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Carlotta Zanobini: Guardare
12 Dicembre 2007
 

E se all’improvviso, in piena notte, mi svegliassi in un bagno di sudore, con il cuore in mano, corressi scalza giù per le scale davanti allo specchio e, specchiandomi, vedessi che non ci sei? Come al solito, sei uno stupido mostro invadente e ribelle che mi raggiungi solo in sogno, solo di notte e, giusto perché ti permetto di farlo! Ricordatelo!!! Che è un incubo e che è tutto passato lo so già, ma non riesco a frenare il bisogno, una volta sveglia, di guardarmi allo specchio!

Almeno da piccola c’era la mamma a rassicurarmi ogni volta che facevo un brutto sogno, a volte facevo anche finta di averlo fatto, così lei veniva nel mio letto e si addormentava con me. Ora non c’è nessuno che mi tranquillizza, è per questo che corro allo specchio, così siamo in due!

Perché il bisogno di vedere la mia immagine riflessa nello specchio? Appena mi rifletto provo un immediato, confortante e sconfinato senso di pace.

La mia giornata è stracolma di impegni, escluso il lavoro, ho mille altri appuntamenti programmati e quelli improvvisati aumentano tutti i giorni. Al mattino mi alzo molto presto, e con la mia city bike scorrazzo per le vie del centro. Bellissimo, la città ancora dorme e la maggior parte dei suoi abitanti si trova nella quarta fase del sonno. Pedalando sfoglio le pagine di un libro fatto solo di figure dove ogni giorno è un capitolo, ricco e vario di personaggi e di storie. Incontro ragazzi giovanissimi, con le camicie ormai sgualcite e fuori dai pantaloni, che rientrano dopo una lunga notte in discoteca, hanno ancora il gel sui capelli. Spesso, incontro la signora Capecchi, va da suo marito, al porto, per aiutarlo a pulire il pesce che venderanno insieme al mercato. Tiene i bigodini in testa fermati con la retina, lo smalto rosso e sgraffiato sulle unghie sbertucciate, le ciabatte di corda e un grembiule, che da quando la conosco, è sempre lo stesso. Lei vuole fare la signora… vorrebbe. I signori Capecchi sono due soggetti impossibili da riassumere, dovrei scrivere su di loro un’epopea.

Quasi tutte le mattine trovo Renato, l’ortolano di via Fratti, che scarica le casse della frutta dalla sua ape verde e rugginosa (ancora con la targa a 6 numeri preceduta dalla sigla della provincia “LU”), mentre si appresta a fare la vetrina del suo negozio. Borbotta che le stagioni non sono più quelle d’una volta e, per questo, neanche la frutta e la verdura non sono le stesse! Lui non mi saluta mai, neanche quando inizio a chiamarlo trenta metri prima, mi guarda mentre mi avvicino, mentre gli passo davanti, lo sorpasso… e gli spruzzo l’acqua della mia borraccia sopra la frutta!... Solo allora mi riconosce!

Percorro poi un lungo viale, dentro la pineta, e lì trovo raramente qualcuno. Attraverso il parco giochi dei bambini, la sera è un esplosione di suoni, luci, gente e colori ed al mattino le giostre sono coperte da enormi teloni grigi e puzzolenti di salsedine. Anche il bruco è fermo, solo e mogio. In questo punto aumento sempre la mia andatura, il silenzio, il vuoto, l’aria troppo fredda… mi rattristano.

Finisce la pineta, sbuco in piazza Mazzini e la storia continua. Ritrovo la signora Maria Pia, che va al forno a prendere la schiacciata per i suoi nipotini. È ancora calda e fumante, quando le passo vicino, anch’io ne sento il profumo.

Più mi allontano da casa, meno facilmente incontro persone che conosco per cui non so i loro nomi, guardo le facce e provo a darglielo io, così per come le vedo! Per esempio, c’è una signora sulla settantina, porta il cagnolino a passeggio, è alta, e sempre ben vestita, ha il naso ancora all’insù i capelli bianchi, e raccolti in una cipolla con altre cento forcine per evitare che anche solo un capello esca fuori dall’acconciatura. Dai lineamenti non mi sembra italiana, forse danese o tedesca. Porta alla mano sinistra un guanto da sci, in tutte le stagioni, anche adesso che siamo in agosto! Per me lei si chiama Matilde, perché la fonetica di questo nome mi fa venire in mente la dea greca Metis. Ecco perché sono certa che anche se le domandassi cosa ha fatto alla mano… non mi direbbe la verità…

Vicino al parcheggio degli autobus c’è una casa, una casetta con mezzo terrazzo, a giudicarla da fuori… dentro ci saranno due stanze. Questo signore appoggia al muro una vecchia seggiola di legno e paglia con la seduta rivolta verso il suo muro e lo schienale verso la strada. Lui sta a cavalcioni sulla sedia, una gamba di qui ed una di là, le braccia conserte appoggiate sulla spalliera, la schiena ricurva e una pipa vuota in bocca, le maniche della camicia arricciolate e uno sguardo terrificante. Per me lui è il Barbablù della Versilia e si chiama Norberto. Invecchiando la barba ha perso forza e volume, ma soprattutto il suo colore, così diventata ormai bianca e mostruosamente comune, gli ha fatto perdere tutto il suo prestigio, le sue ricchezze, e il suo castello. Non ha mai trovato la donna giusta, ed ecco spiegata tutta l’ira che leggo nei suoi occhi.

