Caro Accio, 'interrarsi pianta per rinascere seme' mi pare un buonissimo programma. Lo considero mio, cioè del me che cerca l'armonia col Me di tutti nella prospettiva del ME delle origini.
Il circolo del seme, esse ME, essere del ME, è todo ME in spagnolo, 'tutto il ME', método. Sono convinto che avevi questo programma in testa quando hai deciso di cogliere questo eteronimo di passaggio o forse associarlo addirittura al tuo ‘Essere cultura’?!
Allora ho deciso di regalare a te, e ai poeti che vogliono collaborare a TELLUS e TELLUSfolio o semplicemente conoscerne le radici in TERRA, TELLUS, questa mia indagine linguistica sul ME.
Credo che l’innovazione culturale nasca dall’osservazione della sintesi consolidata che immergiamo in terra, cioè nell’analisi faticosa che la macera, per riaverne il seme, una novità culturale universitante.
Consiglio ai poeti che si sono avvicinati a TELLUSfolio di smettere la casacca accademica del letterato, di non ripescare solo un pezzetto di sé, magari quello ‘alla moda’, ma di “darsi” generosamente con scritture, corrispondenze, interventi; essi non sono Montale, se ne rendono conto?, e se anche fossero Montale conterebbero nell’epoca telematica come il due di picche a Briscola! Se poi non sono interessati… che se ne vadano altrove nel loro nido dove si danno sempre leccate e si fanno riverenze in attesa di vincere un premio, di ricevere un prefazione extra-lusso di qualche critico trombone, e di essere pubblicati nell’Almanacco dello Specchio Mondadori. Una tomba proprio cesellata dove il ME è un osso tarmito, putrido e rancido. Un relitto sterile senza me-rito.
Segnalo -sono davvero sordi nel capire- che TELLUS, annuario, il “brigantino corsaro” come lo chiami tu nella lettera a questo Cerrai, sta stretto a rischio d’affondamento e di impiccagione per i marinai, tra la residua l’Accademia (spesso sostenuta da enti, assessorati alla cultura?, biblioteche, università) composta da riviste e rivistine e blog e blogghettini che snobbano e il mercato delle corazzate editoriali!, che tranciano gli altri scafi!
Fanno fatica anche a “scucire”, si dice così a Pisa?, dieci Euro per abbonarsi e conoscere la linea editoriale che proponi di fare insieme (siamo collettivisti in TELLUSfolio?, eccessivamente comunitari? contano troppo chi scrive di Alimentazione e di politica? Di Linguistica come me? O su Paola Senatore? Sono linguaggi non all’altezza dell’io poetico assoluto?).
Per fortuna tu hai letto Corbière e li hai gabbati scomparendo e riemergendo, seguendo la freccia telematica del tuo destino, e nostro: di ribelli.
E si va avanti. Meglio soli che male accompagnati, e questo mi sembra un proverbio del tuo conterraneo, il Giusti, ma anche il destino del seme che non vuol restare nel marciume per germogliare lieto.
Tuo Carlo
CARLO FORIN: STORIA DEL ME
Parto dall’idea più distante per falsificarla: l’idea ME è collocata nella visione del mondo indoeuropea raccontata da Giorgio Castellino nell’aprile 1976 [nella sua Introduzione alla raccolta di Testi numerici e accadici edita da Utet].
1- La concezione sumera del ME
Parlando dei Sumeri, Castellino ha scritto:
Al di là dell’aspetto antropomorfico, di altri tratti, linee, colori, chiaroscuri è ricca la tavolozza per la raffigurazione della divinità. Anzitutto la facoltà di astrazione, documentata già dalla lingua, che dispone di morfemi particolari per esprimerla [: 19].
Qua, avrebbe potuto riferire che i Sumeri esprimevano la lingua con EME GIR [noi mettiamo in maiuscolo le espressioni sumere per non confondere il ME con il me]: va (IR) la Luce (G) del ME. Avrebbe subito posto in evidenza che il ME, la parola divina che vedremo subito dopo, viene proposto come EME, cioè con un giro verbale abituale di ciò che originariamente scrivevano ME [ergo emerge: la scrittura ME è diversa dalla fonìa EME ma è uguale nel significato], e che l’altra sillaba GIR può collegarsi con DIN GIR, il concetto di ‘dio, dea’ come riferisce subito dopo [analisi: DI IN G IR, ‘Dio entra Luce va’].
