anni, nella mente e nel cuore, di questo impegnativo e bellissimo mestiere del vivere e dell’“essere”, come direbbe don Milani, tra e con i bambini. Dico “giovane maestra” non con ostentazione o “per modo di dire”, ma con la convinzione, parafrasando i monaci di Sant’Antimo, «che ci vuole tempo per diventare giovani» e, soprattutto, con la gratitudine che devo ai miei tanti bambini, di un tempo e di oggi, che hanno e continuano ad accogliermi, a lasciarsi accompagnare e a farmi crescere accanto a loro.
Non volevo mancare a questo appuntamento, perché in tempi diversi, a volte consapevolmente, altre meno, don Lorenzo Milani è stato presente nelle mie scelte di “essere” maestra. Come non riandare al primo sconvolgente incontro con Lettera a una professoressa, al suo inquietarmi e al suo invogliarmi con piglio forte e autorevole a non rischiare “il mestiere dell’insegnante”, proprio quando diciottenne e con il diploma di maturità magistrale, ottenuto anche grazie ai sacrifici dei miei genitori, operaio metalmeccanico e casalinga, rivendicavo il diritto ad un lavoro qualificato e riconosciuto sul piano sociale. Lettera ad una professoressa, da un lato, mi aveva presentato il perverso meccanismo, messo in atto dall’istituzione scolastica, della selezione che mortifica i più deboli. Dall’altro però mi lasciava intuire la possibilità di una scuola alternativa, intenzionata a perseguire l’obiettivo pedagogico di lavorare alla costruzione di personalità non violente, capaci di solidarietà e di cooperazione, dove il bambino potesse trovare spazi, anche fisici, per esprimere se stesso, le proprie opinioni, la propria decisionalità, dove potesse sperimentare se stesso come essere attivo e capace di superare gli ostacoli attraverso percorsi di senso e di conoscenza. Insomma mi indicava la possibilità di costruirmi una coscienza di insegnante appassionata, impegnata in una formazione permanente, dentro ad una scuola capace di rispondere creativamente e responsabilmente alle nuove sfide: una prospettiva niente male per me, giovane carica di sogni e di idealità, tipici di quell’età. Credo sia stata questa carica di idealità la componente primaria che, in seguito al superamento del concorso magistrale con la conseguente abilitazione all’insegnamento e la consapevolezza della mia inadeguatezza pedagogico-didattica, mi fece cercare appassionatamente, incontrare e riconoscere come compagni di strada i maestri del Movimento di Cooperazione Educativa di Bergamo, una delle tante cellule presenti sul territorio nazionale… L’MCE in Italia era stato fondato da Mario Lodi, il maestro di Vho di Piadena, lo stesso che aveva in atto una corrispondenza con la scuola di Barbiana, ma io questo lo scoprirò molto più in là; comprendeva tra i suoi membri Bruno Ciari, il maestro di Certaldo del famoso libro Le nuove tecniche didattiche. Le nuove tecniche diffondevano in Italia l’interesse per l’opera del francese Célestin Freinet, teorizzando quella pedagogia popolare che a Barbiana don Milani aveva già da tempo e proficuamente messo in atto, una pedagogia nata dalla considerazione dei bisogni reali e che affrontava i problemi desunti dalla realtà stessa della vita, che mirava alla socializzazione e alla cooperazione attraverso il lavoro di gruppo e la scrittura collettiva, con l’intento di formare menti duttili, capaci di ragionamento critico e di padronanza della parola, vista come strumento di riscatto sociale.
Edoardo Martinelli, intervenuto al convegno come testimone della Scuola di Barbiana, come allievo don Lorenzo, ha sottolineato il «credo» del Priore in «una scuola capace di dare gli strumenti materiali e logici, necessari all’apprendimento, dove l’educatore si trasforma da trasmettitore di conoscenze in costruttore di processi educativi e di contesti flessibili, capaci di dare all’alunno le competenze utili a condurre un ragionamento, a costruire nell’allievo il pensiero critico». In don Lorenzo la figura del maestro non era mai disgiunta da quella del sacerdote. Lo ha sottolineato il teologo Rocchetti Daniele: don Lorenzo, alfabetizzando i suoi poveri e portandoli alla padronanza delle parole, consentiva di fatto il loro accostamento e la loro fruizione della Parola.
Ma oggi, alla scuola e al contesto sociale attuale, dice ancora qualcosa don Milani e il suo metodo?
L’oggi ci presenta spesso situazioni esistenziali complesse, dove la povertà di relazioni e l’assenza di rapporti di prossimità inaridiscono i percorsi di crescita delle nuove generazioni e costituiscono le premesse di un sempre più diffuso malessere. Oggi non è difficile incontrare bambini sempre più svegli dal punto di vista cognitivo, anche addestrati nei linguaggi e nelle modalità comunicative, ma analfabeti nel campo delicatissimo degli affetti, in quanto esprimono fragilità emotive, incapacità di tollerare le frustrazioni e di affrontare i conflitti.
