Ringraziando Carlos Carralero, presidente dell'Unione per le libertà a Cuba (ULC), per l'utile contributo alla nostra discussione, preannunciamo che di questo autore cubano sta per uscire, sempre per i tipi di Spirali, un romanzo che andrà ad affiancare le importanti opere pubblicate a fine 2007 (de Armas e Valladares) e già presentate in Tellusfolio. A ruota poi, nel mese di febbraio o giù di lì, altri due scrittori cubani ancora pressoché sconosciuti in Italia. Ma... ne parleremo a tempo debito: non vogliamo togliervi il piacere della scoperta! (e.s.)
Le critiche al testo Miti dell’Antiesilio di de Armas meritano qualche riflessione.
Mi stupisce più che altro il paradigma della forza genetica con cui si tramanda la cosiddetta Cultura di Sinistra. Leggere un testo, qualunque sia la tematica con spirito critico, mi sembra edificante. Confondere i concetti, invece, porta ad errori, persino ad ingiustizie, anche se questo non sia lo spirito del lettore. Mettere la vittima al posto del carnefice, diventa uno sproposito concettuale. Argomento su cui bisogna attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. La Cuba della quale s’impadronì Castro nel 1959, aveva raggiunto un notevole sviluppo dei mezzi di comunicazione, circostanza di cui si avvalse il dittatore per distorcere la realtà sull’Isola. A partire del 1° gennaio 1959, Castro compariva ogni giorno alla televisione e altri mezzi di comunicazione. Parlando insistentemente delle sue gesta, fece credere all’opinione pubblica, che la Rivoluzione era opera dei partigiani, dimenticando i fattori cardini del trionfo: la lotta clandestina e l’appoggio della borghesia e dei contadini. Il suo soggiorno alla Sierra Maestra in sostanza fu più simbolico e folcloristico che eroico. L’immagine distorta, che un maestro della strumentalizzazione come Fidel Castro fece uscire filtrata dalla sua tana e da Cuba all’estero, giunse tutti gli angoli della terra. Il prodotto corrotto fu comprato come buono. Proprio quello di cui lui aveva bisogno. Del resto si occupavano ingenui e complici. Le conseguenze le stanno pagando esseri umani, che meritano una vita come quella che vive il resto dell’occidente o che dovrebbe vivere ogni persona al mondo.
Tornando al saggio di de Armas, l’autore tenta di dimostrare che con un regime crudele e sofisticato com’è quello cubano, ci vuole mano dura, perché con la tonada del dialogo, arriviamo alle calende greche. Allo scopo di far capire l’inutilità dei tentativi di dialogo o di cambi pacifici, vorrei sottoporre al vostro senso di giustizia, due tra le molte iniziative di carattere civile promosse dai cubani dissidenti, che poi hanno girato il mondo. La prima, tratta della lettera scritta dallo scrittore Reinaldo Arenas e firmata da noti personaggi di tutto il mondo; persino vari premi Nobel. La seconda, il “Progetto Varala”, che consistette nella raccolta di firme di cittadini cubani chiedendo un plebiscito nell’Isola, documento sorretto dall’articolo 68, comma G della Costituzione Socialista. Uno sforzo enorme da ogni firmante che una volta firmato il documento si dichiarava dissidente senza voler fare politica.
Risposta del regime al primo documento: il plebiscito l’abbiamo fato nel 1959.
Risposta alla seconda iniziativa: obbligare il popolo a votare per il partito unico. Chi non lo fa si dichiara dissidente senza volerlo. Molte delle persone che andarono alle urne, qualche giorno lasciarono il paese; hanno servito al regime nel suo gioco (costretti a crearsi la maschera della doppia morale). Tuttavia, l’opinione pubblica insiste nell'ignorare l’indifferenza dei castristi nei confronti del dramma che soffre il popolo.
Dal testo di de Armas, bisogna cogliere, e sarebbe utile per aiutare il popolo cubano, l’appello sottile che fa perché la nostra causa trovi la solidarietà e la legittimità, che una volta trovarono i colleghi latinoamericani nei periodi delle loro dittature. Per capire il nostro dramma, ci vorrebbe una riflessione sola. Perché il cubano, tra tutti gli esuli latinoamericani, è stato l’unico incompreso, illegittimo? Anzi, attaccato e vilipeso, durante quasi mezzo secolo. Ai cubani, come lo fanno adesso con gli ebrei vittime del nazismo, dovranno molti, tra poco, chiedere scusa per non averli voluto ascoltare e capire il terribile dramma che vive la loro nazione senza riscontro di comprensione.