Vicino al concetto DIN GIR ‘dio, dea’ c’è NAM DIN GIR ‘divinità’ o ‘il divino’ [come categoria dell’essere –valida per tutte le divinità nds-] [: 19].
…
Inoltre, la facoltà di astrazione si mostra in modo molto significativo nella concezione del ME, che si può dire centrale nel mondo ideale sumerico. Concetto pregnante e di impossibile traduzione nelle nostre lingue che non presentano nessun termine egualmente comprensivo della ricchezza semantica della parola numerica, il ME designa la realtà, o piuttosto le realtà celesti che sono il modello a cui si conformano e debbono conformarsi le realtà terrene per essere ‘vere’ nella loro natura ed essenza, per permettere il funzionamento regolare, voluto dagli dèi [: 19].
Il ME era il potere dei primi sette Dèi i quali creano con l’emissione della parola ME –il noME che fa essere ogni altro nome-.
Proviamo a negare l’impossibile traduzione nelle nostre lingue di Castellino (e di tutti i sumerologhi): il ME è il me di Dio (degli Dèi sumeri) che, come racconta la kabbala ebraica, è il mondo terreno nato da una riflessione di Dio. Il nome di Dio, sem ha-meforas [re.: 23 Gershom SCHOLEM Il nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Milano, Adelphi, 2001] radica col ME più antico: tutto viene da Tutto .
Il primo giro: Dio-ME corrisponde, umanamente, a ‘Io-me’.
L’assolutamente complesso diventa l’infinitamente semplice che nasce per suo riflesso.
È ben vero che rappresentare il me di ognuno dei viventi l’orbe terracqueo come semplice è un azzardo: siamo assolutamente uguali ed assolutamente diversi; ognuno è unico e siamo 6 miliardi e mezzo di uguali, a volte portati a negare l’identità di tutti.
Quando ci avventuriamo negli estremi del nostro pensiero rischiamo di dichiarare assolutamente diverse cose completamente uguali, come ha fatto Castellino.
Se l’ottimo Castellino, che ha raccolto con precisione ed ampiezza, tanti inni sumero-accadici si fosse spogliato della ‘degnazione antropologica di approccio al pensiero primitivo’ [sia detto con rispetto assoluto] si sarebbe accorto che i problemi stanno nella nostra capacità di pensiero più che in quella osservata sui Sumeri. Ma, come l’illustre studioso A. Leo OPPENHEIM (L’antica Mesopotamia, Newton, Roma 1980), riteneva la civiltà sumera aliena da noi ed il loro pensiero impossibile da comprendere. Possiamo dire che il punto di partenza scelto, che è poi quello dominante oggi, è ben distante dal nostro.
Perciò il meato, il passaggio, tra me e tutti è stretto [es.: meato uditivo] per una abitudine sociolinguistica di cui ci dobbiamo far carico.
Non era così il meato.
Per sviluppare il filo meato < meatus < ME A TUM (in sumero) dobbiamo lavorare nel pensiero, non in quello sumero che è fato, parlato e fisso, ma nel nostro.
Già meatus era anche un passaggio nel cielo per i Latini. Dunque: meato è diventato stretto dopo i Latini.
ME A TUM sumero significa, per me, ‘ME seme A portato via TUM’.
Come auctumnus < A UG TUM NUS, ‘seme generante portato via dall’immagine della morte’.
L’angelo necessario di Cacciari (la conoscenza) è un’apparizione, per un istante in questo mondo, chè subito se ne ritrae e sparisce: ME A TUM.
Penso che siate d’accordo: un pensiero tutt’altro che primitivo!
Il filo meato < meatus < ME A TUM non può essere una apparizione ideologica (falsa) dal momento che le parole sono documentate storicamente (in italiano ampiamente, come vedremo, in latino in qualsiasi vocabolario, in sumero in www.sumerian.org/sumerlex.htm): nega che il collegamento sia con una ‘civiltà aliena’.
