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Silvio Aman: L’amore secondo Paola Loreto in “Addio al decoro” e il suo sito
Paola Loreto
Paola Loreto 
27 Novembre 2007
 


Ciao sono Silvio, ...sto digitando le poesie da Hesperos, dei poeti svizzeri, per farne una raccolta antologica su TELLUSfolio: è un lavoro lungo e devo occuparmi anche della sintesi critica. Intanto, caro amico, ti invio la mia recensione a un libro della poetessa e professoressa Paola Loreto (insegna lett. americana all'Univ. Stat. di Milano) edito da Lieto Colle. Se la puoi inserire in TELLUSfolio, ne sarei contento. La Loreto organizza due siti, e uno in allestimento, che puoi visitare, tu e i lettori-navigatori di Scritture & web, con grande diletto. (Silvio Aman)

 

www.logoslibrary.eu/pls/wordtc/new_wordtheque.vocimain1.view_poema?num=131

 

www.chiaradeluca.com/Paola_Loreto.htm

 

www.paolaloreto.net

 

 

Per Paola Loreto, abbandonare il decoro non significa affatto essere indecorosi, bensì amici dell’arte, come suona l’esergo “Il pudore è nemico dell’arte”. Il tratto indecoroso – che però nel libro della Loreto appare giocosamente puro – in quanto amico dell’arte e della poesia, ha una lunga tradizione: basti pensare a Catullo, all’Ovidio degli Amores e a Anne Sexton, se vogliamo d’un balzo giungere quasi ai nostri giorni. Tuttavia, proprio in un’epoca come la nostra, in cui le ragazze leggono i loro carmi erotici accompagnandoli con professionali e un po’ turpi conferenze attorno al sesso, più che attorno all’eros, i “Versi d’amore” della Loreto ci appaiono come gentili rose. Già dalla poesia inaugurale “Rosso acero”, è subito evidente come nella vena erotica, nata dall’ironico desiderio di abbandonare il decoro, scorra il flusso dell’amore non scisso, intrecciato al sentimento. Intreccio cui potremmo scherzando far presiedere il “faretrato augel”, il divino pargolo intento a giocare con le arti della seduzione contro il fratello Imeneo, serio portatore della legge sociale inerente al matrimonio, perché qui l’amante, o il compagno, è il tempo-luce che nella carne porta il senso: «[…] Sei / dentro di me e sei tu / il tempo, la luce / che chiudo negli occhi, / il senso che sento / passare la carne».

Paola Loreto, in questo libro, non vuole liberare solo momenti di erotismo, se essi cedono quasi subito il passo al desiderio di esprimere con delicata intensità i più intimi affetti, come notiamo nella poesia “Il bene che resta”, e cioè l’affetto per un uomo che pur cancellato vive intensamente nel cuore: «Il bene è rimasto. Nonostante tutte / le cose che non andavano e quelle / che abbiamo perso. Nonostante non fossi / tu quello che volevo, e t’ho cancellato. / Amato, anche, tanto. Mi manchi»; ma anche l’affetto esteso alle cose sgradevoli: «[…] Ci si affeziona anche alle cose / sgradevoli e sgraziate se sono / foriere del senso che cerchiamo». Nella loro chiarezza, questi moti erotici non vanno comunque oltre “Marina di Avola”, l’onda rubizza di un Eros paganeggiante e molto tenero e suggestivo: «Ti ricordi? Un giorno / ci levammo anche il costume / per la carezza dell’onda. / L’ilarità ci prese / al nuovo gioco, / mai incontrato. / Durò poco, ma mi basta / la possibilità di allora, / la fame che avevamo / della pelle, liscia».

Con un passaggio altrimenti brusco, se non fosse preparato da una sorta di ‘ponte modulante’, la poetessa abbandona il parlar di sé per rivolgere il suo discorso alla poesia stessa, al suo agire sovrano, miracoloso e immemore: «[…] Dovrei / viaggiare col Moleskine in tasca, / come faceva Pound, ma qualche cosa / dentro di me non vuole. / Allora ripeto all’infinito, / quello che sento, nel bosco, sennò / si scioglie come gli amenti del noce / nella pioggia prima che arrivo a casa» (“La buona novella”). A tal riguardo, “Poesia del nulla” è davvero il cor cordium da cui si irradia il flusso che nell’ascolto illumina e nutre l’intera raccolta, dove incontriamo titoli come “I miracolati”, “La miracolata”, “Oracolo”, “La maga”, “Il toccasana”. Abbandona, dicevo, il parlar di sé, ma non quel parlare a sé rivolgendosi agli altri… e alla fiaba, se queste poesie sono poi anche fiabe, nella complessa realtà che le distingue: sguardo che giunge dalle cose, ma ormai lungi da ogni ‘lombarda poetica delle cose’, e invece simbolizzato, preso insomma liricamente nella relazione con altri soggetti. L’école du regard è infatti sostituita dal guardare che incanta e fa dimenticare all’Autrice di scendere dal pullman (“Pendolando”), perché quando si guarda si è anche guardati, attivi e passivi, e si sa che il poeta non teme di abbandonarsi – produttivamente – agli sguardi della vita. Ma qual è il segreto chiesto alla fata, dalle cui «mani turchine» si può «prendere una fiaba, la vita / o una patata dolce»? È quello – serio e maturo – di «diventare / anziana e magari, nel frattempo, più / grande, come una madre, per esempio, / che pensa a un figlio e non si stanca»; ma anche, con qualche suggestione del fiabesco Chagall, di «essere una capra azzurra / o una lumaca, che sa andare / forte e piano». (“Con mani capaci”).

O narri o dici”, suona il titolo di una poesia, e si sente bene come questo dire avvenga senza sforzo, per una poetessa dall’istinto così sicuro e disposta a far suonare con forza e delicatezza insieme lo strumento che si è costruita. Si tratta, però, di un dire narrante (frequente l’enjambement), sebbene il verso si innalzi fino al canto, come nei primi di “Epocale”, dove l’orecchio trattiene la musica alcyonia della famosa “Pioggia nel pineto” e del pucciniano «Ma quando vien la sera», dalla Bohème, a cui vien tolta l’apocope: «Quando viene la sera / non hai parole che dicano umane. / Niente che dica la cura che hai / del sentore di lavanda che sale / il sentiero nel bianco del cielo d’agosto». Occorrerebbe, inoltre, considerare il verso, qui impiegato nella sua duttilità e tendenzialmente libero, o dove il corso dei senari nasconde dei novenari concatenati di tipo dattilico-anapestico con effetti di musicalità fluttuante: «non re2stano co5se da fa8re”; “puli2re, guarda5re, resta8re»; «Non se2rve un ini5zio, di nuo8vo» (“Rosso acero”); mentre in “La vera visiva” appare un decasillabo manzoniano: «Se cerca3ssi di di6re una co9sa». Musicalità oggi davvero negretta, e che nella poesia della Loreto è sempre consustanziale al sentire, nella sua iridescenza, fino alle rime che a volte, come leccata/giornata, sigillano con grazia scherzosa il componimento.

 

 

Paola Loreto, Addio al decoro, Lietocolle, Faloppio (Co) 2006

 

(Riporto qui con lievi rettifiche la recensione apparsa nel numero 5 della rivista Il monte analogo)

 

Silvio Aman



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