De Armas, come la maggior parte dei membri dell’esilio, vuole il bene per Cuba: per i parenti e il resto dei connazionali nell’Isola. Ritengo assurdo e propagandistico affermare che uno scrittore che pubblica l’esito di un arduo lavoro, sia stigmatizzato con il segno di traditore o di uno che cerca guadagno. Con un libro, signori non si diventa ricco. De Armas, e il resto dell’esilio, non ha contatto né con il potere né con la volontà di far morire i connazionali che la pensano di maniera diversa. Vediamo, ad ogni modo chi è stato il responsabile di tante nefandezze.
Mario Chanes de Armas (non è un parente di Armando), compagno di Castro durante l’assalto alla caserma Moncada nel 1953, scontò 30 anni nel gulag delle Americhe per il suo dissenso con l’onnipotente InFidel; stessa sorte che toccò al comandate Hubert Matos, per aver capito subito che il suo compagno di battaglia, Castro, l’aveva tradito; le fucilazioni firmate da Che Guevara alla fortezza la Cabaña o a Santiago de Cuba da Raul Castro, ordinate da Fidel; lo sterminio della popolazione dell’Escambray, luogo in cui si produce la prima resistenza al castrismo (protagonisti di quelle gesta, i vecchi compagni del dittatore), la defenestrazione dei pionieri del comunismo a Cuba; i campi di lavoro forzato e la mutilazione del documento più progredito in materia istituzionale nel continente latinoamericano, (costituzione del 40); un esilio record nella storia di Cuba e primato nel continente; migliaia di morti nello stretto della Florida, in Africa e in America Latina. Queste. Queste sono soltanto una parte delle “prodezze” di Castro, certo non dell’esilio. Sarebbe allora giusto giudicare superficialmente i cubani che soffrono la divisione della famiglia, la perdita della patria che violentemente si frantuma fisica e moralmente, come lo fanno tanti in occidente? Il buon senso non potrà far altro che definire tutto macello come un tradimento alla speranza di molti, compresa la mia famiglia che lottò contro il regime di Fulgenti Batista.
De Armas, inoltre non ha fatto altro che riportare l’esito delle ricerche, le proprie, e, nel caso di Salvador Allende, quelle di Victor Farias, notevole intellettuale cileno: informazione e documentazione sono disponibili nel suo libro Antisemitismo y Eutanasia, una ricerca sul pensiero antisemita e razzista di Salvador Allende. Non avrà il signor Victor Farias, inventato una tesi firmata da Allende nel 1933 per la laurea di chirurgo, intitolata: “Igiene mentale e delinquenza” e anche il progetto di legge, per fortuna bloccato prima di arrivare al parlamento, proposto dal famigerato eroe cileno. I dati di questa ricerca ci mettono faccia a faccia con la verità su Allende, che proponeva la creazione di un Tribunale di Sterilizzazione, competente a dettare sentenze inappellabili e inaccessibili ai familiari dei malati. Suggerisce Farias di leggere bene il testo, e insiste sulla legge di sterilizzazione proposta dal cileno; analoga a quella dettata dal Terzo Reich per prevenire la discendenza con tare ereditarie.
Nel suo testo, de Armas tenta una formula per riportare dati che dimostrano l’efficienza dell’apparato di propaganda castrista. I miti sull’Esilio cubano e altre leggende false sull’embargo economico imposto dagli Stati Uniti a Cuba. Cerca anche di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica circa l’ingiustizia e l’ottenebramento della passione politica di coloro che si sforzano di cancellare con una pennellata gli errori e pure agli orrori storici compiuti da personaggi carismatici, fotogenici e comodi alla propaganda di certa sinistra.
Ripeto, la genetica continua a sorprendermi, perché taluni hanno la capacità di tramandare i loro geni ai nipoti, che pur d’essere fedeli alla loro Cultura di Sinistra, nascondono i crimini dietro il carisma di Fidel Castro o la capacità fotogenica di Che Guevara.
Carlos Carralero