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Valter Vecellio. Moratoria aborto: ma di che stiamo parlando? 
Con “lettera aperta” di Marco Pannella del 1975 al Procuratore Calamari
04 Gennaio 2008
 

Chi scrive ha, dietro la scrivania, una fotografia incorniciata: è una delle prime manifestazioni dei radicali, doveva essere il 1967, a piazza San Pietro. Un mare di teste, di fedeli convenuti per ascoltare la parola del pontefice; e sono sovrastate da uno striscione aperto all’improvviso: si legge: “Pillola, meno aborti”. Ecco: è tutto lì, in quella fotografia di cinquant’anni fa. È la risposta a quanti, Giuliano Ferrara e suoi epigoni, seguaci e sostenitori, propongono e chiedono una moratoria per quel che riguarda l’aborto.

Arrivano, come sempre, “dopo”, in ritardo. C’erano i radicali, non loro, in quegli anni, a fianco di Luigi De Marchi e della sua AIED, l'Associazione Italiana per l'Educazione Demografica, che quanti guai giudiziari passò, perché si proponeva di diffondere il concetto ed il costume della procreazione libera e responsabile.

Arrivano, come sempre, “dopo”, in ritardo. Il CISA di Adele Faccio, Emma Bonino, Giorgio Conciani, stava per Centro Informazioni Sterilizzazione e Aborto. “Informazioni”, è chiaro? E certo, anche aborto: quell’aborto che se fosse per i Luca Volonté e i Riccardo Pedrizzi, si dovrebbe continuare a praticare nella clandestinità: con migliaia di donne vittime di mammane e di fattucchiere, ad abortire sul tavolo da cucina; o – se signore “bene” senza problemi economici, dai “cucchiai d’oro” (magari ufficialmente “obiettori”) in cliniche compiacenti; oppure all’estero.

Il problema, come è di tutta evidenza, non è aborto sì o aborto no, piuttosto aborto come; figuriamoci se non si è tutti d’accordo nel fare il possibile per evitare a una donna il trauma dell’aborto. Ma quando, per ragioni che vanno comprese e rispettate, una donna arriva alla risoluzione di non portare a termine una gravidanza non desiderata, cosa si fa, le si dice: vai ad abortire in clandestinità; oppure si cerca di fare tutto il possibile perché a problema non si aggiunga problema? Ma davvero una donna, qualsiasi donna, ha bisogno di un Giuliano Ferrara, un Camillo Ruini, che le spieghi il valore e il significato di quel che le sta crescendo in corpo? Facciano allora la cortesia, i tanti che propongono la moratoria sull’aborto: facciano tutto quello che possono e sanno per assicurare un’adeguata educazione sessuale, non demonizzino gli anticoncezionali.

Era il gennaio 1975 – la magistratura fiorentina aveva appena fatto arrestare Gianfranco Spadaccia, allora segretario radicale e il dottor Giorgio Conciani, aveva spiccato mandato di cattura nei confronti di Adele Faccio ed Emma Bonino – e Marco Pannella dalle colonne del Mondo indirizzava una “lettera aperta”, intitolata “Colpevoli siete voi”; di straordinaria attualità. Basta cambiare qualche nome e sembra scritta per l’oggi.

 

 

Colpevoli siete voi!

di Marco Pannella

 

Signor Procuratore generale Calamari, per tutelare dunque la sanità della stirpe, o della razza, avete catturato il Segretario nazionale del Partito radicale, Gianfranco Spadaccia. All'alba: non era il lattaio, eravate voi.

Dalle alture della sua città, dove riposa Ernesto Rossi accanto ai fratelli Rosselli, una voce calerà certamente stanotte per dare alla vostra preda, rinchiusa nelle Murate, il grazie che si deve dai padri al figlio che sa lottare, vivere ed essere buono come loro, e come loro ci chiesero. In Arno, in quelle ore, caleranno silenziose, come da vent'anni, nel liquame, a ogni momento, ammassi di feti squarciati, con il sangue copioso uscito dai ventri raschiati - le lacrime delle donne che non hanno potuto volere essere madri.

In centinaia di case, disperazione e paura. Non di lei, signor Procuratore generale, Commendatore che non è mai sceso dalla sua statua per così poco. Nemmeno della legge, che ha così creato nuovi crimini e criminali. L'aborto clandestino, immondo, barbaro, terrorizzante, quello di massa, di classe, clericale, non la riguarda; di questi fantasmi lei non s'occupa. Ma paura d'altre complicazioni: della infermità, di altro sangue, della sterilità, di tornare a dover amare e non poterlo più; e, più semplicemente, della morte. Paura, anche, di non pagare i debiti dovuti contrarre. E paura d'un inferno lontano, che è l'unico certo e attuale nei cuori che ne sono abitati.

