Nel 1988, l’anno in cui lasciai l’Iran, migliaia di prigionieri politici venivano torturati e uccisi nella notoria prigione di Evin. I prigionieri venivano torturati da funzionari del Ministero dell’intelligence, per ottenere da loro confessioni e pentimento. Nessuno osava protestare perché il paese era ancora in guerra con l’Iraq, ed ogni dissenso poteva essere interpretato come collaborazione con il nemico.
Quelli furono giorni bui. La pratica della fustigazione gradualmente divenne un rituale pubblico per punire i criminali, definiti tali dalla legge islamica. Il paese non è più in guerra e i movimenti sociali di base sono nonviolenti. Sebbene gli attivisti per i diritti umani siano sotto pressione, e i sindacalisti in galera, nessuno di essi ha ricevuto condanne alla fustigazione.
Ciò è rimasto vero sino a che di recente Delaram Ali (foto), attivista per i diritti delle donne, ha ricevuto una consistente condanna: due anni e mezzo di prigione e dieci frustate. Delaram Ali fu arrestata con altre attiviste durante una manifestazione contro le leggi discriminatorie verso le donne, nel giugno 2006. È stata pesantemente picchiata dalla polizia, e la sua mano è stata spezzata. Con l’aiuto della Premio Nobel Shirin Ebadi, la giovane denunciò i maltrattamenti al capo stesso della polizia di Teheran. Non solo la sua denuncia non è stata accettata, ma la ragazza è stata più tardi accusata di aver “posto minacce alla sicurezza nazionale”.
Le minacce alla sicurezza nazionale sono diventate abbondanti durante il governo del sig. Ahmadinejad. Queste cosiddette minacce vengono da fonti inusuali, che includono le attiviste per i diritti delle donne, ma non si limitano ad esse. La legge iraniana proibisce alla donne di diventare presidenti o giudici. La legge stabilisce anche che le donne devono avere il permesso dei loro mariti per uscire dal paese. La testimonianza di una donna è considerata valida a metà rispetto a quella di un uomo, e le donne non possono ottenere un divorzio di propria volontà.
La diseguaglianza di genere incorporata nella Costituzione e nelle istituzioni legali in Iran ha condotto le attiviste a creare la “Campagna per Un Milione di Firme”. Il suo sito web è stato chiuso sei volte. Durante la Campagna, che ha raggiunto il suo primo anniversario, le attiviste girano il paese (16 province lo scorso anno) per raccogliere firme a sostegno del cambiamento delle leggi discriminatorie. Trovandosi di fronte a dimostrazioni pacifiche per l’eguaglianza, e ad una campagna che chiede un cambiamento legale tramite mezzi legali, le autorità iraniane hanno risposto con l’ostilità più cruda. Le attiviste vengono arrestate mentre raccolgono le firme. Ronak Safarzadeh e Hana Abdi, attive per la Campagna nella provincia del Kordestan, sono state arrestate e sono ancora in stato di detenzione a Sanandaj, senza accuse e senza processo, nelle mani degli agenti del controspionaggio. Il 18 novembre 2007 è stata arrestata Maryam Hosseinkhah, e il primo dicembre Jelve Javaheri, attiviste a Teheran.
I cambiamenti che la “Campagna per Un Milione di Firme” chiede non hanno a che fare con persone armate o militanza. Non ci sono organizzazioni clandestine, milizie, cellule nascoste, per cui sarebbero necessarie delle ammissioni di responsabilità. In effetti, queste attiviste sono per lo più ventenni, insistono sull’essere trasparenti, rendono conto all’opinione pubblica di ciò che fanno, e si dichiarano assai preoccupate di un’ingiustificata aggressione militare all’Iran. Esse sanno anche nel mentre si alza il fervore patriottico, diventa più facile per il regime reprimere qualsiasi dissenso.
Le madri di queste giovani attiviste imprigionate o condannate, e altre angosciate dalla prospettiva della guerra, si sono unite per formare le Madri della Pace. Ricordando i giorni sanguinosi della rivoluzione e la repressione che è seguita alla guerra con l’Iraq, queste madri obiettano alle punizioni inflitte alle loro figlie e ai loro figli per le loro attività sociali. Il sistema sta applicando le pene precedentemente previste per l’opposizione organizzata e militante a gruppi nonviolenti.
Le autorità iraniane dovrebbero capire che il ritorno ai vecchi metodi di repressione condurrà a maggiori sanzioni e a condanne internazionali per la violazione dei diritti umani in Iran. Ciò che le autorità politiche iraniane hanno di fronte è un crescente movimento popolare. Un movimento nonviolento in grado di andare oltre gli ostacoli e che non credo soccomberà.
Elham Gheytanchi
(per The Huffington Post, 06/12/2007, trad. Maria G. Di Rienzo)