Il bello è che mi diverto un sacco, entro ed esco dal mondo chimerico delle favole come e quando voglio!! Non mi chiamo Alice e non sono nel paese delle meraviglie, ma qualcosa in comune io e lei ce l’abbiamo. E poi mi escono dal profondo dell’animo delle grasse risate che si contagiano l’una con l’altra regalandomi una stupenda e frizzante allegria.

Ormai sono quasi arrivata al molo, il sole si sta alzando, ma non riscalda ancora, i suoni che distinguo meglio, a parte il rumore delle onde che si frangono sugli scogli, sono quelle dei gabbiani e delle barche dei pescatori ritardatari che rientrano in porto. Non vi dico neanche quante storie mi vengono in mente, le colgo a mazzi: i pescatori tutti in fila, tutti uguali e tutti diversi ognuno con le sue teorie e le sue esche. I nomi delle barche: perché i loro proprietari le avranno chiamate così? E l’etimologia del nome stesso, forse gli ha suggerito qualcosa… ma cosa??!! Il profumo del mare, storie di pescatori e sirene, lo scricchiolio del legno delle barche a vela con quelle botole che vanno sottocoperta chissà quali segreti custodiscono. I colori delle vele, gli oblò che vìolano l’intimità delle navi… Sono beatamente caduta in un pozzo senza fondo… di immagini!

Piacevolmente assuefatta da tutti questi stimoli inizio il mio rientro, felice per le emozioni provate e per l’inizio di un’altra meravigliosa giornata! Il ritorno è generalmente più veloce dell’andata, mi spiccio perché devo essere in ufficio tra poco e non voglio fare tardi.

Mi occupo di cartelloni pubblicitari, sono la disegnatrice di un famoso studio di progettazione. Adoro il mio lavoro. Riporto su cartelloni di varia misura ciò che i clienti mi commissionano, oppure, come la maggioranza della clientela, loro mi spiegano a parole la loro pubblicità ideale ed io elaboro il loro pensiero e lo realizzo sul cartone. Ho un buon rapporto con il mio datore di lavoro e ottimo con i colleghi maschi e femmine, sono disponibili e corretti, così le sei ore della mia giornata lavorativa volano. Non mi è concesso lavorare di più… troppo spreco di energie… dicono.

Per fortuna l’ufficio è vicino a casa e posso andarci anche a piedi, per me qualsiasi mezzo di trasporto, esclusa la macchina, va bene… anche venisse Alì Ba Bà con il suo tappeto volante!

A casa mi aspetta il mio maestro di chitarra, Lorenzo. È eccezionale, bravissimo ma soprattutto paziente! Gli prometto da una lezione all’altra, da una settimana all’altra che studierò la parte di solfeggio e poi… gli faccio qualche complimento e neutralizzo ogni sua intenzione di rimprovero nei miei confronti. Detto tra noi… più che motivata. È veramente unico, ecco qui non posso aiutarvi a comprenderlo senza cadere nel retorico. Dovreste solo ascoltarlo e se la scenografia non fosse il giardino di casa mia, ma un palco con luci e riflettori e migliaia di persone ai suoi piedi… il tutto prenderebbe un’altra piega. Invece eccolo qui, con me, tre volte a settimana… per 30,00 euro l’ora.

Finita la lezione vado in piscina, devo nuotare almeno un’ora al giorno o… addio muscoli…Tanto ho impiegato per averli tonici che ora non posso mollare! Non mi resta di peso anzi, lo faccio volentieri. L’acqua è come lo specchio. Mi tranquillizza. Riporta tutto all’origine. Come lo specchio ridimensiona l’incubo, l’acqua neutralizza il mio handicap.

Anche Lorenzo, non ha sfondato nel campo della musica perché è senza una gamba. È per questo che vi ho detto che dovreste solo ascoltarlo, non guardarlo. Il pregiudizio sarebbe troppo forte e finireste per l’apprezzare la sua musica non in quanto tale, ma nel contesto in genere della sua situazione. La perdita della gamba per lui è stata un dramma inimmaginabile, giovane promessa della musica italiana… su una sedia a rotelle... no! Questa proprio non suona! Tutta quella fatica e l’impegno per arrivare lì e, con il tempo di un arpeggio, il destino gli ha portato via tutto!

Per me è diverso. Non ci sono arti mancanti o deformati nel mio corpo, ma un piccolo fascio di neuroni vagabondi che dal il mio campo visivo non arrivano al lobo cerebrale corrispondente. Volendo fare dell’ironia spicciola, direi che a prima vista non si nota quasi niente. Ho una cecità parziale, da sempre. Pare però che la situazione stia peggiorando. Abito da sola in una città lontana da quella dei miei genitori, però una cosa mia mamma me l’ha insegnata bene: non tutto quello che apparentemente vediamo è realmente così, anzi, la vera natura delle cose, e soprattutto l’animo delle persone, lo vediamo meglio ad occhi chiusi. E siccome lei è una donna davvero speciale, mi ha insegnato che nella vita ci sono e ci saranno sempre le cose belle e quelle brutte, ci sarà una parte di bene ed una di male in tutto e in ognuno di noi, ma ciò che fa la differenza è la capacità di divertirsi sempre e comunque. Nel mio caso il brutto è stato il capriccio dei miei neuroni, il bello è che ho saputo accettarlo, anche se dovessero peggiorare… il divertimento è… che se vedo tutto questo con un solo occhio… chissà cosa avrei visto avendone due.

 

Carlotta Zanobini, luglio 2007


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