Tra pochi giorni si apre ad Annapolis, in una base militare vicino alla capitale degli Stati uniti a Washington, una conferenza internazionale convocata dal Governo americano per riavviare i cosiddetti negoziati di pace in Medio Oriente tra Israele e l’Autorità Palestinese; negoziati che sono ormai fermi da molti anni, dopo che il tentativo di mediazione portato avanti alla fine degli anni novanta dall’ultimo presidente americano eletto dai democratici Bill Clinton fallì nel 2000.
Negli ultimi giorni che precedono la tenuta di questa conferenza, dove sarà presente per l’Italia il Ministro degli Esteri D’Alema, l’attenzione si è concentrata sulla partecipazione o meno a questa conferenza dei paesi arabi e in particolare di Arabia Saudita e Siria. Venerdì la Lega Araba ha preso la decisione unanime di partecipare alla Conferenza di Annapolis, ma resta da definire nei dettagli la partecipazione siriana, che vuole sia inserito nell’agenda dell’incontro, quale condizione per sedersi al tavolo negoziale, anche la questione dell’occupazione delle alture del Golan da parte di Israele.
Altri partecipanti alla conferenza, che sommati arrivano a circa 40 paesi, includono i paesi membri del G8, i membri permanenti del consiglio di sicurezza, il Brasile il Sudafrica, il Senegal, la commissione europea, cui si aggiungono anche Toni Blair come Inviato Speciale per il Medio Oriente e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune dell’Unione Europea Xavier Solana.
Ciò che colpisce alla lettura di questa lista dei partecipanti è come i paesi europei siano presenti e seduti ad un tavolo negoziale ritenuto da tutti come quello più importante e centrale di tutta la politica estera europea, in ordine rigorosamente sciolto, senza che da nessuno di essi sia emersa o emerga in questi giorni la parvenza di una posizione politica che sappia offrire qualcosa di nuovo, rispetto a quello che non si è riusciti a fare in tutti questi anni. E l’Europa si presenta a questo negoziato anche con rappresentanti politici che evidentemente sembrano più avere interesse a tutelare il proprio spazio di visibilità, garantendosi una sedia dove sedersi attorno al tavolo - con le conseguenti rivalità e sovrapposizioni di ruoli - che a garantire quel consenso comunitario cui solito ricorrono per bloccare l’avanzata di nuove iniziative.
La proposta dunque dell’adesione di Israele all’Unione Europea e più in generale per l’avvio di un processo politico federativo tra l’Ue e i paesi del medio oriente e del mediterraneo, continuano ad essere assolutamente ignorati dalla politica ufficiale europea. Con l’avvio della discussione per il lancio del Satyagraha mondiale per la pace al Parlamento Europeo dal 6 all’8 dicembre, il Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito, saprà forse mostrare un’altra via possibile per la pace, cercando di superare le illusioni nazionalistiche che ancora affliggono Israele, la Palestina, il medio oriente, ma purtroppo anche la rinascente Europa delle patrie.
Matteo Mecacci
(da Notizie radicali, 26 novembre 2007)