Cominciamo dal lemma ‘meato’ del dizionario Battaglia per verificare che il problema da risolvere sta nella nostra mente < TE MEN. Mente non è altro che il ribaltamento di TE MEN (pietra angolare di un tempio dove il dio ‘era apparso’).
2- Meato. Meo.
La forza del ME, carmen < KAR ME ci aiuta ad attraversare il meato, il passaggio stretto che ci apre al ME: non usiamo una preghiera o una poesia (carmen) ma una riflessione linguistica capace di osservare più significati portati dal treno della forma della stessa parola [sottolineo che carme ha conservato questi due significati principali, probabilmente perché il monte Carmelo ha perpetuato, attraverso il medioevo con i frati Carmelitani, la preghiera che i latinisti hanno mantenuto come poesia].
KAR LU, ‘soggetto forza’ ha la forza di firmare.
Spero che KAR ol (< KAR UL –nota l’inversione LU-UL–) mi assista perché amo confrontarmi col pensiero che prevale in tutti, ma non amo far la figura del pirla (del mona in veneto).
Il ‘meato’ dà inizio allo scavo di -meato < meatus < ME A TUM-.
Riferiamo per esteso le undici classi di significato italiano della parola meato, dal lemma del dizionario Battaglia (Salvatore BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, IX libe-med, Torino, Utet, 1975) che terminano opportunamente con ‘dal verbo meare ‘trapassare’, fr. méat (sec. XVI) = ME AT >ME Aldilàà Aldiquà (ME TA).
Meato, sm. Apertura, passaggio, punto di transito, spazio da percorrere; varco, sbocco, condotto, spazio vuoto, vano, cavità, per lo più naturale, talvolta sede di una sorgente, di un fiume sotterraneo, ecc. –Anche: grotta, caverna, voragine.
2°: tubo, canna, conduttura, gronda. –Anche: foro, buco, fessura.
3°: Interstizio, poro, orifizio, fessura.
4°: Spazio intermolecolare di un corpo.
5°: Per estens. Via di comunicazione, di diffusione di idee; canale d’informazione.
6°: Figur. Parte più profonda, segreta, impenetrabile, spesso incomprensibile, dell’animo, delle sue facoltà, delle sue operazioni e manifestazioni.
7°: Aspetto complicato, controverso, misterioso di una questione; lato esoterico di una dottrina, di un sistema.
8°: Ciascuno dei microscopici cataletti che si trovano nei terreni per lo più di natura granulosa o sabbiosa e nelle rocce e che influiscono sul peso specifico apparente, sulla porosità, sulla capillarità e sulla permeabilità di essi.
9° Anat. Ciascuno dei condotti e degli orifizi, per lo più ristretti, che mettono in comunicazione la cavità di un organo con l’esterno o con un altro organo.
Ciò che sembra incredibile in questo elenco precisissimo è il fatto che gli estensori non sappiano di parlare con ‘meato’ di ‘passaggio del ME’. Sanno di ‘meare’, passare da un luogo all’altro, ma omettono, ad es., il migrare de vita della parte più profonda di sé.
Per inciso: non si discute del fatto di credere o non credere oggi in questa migrazione ma del fatto che questa era creduta e scritta!
Meato < meatus (meatu) < ME A TUM (In www.sumerian.org/sumerlex.htm: me-a...tum: to prepare something for the sake of one civilized functions (‘me’ + locative + ‘to be suitable; to prepare’)...
Una nostra lettura di ME A TUM è ‘ME seme portato via’.
Un’altra è MEA MUTUM, movimento MUTUM mutatum del ME seminato.
Il meato è passato dal latino all’italiano; così non è per meo, il verbo del meatum (meo, meas,meavi, meatum, meare. Si noti meas < ME ASH, che coniuga ME ed ‘Uno d’origine’: era una preghiera del me -orata; scritta ASH ME –la rosa del sole-).
Meo
Se la memoria fosse solo ‘luogo di vita del ME’ non ci sarebbe alcun problema a collegare il sumero ME, ‘il nome divino che dà nome a tutti i nomi e crea’, col ‘me’, il pronome oggettivo che identifica ognuno di noi, in italiano, latino, inglese (pr. mi), dal momento che sono uguali nella forma.
In francese abbiamo sia me –il me l’ecrit– sia moi, pr. mua –per me stesso [MU A]–.