Dalla sua cattedra, un cardinale lancia contro di noi i suoi anatemi e i suoi insulti. Letteralmente infame, ci accusa di assassinio. Parlano in nome della vita coloro che hanno benedetto e sostenuto da sempre violenza e stragi. Florit non dice che l'alternativa all'aborto clinico da noi assicurato è solo l'aborto tragico e infernale della clandestinità, o quello di classe e clericale delle cliniche di lusso, di queste Sacre Rote dell'aborto.

Sempre nella sua Firenze, dottor Calamari, il maggiore dei carabinieri che, come ufficiale di polizia giudiziaria, ha condotto a termine la “operazione”, in difesa della razza, dichiara testualmente alla stampa, che ne ripete le parole, che in città i procurati aborti costano in genere cinquecentomila lire. Avrebbe potuto aggiungere che sono altrimenti effettuati in condizioni sanitarie e psicologiche pericolose e patogene, che sono annualmente migliaia o decine di migliaia, e che coinvolgono certamente, in un anno o due, centinaia di migliaia di persone. Mai sentito dire, signor Procuratore generale? Mai sospettato, signor Sostituto Casini?

Lo so. Siete molto occupati. Contro l'eversione marxista e radicale, contro gli editori, i venditori, i lettori di opuscoli di educazione sessuale: contro i magistrati che ledono il prestigio della casta perché professano opinioni repubblicane e democratiche: contro gli scioperi dei vigili urbani: contro i nostri vilipendi; contro i “piani eversivi” in bella mostra in belle macchine in bella posizione per essere viste: quelli “rossi”, naturalmente, gli unici che conoscete. Contro l'Isolotto...

Ma il tempo l'avete trovato, fulmineamente, quando a Firenze le donne hanno potuto cominciare ad abortire come esseri umani e non come bestie immonde da punire e massacrare, quando hanno potuto, almeno in questo, essere “diverse” dall'immensa maggioranza delle altre. Con centomila lire, se le avevano: o con niente. In condizioni umane, civili, sanitarie straordinarie per questo nostro Paese di santi ospedali, di opere pie, di istituti del buon pastore in sfacelo. In condizioni, dopo pochi minuti (grazie alla scienza moderna, grazie a chi sa ubbidire all'essenza del giuramento di Ippocrate, grazie all'umanità che riesce anche a progredire e a sconfiggere i tolemaici di sempre, grazie all'impegno militante e alla moralità civile e personale di esponenti del PR, del MLD, del CISA), di tornare alle proprie case, al proprio lavoro, perseguendo senza lacerazioni psichiche e fisiche, senz'altri rischi per il futuro, senza traumi patogeni, l'obbligato e obbligante dialogo con le loro coscienze, come sempre quando la vita poggia sulla libertà e sulla responsabilità di ciascuno e di tutti.

Dopo aver catturato i nemici della patria e della legge, medici e infermieri, personale tecnico e subalterno, dopo aver ora catturato Spadaccia, state cercando in giro per l'Italia la compagna Adele Faccio, questa ammirevole militante che non fa esagitate e sterili proclamazioni di femminismo ideologico ed esistenziale, ma che consapevolmente mette in causa la propria libertà e la propria responsabilità finché un passo necessario e urgente di concreta, vera liberazione non sarà compiuto. Questa donna ha saputo, quasi da sola, con i suoi compagni di idee e di convinzioni, prefigurare quello che ogni Stato civile assicura a tutti e che, prima e poi, sarà non solo diritto ma dovere delle istituzioni repubblicane, del Suo Stato, dottor Calamari. E, intanto, mi “preavvisate”.

Bene. Non solo le concedo, ma affermo pubblicamente e serenamente che non lei, non i suoi collaboratori, sono i responsabili dei fatti di questi giorni. Sotto accusa deve essere messo, e mettiamo, il Parlamento repubblicano, che è solidale, finora, contro ogni nostra lotta, e richiesta, e consiglio, con le legge immonda che lei sta applicando. Sotto accusa sono le forze politiche, in primo luogo quelle democratiche.

Lei, invece, è al suo posto, veste i suoi panni. Applica anche le leggi che colpiscono reati di opinione. Leggi che il Parlamento difende: quelle che proponiamo di spazzar via con una raffica di referendum popolari e cui invece si inchioda da cinquant'anni il Paese, da trent'anni contro la Costituzione e il diritto fondamentale della Repubblica.

