Per capire la portata negativa della class action approvata al Senato e degli emendamenti del Governo che, alla Camera, saranno approvati con la fiducia, abbiamo considerato due fatti di cronaca recentissimi, entrambi in Usa: uno ci riguarda anche direttamente (Seagate) perché vede i consumatori italiani, rispetto a quelli Usa, discriminati per un rimborso da un danno ricevuto per un prodotto presene in entrambi i mercati; l'altro (Wal Mart) è un esempio delle discriminazioni della class action italiana che consente l'azione giudiziaria solo ai soggetti consumatori e non chiunque abbia ricevuto un danno da un medesimo illecito praticato su più soggetti.
Ecco i casi specifici.
* Seagate. Secondo la rivista online PcWorld.com, il costruttore di hardware Seagate ha offerto un risarcimento a tutti gli acquirenti dei suoi dischi rigidi prodotti fra il 2001 ed il 2005. Il risarcimento è frutto di una class action in cui si accusa il costruttore di aver volutamente disinformato il pubblico sulle caratteristiche della 'capienza dell'hard-disk'. Seagate aveva adoperato una definizione decimale del termine gigabyte (ovvero, 1 miliardo di bytes), mentre i computer utilizzano una definizione binaria (ovvero 1.073.741.824 bytes). Il consumatore comprava un hard-disk da 10 giga ma, istallato sul computer, si ritrovava con poco più di 9 giga. I consumatori Usa, per il rimborso possono andare sul sito della Seagate e compilare la richiesta, presentando la ricevuta d'acquisto.
I consumatori italiani invece dovranno tenersi gli hard disk senza risarcimento, in quanto in Italia oggi non esiste la class action. E anche ove fosse approvato il testo di legge sostenuto dal Governo, prima di ottenere un rimborso il consumatore dovrebbe attendere i tre gradi di giudizio della class action e poi, molto probabilmente, fare causa individualmente con un proprio legale. Cosa che difficilmente farebbe per poche decine di euro.
* Wal Mart. Il gigante della distribuzione al dettaglio, Wal Mart, dovrà affrontare una class action per discriminazione sul lavoro da parte di più di due milioni di impiegate. Una Corte d'appello Usa ha infatti rigettato la richiesta di Wal Mart di non consentire lo status di class action ad una causa originariamente presentata da sei donne nel 2001 perché pagate meno rispetto ai colleghi maschi. Wal Mart aveva chiesto di affrontare ogni causa individualmente. Se la corte darà ragione alle impiegate, Wal Mart dovrà risarcire automaticamente ciascuna delle due milioni di donne.
In Italia, qualora fosse accolto il testo di legge sostenuto dal Governo, tale class action non sarebbe possibile perché solo i consumatori, e non chiunque abbia ricevuto un danno da un medesimo illecito praticato su più soggetti -in questo caso, i lavoratori dipendenti- può ricorrervi. E anche se una simile class action fosse ammessa e vinta dopo tre gradi di giudizio, le donne italiane oggetto di discriminazione sul lavoro dovrebbero successivamente ricorrere individualmente in conciliazione e poi, quasi sicuramente, in una causa civile, ciascuna con proprio avvocato, per poter ottenere un eventuale risarcimento.
ADUC
Associazione per i diritti degli utenti e consumatori
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