Invece: memoria < ME MUR IA è ‘luogo (IA) di vita-morte (MUR) del MÈ. E questa ci sembra una definizione completa e non primitiva, benché formulata in modo ‘magico’ [per noi: vita unita alla morte].
Oggi, la nostra memoria collettiva vive una condizione di morte del ME: la via percorsa nella protostoria deve averci fatto perdere il significato di nome divino (ME: ME Pollux) mentre ha conservato il significato umano (meCastor –Polluce era il gemello divino nei Gemelli e Castore l’umano-). Deve essere accaduto, per i Romani ed i Greci, in quella fase antecedente al 500 a.C. durante la quale gli Dèi venivano umanizzati dalla cultura greca.
Non per l’etrusco Virgilio: si identificava in Melibeo, ‘vado assaggiando il ME’, e che parlava con Moecenas, ‘pranzo col ME’.
Per risalire dal me al ME sembra necessario a noialtri comprovare con altre sillabe.
Per questo proviamo con ‘meo’.
Mèo, per lo Zingarelli ’98, da Bartolomeo Colleoni (ant. Coglione). ‘Fare il meo’ sarebbe ‘fare il minchione’.
Sono d’accordo, in quanto concorda col veneto ‘far al mona’ ed ognuno può fare ciò che crede, salvo poi subire il giudizio di tutti per quel che fa.
È una forma di comportamento estrema, però: se un ride da mona nesun de lu pi mona. Se uno ride da ‘mona’ nessuno è più ‘mona’ di lui.
Gli estremi sono pericolosi in un circolo, perché il massimo tocca il minimo: e vanno osservati entrambi, par no rider da mona!
Così il ‘mona’ è il minimo apprezzabile, ma anche il massimo: Mona < MU NA, generazione NA del MU, il nome che rende immortali.
Il latino meo poi è ‘attraverso’ ed è la matrice un po’ più lontana del ‘meo’ medievale visto dallo Zingarelli. Attraverso che cosa?
Attraverso il Cielo! in ittita antico e sumero U: ME U.
‘Attraverso’ come? Stereo, non tra gli orizzonti!
Meacula,le stelle, sono acula ‘aghetti’ del ME. Questi aghetti provano che in origine il Cielo era visto ‘stereo’ –religiosamente-, perforato da puntini che sono forellini: le stelle che lasciano passare la luce Aldilà: Cielo-cielo, cioè religioso-naturale.
Oggi, il primo astronauta russo ha fatto la dichiarazione beota di non aver trovato Dio in cielo e gli atei hanno riso: chi ride da mona…
Meo era sì vado da un posto ad un altro, e per la classicità era il significato prevalente, ma in origine era soprattutto: migro de vita, passo Aldilà.
Migro < MI G RU, ‘sacro Luce MI’, che come vedremo nel prossimo articolo, il MI è ME umanizzato.
ER ME TE, dio della comunicazione, conferma: ‘cammino del ME in connessione TE’.
La nostra ricerca del ME->me potrebbe seguire anche un’altra strada: ‘me medesimo’ è il seguito italiano di memet.
Il latino memet, ‘proprio io’, mostra questo filo ME TE me, il ME incontra me.
Poiché con l’espressione ‘ME incontra me’ mettiamo insieme parole di tre lingue diverse –sumero italiano latino- possiamo dire di aver fatto una traduzione stereo, come è meacula, una volta che il me riceva il ME.
Me par che’l va. Mi pare che vada.
3- Omeo
A mi me par che… (It.: A me pare, mi pare).
Il ME era il nome divino che crea, per i Sumeri, mentre il MI (isolato IM) era il suo riflesso scritto su di una tavoletta dall’uomo. Questo spiega i nomi delle prime mogli di Zeus nella Teogonia di Esiodo:
Meti < ME TI, vita TI del ME, e Temi < TE MI, incontro il MI.
Il ‘dialetto’ veneto conserva il mi come oggettivo di io, che l’Italiano mantiene come me mentre conserva il me nei casi indiretti che l’italiano riserva al mi.
Mimesi è parola greca che significa imitazione: MI ME SIS, MI essere riflesso del ME.
Insistiamo a far emergere il ME attraverso l’etimo < E TI MU, ‘casa della vita del nome MU’.