M'affanno da troppo tempo, ormai, per far comprendere alla sinistra storica della quale faccio parte che il lascito della “destra storica”, e non quello crispino, la sua concezione dello Stato di diritto è, oggi, qui e più che mai, oggettivamente rivoluzionaria e eversiva del disordine stabilito, per poter rivolgerle in questa occasione altro che lodi. Arresti, dunque, catturi, incrimini, colpisca, condanni, mobiliti il braccio armato e ascolti l'animo cattolico di questo Stato, come le piace e come il Parlamento repubblicano le consente di voler fare!

Per mio conto rifiuto, come lo rifiuterebbe Spadaccia, d'essere ai suoi occhi meritevole degli stessi privilegi di impunità che lei è solito riconoscere a molti, nell'ex granducato di Toscana. In primo luogo a quei vescovi felloni e spergiuri, prevaricatori e forcaioli, che a due riprese, nel 1970 e questa primavera, insultarono e violarono in modo clamoroso, continuato e protervo, le leggi e i regolamenti, oltre che il loro e vostro Concordato clerico-fascista.

Mi dolgo d'altro, Signor Procuratore generale. Mi dolgo del fatto che la giustizia di questo Paese serva il regime, il potere, l'“ordine” (cioè il disordine stabilito), ben più che la legge. Mi dolgo del fatto che per anni e anni, a Firenze come altrove, non abbiate preso quelle iniziative, promosso quelle indagini, esercitando quell'azione penale che era giusto intraprendere dinanzi alla univoca e non smentibile gravità del flagello sociale dell'aborto clandestino di massa e di classe.

Nei giorni scorsi, a Milano, una redattrice di Amica ha individuato da sola 37 medici (su cinquanta visitati) che procurano aborti. Il 47 per cento della classe media, dunque, non trova nulla di meglio che consentire e facilitare reati e crimini contro la persona e contro la razza.

Perché, signor Procuratore generale, lei, con tutti i suoi colleghi d'Italia, ha mostrato d'ignorare quel che tutta la stampa, quel che tutta la polizia intervenuta a migliaia di nostri comizi, congressi, convegni e manifestazioni, rendevano noto e pubblico?

Perché dianzi alle centinaia di autodenunce per procurato aborto, pubblicate sul quotidiano di cui sono proprietario e di cui ero editore e direttore, Liberazione, riprese dagli altri giornali, lei non ha esercitato l'azione penale, e nessun'altro l'ha fatto?

Perché l'associazione per delinquere, l'istigazione a delinquere, l'apologia di reato, il concorso in procurato aborto, l'offesa alle leggi dello Stato, il vilipendio, non ci sono stati almeno contestati? Perché non lo sì è fatto nemmeno quando abbiamo preannunciato denunce per omissioni di atti d'ufficio o per mancato esercizio dell'azione penale?

Il regime aveva sperato di assassinare in altro modo, che credevano meno costoso e impopolare, più sicuro, il PR, la LID, il MLD, il CISA, la LOC e l'intero movimento dei diritti civili, abrogandoli come soggetti dei diritti costituzionali e fondamentali dell'uomo e del cittadino. Nella scorsa primavera si cercò di abrogare più ancora che il divorzio, i divorzisti; si tentò di assassinare quello che è, nel suo insieme, il più pericoloso movimento alternativo perché fonda le sue speranze libertarie, il suo impegno democratico di classe, nella difesa di una Repubblica autenticamente costituzionale, su rivendicazioni semplicemente liberali, sulla libertà e la forza della assoluta nonviolenza. Abbiamo avuto la forza e la sorte di rovesciare la situazione.

Noi costituiamo, tutti insieme, il partito del 13 maggio; e lo sapete. Si cerca di farcelo pagare, prima che provochiamo altri danni. Ritenete ormai intollerabile e urgente sgombrare il campo e il futuro dai nostri metodi e dai nostri ideali. Ne va della sopravvivenza del regime. Catturate quindi le nostre persone. Sapete ormai che esprimiamo non piccole minoranze ma le grandi maggioranze che il potere ha reso tanto a lungo silenziose con la violenza, con la corruzione, con il tradimento della legge fondamentale dello Stato.

Chi ha atteso questi giorni per colpirci con la violenza legale delle istituzioni ha avvilito la giustizia a serva del regime, non già perseguendo le violazioni della legge, ma non facendolo per anni, contro la loro lettera e ancor più il loro spirito.

Dove non siamo più d'accordo, dottor Calamari, è nelle modalità che state usando. C'è qualche eccesso, se me lo consente, nel mettere le manette e nel mantenere in carcere i nostri compagni arrestati. Direi che si sente che vi state muovendo, Calamari e Casini, di tutto cuore.