Il tema del bullismo oggi ci provoca e ci interroga: questo fenomeno non è confinato, come si potrebbe pensare, nei contesti sociali delle marginalità, ma attraversa ogni ceto sociale e trae origine da cause di natura relazionale e di tipo psicopedagogico, come scritto nel “Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia” del 2006. Siamo davanti ad un problema nuovo, che richiede una risposta solida per vincere le sfide della prevaricazione e della prepotenza di alcuni su altri.
Lo studio attento del bullismo considera il suo manifestarsi come sintomo di un disagio del gruppo e della comunità, mentre lo sviluppo del senso di comunità e di appartenenza come l’antidoto efficace per contrastare il sorgere dei disturbi relazionali. La pratica pedagogica della cooperazione, del costruire relazioni durature e significative, dove l’altro è riconosciuto e rispettato come altro da sé, come persona, impedisce di fatto l’insorgenza del fenomeno, in quanto l’altro, considerato e rispettato come persona non può venire considerato come oggetto di divertimento o di violenza. Se consideriamo la scuola di Barbiana nella sua pratica didattica ed educativa, subito cogliamo in essa il clima comunitario che fa da sfondo ai processi di apprendimento e comprendiamo come il fenomeno del bullismo, lì, non abbia trovato terreno fertile per manifestarsi. Edoardo Martinelli, che oggi opera nelle scuole di Prato come educatore multimediale, durante il suo intervento ha sottolineato l’importanza di una scuola che dedichi spazi e tempi lunghi alla formazione, gestione e conduzione del gruppo, affermando che «Il gruppo classe deve poter lavorare come un’equipe. Al suo interno devono essere riconosciute le attitudini di ognuno in un sistema d’interazione e di aiuto reciproco».
Il convegno, presentando don Milani, ha evidenziato la natura profetica delle sue scelte e del suo operare, che apparsi rivoluzionari nella sua epoca, ancora orientano e suggeriscono risposte per le impegnative sfide educative dell’oggi.
E degli studenti presenti… Che dire?
È difficile tentare una risposta oggettiva, poiché alla richiesta di un loro intervento da parte del moderatore, si sono sentite, solo due voci, che chiedevano di esplicitare un ulteriore confronto tra la realtà scolastica odierna e quella di Barbiana.
Tuttavia la partecipazione attenta, composta e silenziosa espressa durante le quattro ore del convegno, mi consente di pensare ad un loro contributo in termini di ascolto attivo e di riflessioni meditate. Sono certa che qualcosa in loro sia scattato, che siano nate in loro domande di senso, ma anche risposte alle molteplici sollecitazioni ricevute…forse in loro sono sorti motivazioni e desideri nuovi… si sono accese passioni.
La figura e la vita di don Lorenzo non lascia indifferente… chiunque a lui si accosti…
Il convegno si era aperto con la lettura di alcuni passi della sua vita e, da subito, era stato evidente il suo spessore, la sua statura di uomo e di sacerdote.
Don Milani, l’uomo di grande cultura, respirata già nella famiglia di origine, (il nonno conosceva e parlava 19 Lingue, il padre 6), di grande umiltà e di umile grandezza, nell’accettare l’esilio a Barbiana, località neppure degna di un accenno sulle carte geografiche del tempo, priva di strade di collegamento e dunque isolata rispetto ai centri abitati del territorio, comunità di 42 persone, montanari e contadini analfabeti, ha vissuto questo luogo come lo spazio-tempo affidatogli dalla Provvidenza. A Barbiana, fino al momento della morte, don Lorenzo ha agito ed esaltato la sua passione verso l’uomo, l’uomo povero, il povero da riscattare quale persona ricca di dignità, quale creatura dell’unico Creatore…
P.S.
Caro Don Lorenzo Milani,
anche oggi, in questo qui e ora, così incerto e a volte inquietante, tu ci inviti a non lasciarci incantare dall’effimero, a non lasciarci andare alla rassegnazione e al senso d’impotenza… tu ci sproni a cercare il vero e il bello dentro la nostra anima… tu ci hai insegnato che l’ammirarla è privilegio dato a chi si dona con amore al suo prossimo, a chi vive l’umiltà di uno stile di vita nel luogo e nel momento storico, in cui è chiamato a rispondere creativamente, per rinforzare la crescita personale e sociale.
Le parole che hai usato, così cariche, sono arrivate a noi come un duro monito, ma anche come una sferzata paterna ad agire il cuore e le sue ragioni. Tu, prete di frontiera, hai vissuto il disagio dell’esclusione sulla tua pelle e l’hai trasformato in inclusione, in amore per i più poveri…
La tua comunità di Barbiana possa rivivere anche oggi in tanti nuovi allievi, affascinati dal tuo carisma e convinti dalla tua testimonianza di vita, a investire un rinnovato “I CARE!” nei tanti luoghi della prossimità globalizzata, ancora carichi di sofferenza e di povertà.
Grazie della tua testimonianza così vera, così bella!
Maria Luisa Guizzetti