La decisione del direttore della tv La7 di bloccare produzione ed emissione della trasmissione “Decameron” del comico Daniele Luttazzi, è enigmatica. Questa nostra osservazione nasce da una considerazione: nessuno si dà da solo un martello in testa. Nel nostro caso il nessuno sarebbe La7, emittente privata di proprietà Telecom che, senza magistrati che glielo imponevano, dopo le note vicende di Luttazzi con la televisione di Stato, aveva deciso di adire un contratto e, in un certo senso, erigersi come paladina della libertà di espressione. E il contratto lo aveva fatto con Daniele Luttazzi non con un prelato di ordine vaticano o un artista che applica costantemente nei suoi spettacoli i dettami linguistici dell'Accademia della Crusca e le espressioni di un politico moderato di scuola oxfordiana.
Sia che il motivo della rottura del rapporto siano le offese al giornalista Giuliano Ferrara (uomo di punta dell'informazione giornalistica de La7), sia che fossero le offese al Vaticano, stupisce la decisione della chiusura del rapporto e della –innegabile– censura. La7 non è la Rai, per cui il problema non è una questione pubblica, ma la definizione di un rapporto fra due parti contrattuali private, ma proprio in virtù del “martello in testa” di cui sopra sembra che tutto quello che sta accadendo, coi relativi e scontati risvolti mediatici, sia frutto di una trovata pubblicitaria. Con vantaggi, per Luttazzi, relativamente all'essere un personaggio scomodo che anche quella che viene considerata l'emittente più libera italiana gli chiude le porte; per La7 relativamente a conquistarsi un posto più solido nel bacchettonismo mediatico imperante e per meglio rassicurare i vari inserzionisti pubblicitari che cercano questo tipo di pubblico.
Ovviamente non sapremo mai il lato vero della questione, ma il dubbio di essere strumentalizzati come utenti, ci assale: nel mondo dell'informazione a 360 gradi, c'è poco da fidarsi della bontà e dei nessi logici della azioni e reazioni.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc