Cala il sipario sul 5° centenario dell’Apparizione e sulle svariatissime manifestazioni (e anche grandi fatiche, soprattutto da parte degli attuali benemeriti custodi del Santuario) che l’hanno contrassegnato. Viene il tempo dei bilanci, auguriamoci non solo quantitativi. Ci sarà anche da rispondere ad una domanda: che cosa ci lascia in eredità? Che cosa di durevole, voglio dire. L’ultimo centenario, quello del 1904, pure nelle ristrettezze dei tempi, ci ha lasciato quella splendida vetrata nel rosone che sta al centro della facciata. Una cosa certamente resta, intanto: una rinnovata e ritrovata centralità, religiosa e al contempo civile del nostro Santuario, con tutte le conseguenze anche a livello ecclesiale. Il suo raggio d’azione e di attrazione si proietta ben al di là dei confini locali, provinciali e diocesani. Si aggiunga che è pure il Santuario dei nostri vicini della Valle di Poschiavo. Tutto questo va sottolineato anche in riferimento alle miserevoli gelosie clericali che hanno talvolta funestato la sua storia.
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Sono sotto tiro da parte di certi amici, compagni di alcune grandi avventure ecclesiali del passato: vogliono da me un giudizio sull’attuale pontificato e ho un bel daffare a sottrarmi. Manca, tra l’altro, almeno un minimo di quel distacco storico che occorrerebbe. Quello su cui posso liberamente pronunciarmi è su che cosa mi attendo da Papa Benedetto. Mi attendo, tanto per fare un esempio, una rimessa in orbita dei grandi, storici Ordini religiosi, da quelli più antichi dell’«ora et labora» – i monaci che hanno tenuto a battesimo l’Europa – a quelli di vita mista del 1200, dai francescani in giù. (L’affondo temporale è garanzia di apertura). Tutta una ricca, molteplice realtà messa in ombra, per non dire in quarantena, dal prevalere, durante un intero, lungo pontificato, di alcune formazioni inedite, nuove. Inedite nel senso che hanno a che fare direttamente con il potere. Parlo, è chiaro, soprattutto dell’Opus Dei e di Comunione e Liberazione, con tutta la considerazione e il rispetto per le loro grandi capacità.
Torniamo, per finire, ai già citati francescani. Che cosa si può ricordare di più attuale del loro messaggio di fraternità con la natura: fratello sole, sorella luna, fratello lupo, sorella morte…?
Ci hanno mai pensato i nostri ambientalisti?
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Sono molto sensibile, per ragioni di appartenenza oltre che personali, alla denuncia che viene fatta di un processo di progressivo impoverimento che tocca alcuni ampi settori della popolazione, quella che un tempo si chiamava la gente del popolo. Questo offrirebbe anche lo spunto per un discorso sulla natura della società in cui viviamo, una società in cui, tra l’altro, lo spettacolo dell’opulenza occulta una crescente povertà. Sia pure relativa. Voglio però provare a ribaltare, un po’ provocatoriamente, i termini del discorso: non è che la gente sia stata spinta a consumi, a tenori di vita superiori alle proprie condizioni di partenza, alle proprie possibilità e risorse? Una persuasione palese od occulta ha spinto, col plauso o il silenzio acquiescente di tutti, in questa direzione. Una osservazione a latere: nella mia ormai lunga esperienza mi è capitato di conoscere e praticare familiarmente persone di vecchia ricchezza: sono talvolta molto più sobri nei loro consumi dei parvenu di oggi.
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Il terremoto che ha colpito il Pakistan ha aperto uno squarcio su una situazione di grande, tremenda povertà. Il Pakistan è una delle potenze in possesso dell’arma nucleare. Come questi due estremi possano conciliarsi è una delle grandi contraddizioni della nostra epoca. Qualcuno dei grandi protagonisti del terrorismo internazionale ha commentato il disastro di New Orleans come un segno della condanna di Dio su un paese di infedeli. Anche noi per secoli abbiamo continuato a chiamare infedeli i popoli dove mandavamo i nostri missionari. Basterebbe andare a rivedere certa stampa missionaria del passato. Quando le grandi religioni finiranno di appropriarsi di Dio? Lo dico da credente.
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Scompare a centoquattro anni Giovan Battista Schiantarelli, il nostro grande vecchio, un testimone vivente di un secolo di storia locale. Avevamo, troppo tardi, incominciato a incontrarci durante le sue, e mie, passeggiate quotidiane in certi angoli della nostra città. Ha vissuto gli ultimi anni e si è spento in piena lucidità. Oltre che un testimone vivente, era anche un appassionato cultore della nostra storia. Era un credente, ma salutarmente lontano da ogni forma di ostentazione e di bigottismo. Ci mancherà.
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, novembre 2005)