I poeti medievali dicevano me medemo, per me medesimo. Io ho un rispetto profondo per la sensibilità poetica. Sono portato a credere –e posso sbagliare [ma chissà quanti scritti sono andati perduti!]– in una loro straordinaria intuizione di questo tipo: ME DE MU –il ME nome creativo è collegato da Dio (Deus) a MU nome che rende immortali–.
SU MER è espressione accadica che leggiamo SU ME ER, ‘mano del cammino del ME’. Ciò spiega l’impegno del ‘Ciclo del ME’.
«I Sumeri chiamano il loro paese o kalam ‘paese’ oppure ki-en-gi, tradotto da noi con Sumer senza che riusciamo a comprendere il significato dei tre segni che lo compongono».
Così ha scritto ha scritto Pettinato in La città sepolta: 118, Mondadori, 1999 e noi osiamo comprendere i tre segni: ‘terra (KI) del Signore (EN) della Luce (GI’), perché leggiamo IG su GI. GI è nero, un nero che impedisce a Pettinato di capire ‘Signore nero’; mentre SAG GI è stato capito come ‘teste nere’ che noi leggiamo come ‘teste aperte alla Luce’ degli Dèi.
EME GIR è la lingua sumera: mostra EME fonema che legge la scrittura ME. Ripetiamo ciò che già abbiamo scritto perché questo giro è il modo semplice per riassumere il motivo archetipico che ha nascosto finora il meato, il passaggio tra quella cultura umana e la nostra: scrivevano NAM U e leggevano U MAN. Scrivevano GI e leggevano IG, dove il ‘soggetto Luce’ è LU GH, latina lux.
EME ZIR fa riferimento specifico alla lingua, regalo della luce della Luna, ZI anziché ZU perché bisogna immaginare una u pronunciata ‘alla francese’.
Sviluppiamo la nostra osservazione di meo, ‘attraverso’ in latino, con òmeo-.
Òmeo [dal gr. homoios, simile, si legge su lo Zingarelli], tratto di parola composta –es. omeopatìa–.
Può esser vero, dal momento che la cultura greca si è sviluppata tre secoli prima del latino ma può non esser vero perché l’origine lontana non è ben nota e sia latino che greco radicano nell’accado e nel sumero.
Vero [lat. veru, di origine indoeuropea, infatti dice lo Zingarelli sbagliando].
Veru = ueru < U ER U, ‘cammino in mezzo al cielo’ che può scriversi U er u, dove il primo U è il Cielo ed il secondo u è il cielo.
La visione stereo del Cielo-cielo non è chiara nella scrittura lineare; emerge solo da un uso della maiuscola che non è possibile nel sumero cuneiforme.
I meacula, stelle aghetti del ME, ci hanno ben rappresentato il cielo stereo, Cielo-cielo.
Omeo simile < U ME U, giusto come U ER U.
Dunque: U ME u, Cielo ME cielo.
Agli scettici mostriamo a comprova le omeomerie di Anassagora, filosofo ionico ben studiato, ma non ancora capito nella sua fonte anatolica, terra Meonìa per il Leopardi: ME UN IA, terra IA dell’Uno e della sua parola ME.
Omeomerie vengono tradotte come ‘parti simili’ che compongono il mondo.
Sono i ME queste parti, ‘o ME o’ < U ME U, ME in mezzo a Dio come TE ME SHUP = TE EM PUSH, tempus dal sumero degli Hurriti.
Le merie sono in toscano le parti solatìe.
Un purista ha rizzato il naso alla mia citazione delle merie, perché ‘l’italiano viene dal latino e non dal Tosco-Etrusco’.
Al purista Luca Canali, che, dopo tante buone traduzioni, ha scritto Ognuno soffre la sua ombra (Bompiani 2003), uno scherzo letterario, rileviamo che la sua sofferenza a rappresentare I traumi di Virgilio (: 37-48) dipende dalla sua ombra:
«Io non professo alcuna religione, anche se conosco e a volte mi ispira il significato segreto di tutte le fedi». (: 41)
Questo Canali mette in bocca al sacerdote etrusco: una dichiarazione di agnosticismo!
