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Anna Lanzetta: Integrazione e intercultura. Sugli studenti stranieri in classe.
02 Gennaio 2008
 

Non ricordo da quando la scuola ha cominciato a mutare colore e a diventare luogo di apertura al mondo, ma certamente le scuola è il primo indicatore di quei cambiamenti che nel tempo caratterizzano una società. Le emigrazioni sono sempre esistite e ci hanno toccato da vicino con movimenti interni ed esterni al nostro paese; molte sono le persone che emigrano da ogni angolo del mondo, per una possibilità di vita e tra queste ci sono buoni e cattivi.

Con l’arrivo degli stranieri, si altera un sistema consuetudinario, legato a modelli perpetuati, a stili di vita abitudinari, che si fa fatica a veder mutare, ma è necessario abituarsi al cambiamento, perché basta entrare in un’aula per accorgersi che siamo da tempo diventati una società multietnica.

Sono sempre più numerosi gli studenti stranieri che affollano le nostre aule e la loro presenza ci invita a ricercare strategie per poterli inserire nel gruppo classe e intervenire a livello didattico, in relazione alle loro abilità.

Ognuno di loro, nella diversità delle proprie origini, porta con sé una cultura, legata alla storia, alla lingua, agli usi e alle tradizioni del proprio paese che nel contesto della classe, ci dà la possibilità di parlare di intercultura.

L’integrazione nel nostro connettivo sociale non riguarda soltanto i ragazzi ma anche le loro famiglie; molti sono gli interventi in atto per integrarle e in tale contesto, la scuola s’inserisce come luogo di dialogo e di confronto. La presenza degli studenti stranieri in classe deve essere vista come ricchezza per l’apporto culturale.

Non sempre però il rapporto di comunicazione con gli studenti stranieri, all’interno del gruppo classe è immediato, anzi a prevalere è una certa diffidenza reciproca, che ne ritarda l’intesa.

Considerato che la nostra società diventa sempre più eterogenea in termini di culture, è la scuola il luogo dove i ragazzi devono essere educati fin da piccoli a convivere nella diversità.

Sono sempre i bambini i migliori maestri che insegnano agli adulti regole e comportamenti, che non conoscono diffidenze e differenze, che non temono che qualcuno gli sottragga la merenda; sono i più piccoli a realizzare quella convivenza solidale che di anno in anno, maturerà la convinzione che il mondo è fatto di diritti e doveri: diritto alla vita e alla felicità, uguale per tutti i bambini e doveri di ospitalità verso chi bussa e chiede asilo; gradualmente, maturerà la conoscenza di un mondo che nella diversità avrà la sua unicità e dal gioco si passerà alla condivisione di una società che muta e cambia nel concetto di globalità.

La scuola si adopera già con ogni mezzo per inserire gli studenti stranieri, intervenendo essenzialmente sul piano linguistico, ma come detta l’esperienza, è l’apertura alla loro cultura, l’espediente per un’integrazione più veloce e gratificante.

L’integrazione prevede da parte degli stranieri conoscenza e rispetto della cultura e delle leggi del paese che li ospita ma non diniego della cultura di appartenenza.

In un mondo globale, dove le nostre aule diventano sempre più eterogee, la scuola può diventare un luogo di dialogo aperto, proiettato all’esterno, se lascia spazio anche alle altre culture in essa presenti, poiché ognuna è portatrice di usi, costumi, lingua e quant’altro ne determini la specificità, elementi preziosi per un confronto multietnico e per un insegnamento multidisciplinare.

I processi d’integrazione sono lenti ma possibili, considerato che il corso della Storia stessa ci porta in tale direzione: gli scambi culturali, i soggiorni all’estero, i viaggi, sono già matrice di un mondo allargato con tutti i benefici pluridirezionali che ne conseguono.

L’inserimento degli studenti stranieri a scuola non è un processo semplice e veloce, a conferma che la scuola è lo specchio stesso della società. Succede spesso che il gruppo non accetti di buon grado chi ha una cultura diversa dalla sua e, o lo seleziona o lo emargina; succede che lo studente straniero non riesca ad integrarsi velocemente o per problemi di lingua o perché ha paura di non essere accolto, influenzato anche dal clima esterno alla scuola: prof non mi vogliono, mi fanno gli scherzi, mi offendono, mi prendono in giro, e questo perché non sempre c’è l’educazione alla diversità di lingua, di modelli e di culture, un rifiuto spesso alimentato anche dai messaggi che inopportunamente ci coinvolgono. Molteplici sono dunque i problemi che quotidianamente si pongono all’attenzione di genitori, insegnanti, di Dirigenti scolastici che possono essere affrontati e discussi in un dialogo aperto.

