Contrariamente a quanto forse taluni pensano un po’ semplicisticamente, delle idee del sottoscritto, ho visto con favore la comparsa, o ricomparsa, delle bancarelle sulla nostra piazza. Fatte salve, o fatte rispettare, le debite distinzioni, Santuari e mercato sono sempre andati assieme. Penso con nostalgia alle grandi fiere del passato, quelle che, assieme al Santuario, hanno fatto diventare Madonna quel crocevia che è stato. Ho accennato prima alle giuste distinzioni da rispettare o da restituire se sono venute a mancare. L’importante, cioè, è tener libero, o liberare, se ce ne fosse bisogno, il Santuario da ogni forma di mercato. Il mercato è per natura sua, sottilmente o grossolanamente, invasivo. Ma qui il discorso si allargherebbe a tutta la società attuale e non mancheranno occasioni per tornarci sopra, più e più volte: i limiti del mercato, detto più brutalmente, i limiti della riduzione a merce di ogni aspetto della vita. Persona umana compresa. Il proletariato storico è passato di moda ma la proletarizzazione globale incombe.
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Senza andare tanto lontano, io mi pongo tra quelli che hanno visto con una certa sorpresa il richiamo per bocca del regnante pontefice alle indulgenze. Un ostacolo sulla strada dell’incontro ecumenico, soprattutto se si pensa a cosa ha rappresentato nella storia delle divisioni che hanno lacerato il corpo della Chiesa (e anche, se vogliamo, l’anima) il tema delle indulgenze. Per essere più precisi, il mercato, eccolo di nuovo, legato alle indulgenze. Capisco, con discorsi di questo genere, di incappare nell’ignoranza dei più, su tematiche del genere.
La storia della Chiesa dovrebbe costituire materia d’obbligo nelle scuole pubbliche, ma qui si aprirebbe un discorso, tutto un altro discorso, da mettere in serbo per l’avvenire.
A proposito di ostacoli. È bene che non siano sottaciuti o diplomaticamente rimossi. Per essere superati devono essere ben visibili. Abbiamo scoperto con il Concilio che il tema ecumenico è parte essenziale e integrante del modo di essere Chiesa (ne siamo ancora lontani). Su questo non dev’essere tollerato alcun passo – e neanche mezzo passo – indietro. Il resto seguirà.
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Non si sa niente su come è nato e su come si è svolto l’incontro quasi clandestino di Oriana Fallaci con Benedetto decimo sesto. I giornalisti, al momento in cui scrivo, vagolano nel buio, il che li pone nella condizione pericolosa di abbandonarsi alle fantasie, a cui del resto sono abbondantemente proclivi, tanto che nasce un interrogativo: come difendersi dalla disinformazione? Tra l’altro non si può escludere che Oriana sia andata dal Papa per ragioni del tutto private. A una come lei non può bastare un semplice prete: ci vuole almeno un Papa. È stata certamente una grande giornalista e ha condotto in tempi diversi dagli attuali delle buone battaglie, battaglie laiche. Con un grosso e insopportabile handicap: al centro di tutto, qualsivoglia fosse l’argomento, c’era lei stessa.
Rivedo nella memoria la volta in cui si trascinò in gramaglie dall’amico Davide Maria Turoldo nel suo eremo di Fontanelle di Sotto il Monte. Perché in gramaglie, perché in lutto (che, tra l’altro le donava)? Per il fallimento del suo ultimo libro, Insciallah. Andava a supplicare un suo intervento. Davide che non sapeva dire di no a una donna implorante, glielo promise e ne uscì una pagina intera, un po’ faticata, sul Corriere della Sera.
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Un fitto parlare su i media di incontro o scontro con l’Islam. Ma, salvo rari esempi, su tutto domina una notevole ignoranza. Il grande e tutt’altro che accomodante islamista Francesco Gabrieli (della cui amicizia ho potuto godere) non ha avuto un grande seguito. A parte l’ignoranza deprecabile, ma comprensibile a livello di ceti popolari e medi, quella che non è tollerabile è l’ignoranza a livello di ceti intellettuali o politici. Urge un lavoro di alfabetizzazione culturale, a cominciare dai più direttamente interessati e coinvolti: i preti e i frati. Non si può più vivere di rendita sul tranquillo tran-tran parrocchiale o conventuale, cominciando dallo stare in guardia nei confronti dei plausi di certi neo o theo con. Parlo di questi temi con una certa cognizione di causa, essendomi occorso anni fa di lavorare alla traduzione dal francese, per la Mondadori, di un libro su Maometto. Fu occasione per me di affrontare la lettura del Corano e di altra letteratura contigua.
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Non posso licenziare queste note senza un pensiero all’amico scomparso padre Egidio Maria Merlo. Sui molteplici aspetti della sua personalità religiosa e umana ci sarebbe molto da raccontare. Qui, e per ora, mi limito ad esprimere la mia riconoscenza di valtellinese per la diuturna opera, svolta lungo un succedersi di generazioni, a favore dei tanti giovani che affluivano all’Istituto Madonna di Tirano (già Casa del Fanciullo) dalla Valtellina e dalla Valchiavenna.
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, ottobre 2005)