Canali soffre la sua ombra agnostica e l’ombra del purista soffre traumi e mostri. Un purista è uno specialista linguistico che vive in una dimensione aliena da quella che confronta le diverse lingue reali, mai pure.
L’astronomo Schiaparelli (in Giovanni SCHIAPARELLI, Scritti della storia della Astronomia antica, t. 1, 2, 3, Milano 1997) scriveva Sumeria:
SU MER IA, luogo IA della mano SU del cammino ER del ME [trad. dello scrivente].
4- Il ME del filosofo Imre Toth
Venerdì 2 novembre il Ciclo del ME pattuito con Claudio era completo di tre articoli (1 La concezione sumera del ME. 2 Meato. Meo. 3 Omeo-). La libreria Fenice mi consegnava alle 15:30 il volumetto consigliatomi dal dr Alberto Naibo (laureato a Bologna nel dicembre 2005 con 110 e lode): Imre TOTH, La filosofia e il suo luogo nello spazio della spiritualità occidentale, edito in settembre 2007 dalla Bollati Boringhieri.
Questo libro, formato piccolo di 92 pagine dell’Autore, risolve il problema della firma del Ciclo del ME. Carlo Forin non ha l’autorevolezza per sostenere da solo la tesi sociolinguistica: il me occidentale discende dal ME sumero, per mancanza di cattedra e di pubblicazioni. Il lettore ben disposto dovrebbe affidarsi alla sua sintesi. Il filosofo Imre Toth da al curioso del ME la sua sintesi in linguaggio chiaro. La consigliamo caldamente.
«La filosofia non è mai stata e non sarà mai una scienza» comincia Toth la sua opera dopo aver premesso la famosa citazione di Hegel: Scende la notte… La civetta di Minerva spicca il suo volo.
«Tuttavia è un sapere… È possibile dimenticare il teorema di Pitagora che si è imparato al liceo, ma il sapere filosofico non cade mai nell’oblio».
Condividiamo l’ottimismo di Toth, che per noi era solo il dio egizio della conoscenza prima della lettura del suo testo, ma riformuliamo la sua riflessione così: memoria è ME MUR IA, luogo di vita-morte del ME. Il teorema di Pitagora veniva insegnato nelle scuole babilonesi mille anni prima di lui. La morte del ME può essere totale ma non irreversibile come Toth prova ridandogli vita.
(Due caratteristiche) mi sembrano particolarmente adatte a rappresentare la singolarità di ciò che si chiama spiritualità occidentale: la polifonia musicale e la critica sociale.
La critica o, piuttosto, l’autocritica sociale e politica e le idee strettamente legate a questa, come la coscienza di sé, l’idea di libertà e di universalità del soggetto, congiunte alla riflessività assoluta del Me, ecco i parametri fondamentali che hanno determinato senza interruzioni il tragitto diacronico del pensiero occidentale attraverso la sua storia. (: 25)
Abbiamo tenuto Me anziché riformularlo ME. È una via di mezzo tra il divino e l’umano-terreno esplicita e consapevole:
Dio solo è Tutto, il Tutto che è, e il Tutto che non è –omne quod est, et omne quod non est.
Il soggetto sa l’essere –l’Universo sa se stesso; il soggetto sa il non-essere- il Me sa se stesso, sa ciò che non si trova in nessun luogo nella Natura ma unicamente nella sua propria interiorità e soltanto qui: bellezza, libertà, amore, giustizia, cubo a quattro dimensioni, numero irrazionale, immaginario, numeri trascendenti, Centauro, Pegaso, Minerva, Liocorno. (: 34)
Il soggetto sa il bene e il male, che non esistono se non in esso (…) Angela Ales Bello ha dunque ragione di sostenere che il male è ontologico, esso è una componente essenziale del Me consapevole di se medesimo come unica sorgente del male nell’Universo. (: 34-35)
Il tempo è la manifestazione cosmica del Me. Attraverso la consapevolezza del tempo, la soggettività assoluta si eleva al rango di una dimensione dell’essere. Con il Me, il Cosmo ha generato il suo orologio, un cuore che batte.
Ricordiamo l’etimo: tempo < tempus < TE ME SHUP, che mostra il ME nel cuore della parola.