È a scuola dunque che bisogna rimuovere i primi ostacoli e l’accoglienza, in tale contesto, diventa momento essenziale per superare paure e timori da ambo le parti.

Bisognerebbe chiedersi più spesso, perché le persone vanno via dal proprio paese; le cause sono molteplici e non sempre facili da capire; anche molti nostri connazionali un tempo furono costretti a lasciare il nostro paese per indigenze economiche; e mentre si allontanavano, pensavano al paese che lasciavano, alla famiglia, al futuro incerto, alla difficoltà di leggere o scrivere una lettera, alle piccole somme che avrebbero mandato ai propri cari per il loro sostegno. Una bella pagina di

Storia vissuta! Il paese si abbandona quasi sempre per necessità o per altri motivi che hanno una loro ragion d’essere; certo che a spiegarlo in classe, a qualsiasi livello, sarebbe un’ottima lezione di Storia e di Educazione civica rinverdita, e solo per citare alcune tra le discipline interessate.

Sapere è capire e capire porta a considerare la diversità come positività.

Tutte le culture, hanno valenza formativa, perché sono l’espressione di un’evoluzione storica che nel tempo ci ha accomunato e poi diviso per eventi che hanno creato separazioni e conflitti, ma se la scuola è luogo deputato alla formazione, è alla scuola che spetta il compito di abituare gli studenti ad una condivisione ideologica e può farlo sul piano dell’intercultura, attraverso analisi e confronti.

Per l’inserimento degli studenti stranieri, la scuola sperimenta varie strategie per il recupero delle abilità linguistiche, ma non sempre una più adeguata conoscenza logico-grammaticale è sufficiente per l’inserimento, altre strategie possono essere di supporto come la -Scrittura creativa- che dà a ogni ragazzo, la possibilità di scrivere in piena libertà, di raccontare storie e di raccontarsi, potenziando così il proprio livello espressivo; emblematico fu il caso della ragazza di origini albanese: non si sentiva sufficientemente coinvolta nello studio e integrata nel gruppo classe, anzi mostrava segni di indifferenza e di insofferenza, ma la Scrittura creativa le diede l’input per scrivere; la fiaba divenne l’espressione della sua creatività e strumento di confronto con gli altri. Adattare strategie e metodi agli interessi individuali e strutturare percorsi differenziati fa della didattica uno strumento di conoscenza, di inserimento e di recupero. La scuola si adopera con tutti i mezzi per rispondere alle attese degli studenti, e con essi gli stranieri, e ne realizza gli interessi, come quel ragazzo bulgaro che amante del teatro lo seguì a scuola e dopo il diploma. Tanti potrebbero essere gli esempi da apportare e tutti gratificanti per gli studenti e per gli insegnanti che si adoperano, in modo indiscriminato, per capire e intervenire; ma l’inserimento più efficace per gli studenti stranieri è quello che passa attraverso la loro cultura d’origine. Molti ragazzi sono costretti, per necessità familiari a lasciare il proprio paese; esemplificativo il caso di quel ragazzo di origini peruviane… Per riunirsi alla famiglia, era venuto a Firenze e si era iscritto, benché più grande d’età, al primo anno delle superiori. Aveva capacità e interesse ma non conosceva della lingua che pochissimi elementi. L’intesa con gli insegnanti fu immediata e nell’arco del biennio, si misero a punto una serie di attività per coinvolgerlo e inserirlo nel gruppo classe, si lavorava sul recupero delle abilità linguistiche e durante le lezioni di storia e geografia, si inseriva il discorso sugli Incas del Perù. Egli partecipava entusiasta ai progetti di classe: scriveva racconti, disegnava la Cattedrale di Lima, si sentiva portatore di una cultura che vedeva valorizzata e apprezzata e superò il biennio.

Lo studente al Dirigente scolastico al termine del biennio:

Signor Preside, le racconterò che quest’anno di scuola è stato stupendo, e penso che sarà così durante tutto il mio percorso scolastico (cioè fino ad ottenere il diploma); ma vorrei raccontarle in particolare che in questa scuola ci sono docenti straordinari, perché tutti i professori hanno avuto molta pazienza e in forma speciale ringrazio la professoressa d’italiano per l’aiuto che mi ha offerto durante quest’anno e per la comprensione.

