Alle donne irachene ed afgane: che affrontano la miseria e la violenza dell’occupazione militare; gli abusi, gli stupri, gli omicidi commessi in nome dell’“onore” e della “religione”; le durezze di paesi devastati ed il dolore per la perdita di troppe persone care. In particolare, i miei auguri vanno alle appartenenti all’Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq, che continuano ad aprire rifugi per le donne in pericolo e a far funzionare la “ferrovia clandestina” per permettere alle vittime dei crimini “d’onore” di raggiungere la salvezza, ed alle instancabili e meravigliose donne afgane di Rawa.
Alle palestinesi: a cui, accoppiato tutto il resto di cui sopra, neppure si permette di partorire in ospedale grazie alla continua violenza militare, ai checkpoint, ai coprifuoco ed alla chiusura delle strade. Mille auguri, quindi, a quelle impegnate nel progetto “Nascita sicura” che stanno addestrando in loco ostetriche e operatori sanitari, gestiscono una “clinica mobile” ed una linea telefonica d’aiuto per le partorienti. Molto tempo fa, una donna palestinese diede alla luce un bimbo, amato al punto che celebriamo la sua venuta al mondo ancora oggi: nessuno voleva aiutarla, ma Maria non si arrese.
Alle colombiane, di cui circa quattro milioni (con i loro bambini) sono state spinte fuori dalle loro case da tre decenni di scontri fra esercito, forze paramilitari e guerriglieri. Sul lavoro affrontano discriminazioni, molestie sessuali, orari impossibili e condizioni insicure; se alzano la testa e protestano, possono essere uccise (gli omicidi di sindacalisti sono quasi una routine in Colombia). Speciali auguri resistenti all’organizzazione Taller de Vida, che soccorre queste donne e i loro bimbi, e sostiene i loro diritti.
Alle donne del Guatemala, l’80% della forza lavoro nelle maquilas o sweatshops, rozzamente traducibile come “fabbriche del sudore”, che producono beni per l’esportazione. Sono senza alcuna tutela sul posto di lavoro (vengono licenziate arbitrariamente non appena è evidente, per esempio, che aspettano un figlio), e chi le assume pensa troppo spesso di aver comprato i loro corpi e la loro dignità. Ma queste donne, nella comunità di Barcenas, a Guatemala City, hanno dato inizio ad un programma di informazione e istruzione relativo ai diritti umani: stanno imparando come rispondere efficacemente alle violazioni ed agli abusi, e stanno costruendo alleanze con altre operaie di zone diverse. Auguri alle lavoratrici in lotta, con tutto il cuore.
Alle donne del Sudan insanguinato, sotto attacco da parte delle milizie islamiste (janjaweed) pro governative e degli altri gruppi armati che sterminano famiglie, stuprano e mutilano sistematicamente donne e bambine, danno fuoco ai campi coltivati ed avvelenano i pozzi. Si stanno aiutando da sole, con organizzazioni di donne come Zenab, che soccorre le vittime di violenza e i rifugiati. Nessun augurio è più caloroso e pieno di speranza di quello che mando a voi, augurandomi anche che la comunità internazionale cessi di voltare la testa dall’altra parte.
Alle donne del Kenya, che hanno legato la Piattaforma di Pechino del 1995 ai bisogni ed alle lotte delle comunità indigene, creando l’Indigenous Information Network ed il programma “Rompiamo il silenzio” per affrontare l’emergenza dell’Hiv/Aids e porre fine alle mutilazioni genitali ed ai matrimoni di bambine. La terra che in Kenya viene rubata per turismo e basi militari è rubata alle donne indigene, che non avendo diritti ereditari su di essa sono le più vulnerabili alla miseria che ne consegue: le donne stanno lottando anche contro questo esproprio. Auguri, sorelle che avete creato il villaggio femminile di Umoja con lo slogan “Questa è una zona libera dalla violenza contro le donne”.
Alle algerine, che ricordando le loro eroine della lotta per l’indipendenza (come Hassiba Ben Bouali e Jamila Bouhired) stanno protestando ad alta voce per l’incremento della violenza di genere nel loro paese: la cifra degli stupri e delle aggressioni aumenta ad un ritmo di 2.000 casi in più l’anno. Inoltre, essi non vengono investigati e molto raramente i responsabili compaiono di fronte ai tribunali. Auguri quindi alle donne del Centro “Darna” di Algiers, che dà rifugio alle vittime di violenza, e possa la loro lotta scuotere cuori e coscienze, e diventare il motore della trasformazione.
Alle iraniane, soprattutto a quelle impegnate nella campagna “Un milione di firme” per l’eguaglianza di donne ed uomini davanti alla legge: il che significa che non vogliono la poligamia, i matrimoni di bambine, la necessità di un “custode” di sesso maschile per le donne, eccetera. Sono soggette ad una dura repressione: adesso il governo di Teheran ha cominciato ad arrestarle anche se non raccolgono firme per strada, ma semplicemente perché postano commenti e articoli in internet (www.we-change.org e www.rsf.org). Il gruppo Giornalisti senza frontiere sta chiedendo insistentemente il rilascio di una di questa donne, la reporter Maryam Hosseinkhah della rivista online Zanestan. Maryam è sparita dietro le mura della prigione di Evin il 18 novembre scorso. Possa la speranza non abbandonare mai queste donne coraggiose.
Alle donne dell’Uganda, e in special modo alle loro mediche che hanno inventato “lettere d’amore” da consegnare ai padri, di modo che si interessino alla cura delle donne incinte e dei piccoli. Quando la donna torna a casa dalla sua prima visita in ospedale, consegna la missiva al partner: «Gentile signore, lo scopo di questo scritto è di invitarla a discutere delle questioni relative alla gravidanza. Per favore, venga insieme alla sua compagna: non potrà che trarne beneficio, poiché la suddetta aspetta il vostro bambino...» E volete saperlo? Sta funzionando.
Alle italiane, native e migranti. A quelle nei movimenti, per la grande energia e saggezza e perseveranza che donano, qualunque sia la causa che decidono di affrontare. A quelle invisibili ai più, ai loro gesti quotidiani di resistenza e di amore. A quelle della democrazia paritaria e a quelle del contrasto alla violenza. Alle giovani e alle anziane. Siete meravigliose.
E infine auguri agli uomini, in tutto il mondo, che con queste donne camminano a braccetto. Sguardo nello sguardo, mano nella mano. Siete voi, proprio voi, gli “uomini di buona volontà” che assieme alle donne costruiranno la pace in terra.
Maria G. Di Rienzo
Illustrazione (immagine inviata da Paola Pianzola)
Caravaggio, Natività con San Lorenzo e San Francesco (1609)
Rubato nel 1969 nell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo, il dipinto non è stato mai ritrovato. Il furto è nella lista dell'FBI dei 10 crimini più gravi nei confronti dell'arte.