Il centro non è né la Terra né il Sole –è l’Uomo, il centro dell’Universo è il soggetto. Il soggetto, ogni soggetto, è punto che dà origine a un sistema di riferimento inerziale con il quale sono in rapporto –al quale sono rapportati- gli avvenimenti dell’Universo. Ovunque sia, dunque, è l’Osservatore, il Me, il centro dell’Universo. (: 39)
Il soggetto si intreccia nell’intima tessitura dell’Universo, diviene fenomeno cosmico come le stelle, come la luce, come la gravitazione. Il Me diviene fattore cosmico trascendentale, ma non meno reale del mondo. Il sapere diviene sostanza cosmica. (: 40-41)
Le difficoltà che hanno accompagnato, a suo tempo, la comprensione di una quarta dimensione del Mondo relativista –della relatività-, introdotta da Hermann Minkowski, si riducono, in fin dei conti, alle difficoltà che ha sempre incontrato la comprensione del Me, della presenza del sapere, del sapere attuale di questo non-essere che è il passato come una dimensione d’essere autonoma del cosmo. (: 41)
Come Dio nel magnifico poema Alpha et Omega di Ildeberto di Lavardin, vescovo di Le Mans, in rapporto al mondo che ha creato, intra totum – non inclusus, extra totum – non exclusus, il soggetto trascendentale, il Me, si trova, ad un tempo, all’interno e all’esterno del Mondo che è suo. (: 42)
Il Me rifiuta di sottomettersi alla tirannia della logica, è di fatto incompatibile con la logica. Con il soggetto la riflessività, il paradosso quindi, si installa nel mondo come fenomeno cosmico altrettanto naturale quanto la gravitazione, il magnetismo o l’elettricità. Ciò che si chiama paradosso, non ha in sé nulla di paradossale, è la condizione d’essere naturale e banale del Me, del dominio d’essere della riflessività pura. Il Me è lo spazio naturale del paradosso logico: è il paradosso in sé. Un inferno per la logica.
Tanto peggio per la logica!
L’incompatibilità del Me con la logica dimostra soltanto che –in opposizione con il programma che guida la potente corrente del pensiero analitico- la Ragione pura è irriducibile alla logica. (: 43)
Che il fondamento ontico dell’essere-cucchiaio si trova all’interno del Me, non è un sapere comune come il saper-fare il cucchiaio; è un sapere trascendentale, un sapere per il quale l’artigiano fabbricante è infinitamente più importante della cosa fabbricata. (: 49)
L’accrescimento di sapere così acquisito concerne unicamente il soggetto, il Me, ed è prodotto immediato della presa di coscienza di una differenza specifica che rivela istantaneamente al soggetto della praxis il suo stato ontico singolare d’essere Me, spazio paradossale della riflessività pura: il nuovo sapere è il prodotto della conoscenza del Me-oggetto da parte dello stesso Me nell’ipostasi simultanea del Me-soggetto. (: 50)
Qua ci fermiamo sia per non togliere curiosità della seconda parte dell’opera sia sazi di quanto emerso.
Chiudiamo con una domanda: può il ME esserci giunto come Me senza un meato linguistico?
Perché il Me della Mela biblica esclude un ME LA sumero? = ME che va oltre, mentre non deve?
5- Il cammino del ME del Gatto con gli stivali
Narro e faccio fatica a raccontare: mi sento come in una dimensione (vista in Tellusfolio il 10/11/2007) di favola, in cammino del ME.
Narro dentro La favola dell’indoeuropeo di Semerano (edita da Bruno Mondatori) e devo fare come il ‘Gatto con gli stivali’ con balzi di sette leghe.
Narro < Narro < NAR RU (l’Uno degli Accadi).
Meo –passo, in latino , attraverso 5000 anni- e rischio di fare il meo –il minchione, in italiano- perché meo latina non c’è più –eppure, accidenti!, abbiamo oggi una lingua composta da ben più di 300.000 parole!-.
Ecco un balzo obbligato: meo (vista in Tellusfolio il 02/11/2007) non c’è in italiano! Ed il meato c’è, passata nelle 300.000: questa non è una cellula perduta, come quella è.
Le cellule perdute sono in nècrosi, dicono i medici –ovvero la nècrosi nel narrare è un buco nella memoria collettiva- [Nècrosi della lingua come interlingua in un continuum: sumero (/accado) à latino à italiano].