Quest’ora d’italiano, durante la settimana, mi è stata di molto aiuto per poter migliorare il mio italiano. Sarò sincero con lei, prima avevo un po’ di paura, perché ancora non parlavo bene l’italiano ed avevo tuttavia paura delle interrogazioni, ma questo l’ho potuto superare grazie alla fiducia degli insegnanti. In quest’ora di recupero non ho imparato soltanto l’italiano ma anche cosa s’intende per rapporto fra alunno e insegnante perché questa professoressa è stata e lo sarà la prima persona italiana con cui ho avuto una comunicazione così aperta, con lei non parlavo soltanto della scuola e delle materie ma parlavo della mia vita e del mio paese, così senza rendermi conto ora posso parlare meglio l’italiano di prima. Allora, ringrazio tutti e in speciale lei per essere un preside così comprensibile non soltanto con gli alunni ma anche con i genitori.

Io la saluto

 

Ma in terza le cose cambiarono; l’inserimento in un nuovo gruppo classe non fu quello sperato e il suo rinchiudersi in se stesso diventava sempre più manifesto; per cercare di risolvere il problema, ogni insegnante della classe cedette un’ora di lezione, per un cumulo di 10 ore e si attivò un progetto di intercultura in orario curriculare: El Cid Campeador, Juan Manuel e Juan Ruiz; Lope de Vega riaccesero i suoi interessi ma fu con Alberto Ureta, poeta peruviano, da lui molto amato, che egli si sentì fortemente gratificato e che tradusse per la classe.

Si riaccese il suo interesse per la scuola e s’inserì da protagonista nella classe, ottenendo la promozione in quarta.

 

Lo studente al Preside al termine della terza:

Signor Preside,

durante questo periodo di lavoro, ho potuto espandere le mie conoscenze sulla letteratura spagnola.

Questo lavoro oltre ad essere stato per me un aiuto per imparare la lingua italiana è stato un lavoro di scambio culturale e ho notato che esistono molti autori italiani del ´300 che  assomigliano a quelli spagnoli.

Quest’anno è stato per me il secondo lavoro di intercultura poiché l’anno scorso insieme alla mia insegnante d’italiano, con la quale anche quest’anno ho svolto il corso, abbiamo lavorato sulla cultura del mio paese, cioè abbiamo lavorato sugli Incas del Perù.

Quest’anno abbiamo fatto un lavoro sulla letteratura spagnola a partire dalle origini e abbiamo parlato dei poeti peruviani.

Ringrazio il Preside e gli insegnanti per avermi permesso di realizzare questo lavoro, poiché fa parte delle mie origini ma con il quale abbiamo discusso in classe di letteratura italiana, spagnola e peruviana, mettendo a confronto le nostre osservazioni e riflessioni.

Le interrogazioni sono andate bene e mi iscriverò al quarto anno.

 

Ma in quarta le cose andarono diversamente; la nostalgia per il Perù incalzava e quando in occasione di un viaggio, egli incontrò laggiù la compagna del cuore, capimmo tutti che il problema assumeva altri aspetti; gli insegnanti erano ancora disponibili ad aiutarlo ma egli non volle, gli sembrava una preferenza e non più un merito e ringraziandoci si ritirò dalla scuola ma non senza averci promesso che avrebbe preso il diploma. E così è stato; dopo un anno è ritornato e quest’anno prenderà il diploma. Questo ragazzo è stato per tutti un esempio di onestà e di dignità insieme alla sua famiglia che ha trovato una scuola aperta alla collaborazione e al dialogo.

Storie semplici ma che nutrono di valori la scuola e che ci fanno riflettere sul rapporto umano e solidale che in essa si può realizzare.

Questa esperienza, visti i risultati positivi, è stata ripetuta anche per altri studenti stranieri, portatori di altre culture e le classi si sono arricchite ogni anno di più.

 

È questa la scuola che pochi conoscono, che si regge sul lavoro oscuro di tanti insegnanti che, incuranti di un sistema scolastico che troppe volte antepone l’immagine alla sostanza, si adoperano con tutti i mezzi, per soddisfare le esigenze del singolo e della collettività; insegnanti che spendono tempo ed energie, spesso, anche senza ricevere ricompensa e gratificazioni; insegnanti attenti ai mutamenti sociali e che realizzano la relazione scuola-vita; pronti ad aiutare i più bisognosi, a unire il gruppo classe in nome della cultura, a realizzare quella solidarietà base di ogni convivenza, affinché la società veda nella scuola il suo specchio-positivo, il luogo dove l’apporto di tutti, realizza nella quotidianità dell’aula ciò che a volte, sembra impossibile nella vita.

L’apertura alla convivenza è l’augurio più sentito per questi giorni di festa: che nelle -palle dell’albero di Natale- ruoti un mondo a colori- guidato dal “Bambino”, che sorride speranzoso e che parla al cuore di tutti, affinché il Nuovo Anno regali ad ogni bimbo -Felicità e Amore-, il dono più bello per un mondo migliore.

 

A. L.


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