Allora togliamoci ogni alibi reciproco. In questo momento centinaia di radicali del PR, del CISA, del MLD, di militanti libertari, laici, socialisti, di sorelle femministe, stanno compiendo un'ampia serie di reati, la cui flagranza è - mi consenta ancora - flagrante. E non solo le centinaia di firmatari delle pubbliche autodenunce per aborto. Ma, inorganizzato come oggi sono, titolare solo delle promozione della Lega 13 maggio - Movimento socialista per le libertà e i diritti civili, non posso che parlare a mio nome e per mio conto.

 

La mia situazione, Signor Procuratore generale, è la seguente:

1) Sono manifestamente associato a Gianfranco Spadaccia, a Adele Faccio, al PR, al MLD, e al CISA, da tempo, ininterrottamente, e oggi più di ieri, con posizioni oggettive di massima responsabilità sostanziale, nella promozione della disobbedienza civile nei confronti della iniqua legge che pretende di condannare a un aborto criminale milioni di donne. Nulla che essi hanno fatto o tentato di fare, io non ho fatto con loro, e indipendentemente da loro. Ho sempre proclamato il dovere per tutti di concorrere ai procurati aborti, in necessità e coscienza decisi da donne sovrane nel disporre dal proprio corpo, libere e responsabili di fronte alla maternità. Torno a farlo oggi, e lo farò domani e in ogni occasione e momento, in modo particolare affermando il dovere di tutti e di ciascun medico che sia idealmente e politicamente d'accordo con la nostra posizione. Mi sembra che questa lettera che le invio, signor Procuratore generale, sia dunque prova evidente della flagranza e della continuazione in atto delle istigazioni a delinquere, dell'apologia di reato, dell'associazione per delinquere.

2) Intendo operare e sto operando perché nei prossimi giorni, in numerosi centri in Italia, le oltre trecento donne che si sono a noi rivolte, dal momento della chiusura del centro di Firenze, e che stanno vivendo ore, giorni, minuti drammatici e sempre più incalzanti, possano ottenere quell'assistenza che una legge aberrante e lo Stato loro negano, e cui hanno diritto. La libertà di questi miei giorni ha necessariamente, e innanzitutto, questa forma e questo impiego.

3) Fino a quando il nostro Parlamento, il governo, la “Giustizia”, non avranno trovato - come devono - una nuova, decente, non vergognosa risposta, con articoli, comizi, scritti, riunioni, e ogni altra iniziativa che si rivelerà opportuna e adeguata, ritengo mio dovere disubbidire alla legge, di obiettare in coscienza, di promuovere e organizzare in associazione con il PR, il MLD, il CISA (e solo con questi), l'uso democratico e civile della scienza e della medicina, della politica e delle istituzioni, un uso che salvi, con il massimo numero di donne, il massimo di speranza di progresso, di giustizia, di libertà.

 

Mi resta ora poco d'altro da aggiungere. Solo quanto basta e quanto è vero perché non vi siano alibi per non applicare la legge in modo uguale per tutti: o tutti dentro, o tutti fuori. Lei m'intende. Riguarda l'unico altro reato che forse non emerge in modo inequivoco da queste righe: quello di concorso in procurato aborto. Concorso con le persone già nominate, e con il medico Conciani, cui rivolgo qui pubblicamente l'espressione della mia stima e un formale ringraziamento. La informo quindi di aver da tre mesi provveduto a dirigere verso la clinica di Firenze le persone che si sono rivolte a noi, o a me, per interrompere volontariamente una gravidanza. Sono circa una ventina. È tutto, dottor Calamari.

Aspetto ora, lo sappiamo entrambi, rapide sue notizie. Non la ritengo un vile, fino a prova del contrario. La Repubblica ha fatto di Lei uno dei suoi più prestigiosi magistrati; di noi, dei delinquenti, come di milioni e milioni di donne, di uomini semplici e poveri. Lei rappresenta la legge repubblicana dei potenti, noi la speranza socialista e libertaria, laica nonviolenta, di chi apprende ogni giorno che questa giustizia è violenta.

 

Da queste pagine, che furono quelle di Piero Calamandrei, oltre che di Mario Pannunzio e di Ernesto Rossi, per questa ideale compagnia e quella viva dei nuovi compagni, nel salutarla posso anche rassicurarla, signor Procuratore generale, che non siamo noi a dover aver vergogna. Entrandoci, s'avvicina il giorno in cui torneremo ad abbattere le vostre galere.

 

(Il Mondo, gennaio 1975)

 

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 4 gennaio 2008)

 

 

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