Teheran, Iran. Più di 500 donne che si sono date il nome di “madri della pace” hanno firmato una lettera indirizzata alle autorità in cui esprimono la loro paura che ci sarà una guerra concernente il programma nucleare dell'Iran. La lettera fa riferimento alle sanzioni economiche già imposte dal Consiglio di sicurezza delle NU ed alla crescente presenza militare Usa nel Golfo Persico, come evidenza che potrebbe esservi un confronto militare fra Iran e Stati Uniti. La lettera avvisa le autorità iraniane che le firmatarie non sono disposte a sostenere il governo nella sua insistenza sul nucleare. «Noi, madri della pace, vogliamo esprimere la nostra profonda preoccupazione per la situazione critica in cui il paese si trova», dice la lettera firmata da 521 donne, che si può trovare su www.motherspeace.blogfa.com ed altri siti web. «Siamo preoccupate dal prezzo che noi ed i nostri figli pagheremo durante questo periodo di grande insicurezza».
È molto inusuale per gruppi di cittadini iraniani mettere pubblicamente in questione la politica nucleare del paese, e riconoscere gli effetti sulle delle sanzioni economiche imposte dalle NU sulle esistenze delle persone. Il gruppo ha annunciato la propria nascita in novembre, come movimento per la pace e la libertà.
Il president Mahmoud Ahmadinejad ha ripetutamente minimizzato le sanzioni come irrilevanti, e dichiarato che il popolo iraniano ha la volontà di resistere a qualsiasi tipo di pressione internazionale rispetto al programma nucleare. Ha anche dato dei “traditori” ai parlamentari che lo avevano criticato. Il governo sostiene che il programma ha scopi pacifici diretti all'energia, mentre gli Usa dicono che lo scopo del programma è costruire armi nucleari.
Fra le firmatarie della lettera vi sono attiviste politiche, professioniste e artiste. Secondo il loro sito web, altre 300 donne si sono aggiunte dopo l'uscita della lettera, e molte di più stanno ponendo la loro firma al testo online.
«Non abbiamo dimenticato gli amari giorni della guerra», dice la lettera, riferendosi al conflitto con l'Iraq durato dal 1980 al 1988. «Stiamo ancora piangendo la perdita dei nostri cari, e testimoniando la sofferenza dei disabili, e guardando i nomi dei nostri martiri sulle strade».
Nazila Fathi
(per The New York Times, 3 dicembre 2007 - traduzione M.G. Di Rienzo)