Un altro amarcord si aggiunge a quello espresso in una puntata precedente di queste rimeditazioni e che riguardava la mancata celebrazione in Santuario delle liturgie della Settimana Santa. Questo secondo invece ha per oggetto il venir meno della benedizione delle case. Intendiamoci, posso benissimo capire le ragioni di tali provvedimenti. Il mio vuol essere solo un rimpianto per qualcosa che ha significato molto per me, per quelli della mia generazione e anche per tanti delle generazioni successive e che ci mancherà. Mi rivedo quando, da piccolo cerak, capitava anche a me di accompagnare il sacerdote benedicente reggendo in mano, assieme alla borsa delle offerte, il secchiello dell’acqua santa con l’aspersorio. Nei tempi passati bisognava scarpinare fino ai (o alle) Ciocca allora ancora abitate. Divenuto poi sacerdote anch’io e tornato dopo anni di lontananza al mio paese, toccò più volte anche a me quella incombenza. Da quell’incontro si usciva, da entrambe le parti, spiritualmente e anche umanamente arricchiti.
Mi sia permessa una modesta osservazione: fondamentale nel rapporto pastorale è il conoscere e l’essere conosciuti. Conoscere, in questo caso, la gente nel suo ambiente famigliare. La benedizione delle case era a tal fine un’occasione preziosa.
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Due impegni, tra gli altri, attendono al varco Benedetto decimo sesto, e tutto lascia pensare che sia l’uomo adatto per affrontarli. Uno è trarre fuori la Chiesa dalla deriva populista in cui ha rischiato pesantemente di cadere nei lunghi anni di pontificato del suo grande predecessore. L’altro è la riscoperta e la rimessa in gioco, nella loro quasi infinità varietà – e variabilità – dei grandi Ordini e delle Congregazioni religiose, messe un po’ in ombra dal prevalere – se non dal predominio – soprattutto dell’Opus Dei e di Comunione e Liberazione, con tutto il rispetto per i valori e l’efficienza dei singoli componenti, ma non senza notare la differenza di fondo con gli Ordini, per esempio, del Duecento, Francescani, Domenicani, Carmelitani, Agostiniani, Servi di Santa Maria ecc. Questi operavano dal basso della società, anziché dall’alto dei poteri. Di qui le denominazioni: minori, minimi, servi e via dicendo.
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Il tragico incidente conclusosi proprio ai piedi del Santuario, rilancia insieme il problema del traffico e quello della piazza. Problema annoso quest’ultimo: a sfigurarne l’immagine si è cominciato presto. Sono abbastanza vecchio per ricordarmi di quando nella prima metà degli anni venti, furono abbattute, dalla parte prospiciente i binari della ferrovia del Bernina, non senza qualche protesta presto tacitata, le antiche botteghe che facevano da cornice originaria alla piazza per costruire al loro posto degli edifici stilisticamente estranei all’ambiente. Sul tema piazza penso che ritorneremo. Ho visto intanto con piacere la scomparsa delle recinzioni interposte tra il sagrato strettamente inteso e la piazza: una sgrammaticatura, perché la natura del Santuario è quella di essere aperto sul territorio e la recinzione naturale è la piazza stessa. Ora la restituzione della piazza a se stessa si sta felicemente rivelando non più un sogno, ma almeno temporaneamente, una fattibilissima realtà, sull’esempio di quanto si è potuto e saputo fare, da tempo, altrove. La restituzione della piazza a se stessa tornerà, ne sono certo, a vantaggio di tutti, anche di coloro, o di quelle categorie, che ora la paventano. Io ho vissuto da vicino, ed è diventato per me un apologo, quel che è accaduto al centralissimo e trafficatissimo Corso Vittorio Emanuele a Milano, l’antica manzoniana Corsia dei Servi, che prendeva il nome dalla prospiciente chiesa del mio Ordine. Quando si profilò l’idea di trasformarlo in spazio pedonale con chi dovette misurarsi? Con l’ostilità degli esercenti. Provate adesso a toglierglielo.
La morale? Tocca – o toccherebbe – agli amministratori e ai politici saper guardare al di là dell’interesse immediato.
Ma torniamo al traffico. Non è qualcosa che appaia all’improvviso, ma è cresciuto insieme a noi ed è diventato quel mostro che è diventato non senza la nostra complicità.
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Dedicata agli amici ambientalisti: il primo ambiente è il ventre materno. Con tutto quello che ne consegue.
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, giugno 2005)