La mia casa paterna, attualmente in restauro ad opera di Marcello Andreola, si chiamava anticamente Osteria all’Ancora, una delle tante che pullulavano in quest’angolo di Madonna. Si trovava in fondo a via Miscent (in origine penso che si pronunciasse Miscent, con l’accento sulla ’i’ anziché sulla ’e’, con allusione al vicino confluire del Poschiavino nell’Adda prima delle grandi opere di arginatura dei fiumi condotte avanti dagli Austriaci). Pochi passi la separano dal Santuario. La mia infanzia e la mia successiva scelta di vita sono state segnate da questa vicinanza. Potrei dire che sono stato allevato dalla Madonna, senza nulla togliere alla mia mamma che è stata una grande mamma. Delle tante Madonne che ho visto girando un po’ il mondo, questa è quella che, contemplandola, mi colpisce più direttamente al cuore. Tutto quello che accade attorno a Lei e al suo Santuario mi tocca da vicino.
L’ho visto, per esempio, con grande disagio, defraudato della celebrazione dei riti della Settimana Santa.
Le mie prime memorie infantili risalgono proprio a questi riti che si celebravano in Santuario da tempo immemorabile. Ricordo in particolare quando, il venerdì santo, dopo la conclusione dell’antifona Christus factus est oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis, noi ragazzi sciamavamo in piazza agitando le maiole, specie di raganelle gracidanti, in sostituzione del suono, a quel punto ammutolito, delle campane.
Condivido l’amarezza e capisco le proteste della gente di Madonna. Niente da eccepire sulla sacrosanta centralità della chiesa parrocchiale, ma ciò non dovrebbe impedire il riconoscimento di una sua autonomia - autonomia, non indipendenza – al Santuario di cui abbiamo appena finito di celebrare, con grande solennità, il 5° anniversario, anche tenendo conto del fatto che esso è luogo di accoglienza di gente proveniente da fuori, anche da fuori dei confini non solo parrocchiali, o di passaggio.
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Ho partecipato alla gioia per il ritorno a casa di Giuliana Sgrena, anche in ragione dei miei vecchi rapporti con il Manifesto e dell’amicizia che mi lega alla sua fondatrice Rossana Rossanda.
Ciò non mi impedisce di nutrire qualche dubbio e qualche perplessità sulla pratica del pagamento. Non potrebbe essere questo un incoraggiamento a ripetere i rapimenti? Tutto questo senza entrare, per ora, in attesa dei risultati dell’inchiesta in corso, nel merito di quanto è accaduto durante il viaggio verso l’aeroporto.
Una parola invece si è troppo aspettato a dirla sulla composizione sociale del corpo di spedizione americano catapultato sul suolo irakeno.
Si tratta di un insieme raccogliticcio di gente estranea a ogni tradizione patriottica, bisognosa, per uscire dall’emarginazione e dal degrado sociale, di una occupazione qualsiasi, fosse pure quella militare, e del tutto all’oscuro della natura dei problemi a cui andavano incontro.
È proverbiale, d’altra parte, l’ignoranza geografica sugli altri paesi e, figuriamoci sugli altri continenti, dell’uomo della strada americano. Non vorrei che qualcuno saltasse su gridando all’antiamericanismo. Qui non si tratta né di anti né di pro, ma della politica dell’attuale presidenza U.S.A.
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Scrivo queste note nel giorno della festa della donna. Contro il parere di certi snobbatori di questa denominazione, io difendo la parola festa.
Festa: una parola e una realtà tutta da riscoprire e niente affatto confondibile con un’altra abusatissima espressione, tempo libero. Festa vuol dire essere riconsegnati almeno per un giorno a noi stessi, alla nostra libertà dalla corvée quotidiana, dal lavoro, alla possibilità di riflettere – magari, perché no, pregando – sul senso del nostro vivere, del nostro essere al mondo. Festa della donna, dunque. Nei discorsi che sto ascoltando il riferimento prevalente è quello riservato alla statistica: tante donne là, tante donne qua, tante o poche. Non dico che non serva, ma credo che occorra portare il discorso più in profondità sul mistero donna e, per esempio, sul suo potere.
Interessante mi pare a questo proposito il ripensamento in corso nel mondo delle femministe storiche. Aggiungo un’osservazione, diciamo così, scandalosa: le prime nemiche delle donne sono le donne stesse. Un piccolo esempio personale: parlando tempo addietro con una amica infermiera, le raccontavo che secondo certe notizie, su certa stampa, il 70% degli iscritti a medicina sono donne. Se ne deduce che nel giro di pochi anni la maggioranza dei medici sarà delle donne. Credevo, con un’ingenuità indegna della mia età e della mia conoscenza del mondo, di farle un piacere. Lei si mise le mani nei capelli ed esclamò: «…per l’amor di Dio, no!»
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, aprile 2005)