Secondo me i buchi nella memoria si possono coprire!: per questo cammino e salto i buchi, che invito a saltare assie-me.
Ma, regalatemi il dialogo! Non fatemi cantar da solo!
Andar per favole e per buchi porta alla solitudine, alla mòria –in gr. follìa–.
Prendetevi lo sfizio di corrispondere con un ‘pazzo’ (detto sociologicamente per isolato); ci divertiremo, vedrete!
Rischio di ‘cantar da solo’ –come Semerano, anche se lui, povero, non aveva e-mail–, un po’ perché pochi si occupano dei mattoni della lingua un po’ perché queste eccezioni hanno idee loro, come tutti gli ‘eccezionali’ e non si confrontano. Ed io non voglio essere un’eccezione perché l’isolamento mi disturba. Sono un sociologo, accidenti!
Perciò scrivo e scrivo! (prove sono i link sotto); scopo: scrivetemi!
‘Assieme’ non vuol esser veduto dallo Zingarelli nel ME; rinvia ad insieme, che viene negato ancora fino ad arrivare a semel. Per noi < SE MEL = ES SE ME EL, esse essere del ME di EL: EL LIL dio sovrano degli Accadi, dal numero 50, L in latino.
Io, che mi concentro sul ME, ho fatto un meeting [< ME TE] in ottobre, un incontro: il Me di Imre Toth [si noti la nostra differenza tra ME e Me]. Per fortuna, leggendo si esce dall’isolamento (La filosofia e il suo luogo nello spazio della spiritualità occidentale, edito da Bollati Boringhieri in settembre -9 euro per 92 pagine facili-).
Oggi va di moda che ognuno abbia la sua idea, che vale giusto come quella di ogni altro, ed è un vociare allegro, rissoso, chiassoso e inconcludente.
Io non credo che la memoria sia il caos della casbah; ripeto: credo che ME MUR IA sia luogo IA di vita-morte MUR del ME, come si credeva a Sumer (‘mano del cammino del ME’).
Col dialogo si può convenire sul cammino del ME e prenderci per mano o dissentire e continuare il confronto senza prenderci per le mani!
Il mio ME è simile al Me filosofato da Imre Toth.
Il Me di Toth è il Tutto:
Dio solo è Tutto, il Tutto che è, e il Tutto che non è –omne quod est, et omne quod non est.
Il soggetto sa l’essere –l’Universo sa se stesso; il soggetto sa il non-essere– il Me sa se stesso, sa ciò che non si trova in nessun luogo nella Natura ma unicamente nella sua propria interiorità e soltanto qui: bellezza, libertà, amore, giustizia, cubo a quattro dimensioni, numero irrazionale, immaginario, numeri trascendenti, Centauro, Pegaso, Minerva, Liocorno. (: 34)
Il Sagittario è un mese, un po’ come questi segni, ed è ‘essere del ME’ nello zodiaco.
Il Me di Toth risulta da una riflessione di Dio visto come ‘Cristo’, Dio-uomo: ‘M’, maiuscolo, per Dio ed ‘e’, minuscolo, per uomo.
La sua filosofia è un luogo della mente come la mia sociologia.
La differenza? Il suo è un esercizio dichiarato fine a se stesso (circolare), che serve alla mente come la ginnastica serve al corpo.
Aiuta il mio finalizzato a riconoscere il cammino del ME, o della lingua (un cammino sociolinguistico).
[Ad es. si parva licet componere magnis (Virg.) se mi consentite di metter piccole cose assieme alle grandi: perfino la merda (vista il 10.11) è ‘merda < merda < MER DA, ‘immagine’ DA del cammino ER del ME. Un cammino nel corpo umano iniziato nel neonato col me-conio, le sue feci poltacee e sorvegliato da Mena, dea del mestruo < menstruo – costruisco gli uomini- e da Ermete, dio della comunicazione, che incontra (TE) il cammino (ER) del ME].
L’uguaglianza del suo Me col ME? : la parola me comunque grafata.
Mi piace che Toth sia nato in Transilvania (perché il suo Me scavalca le lingue che ci separano e si avvicina al ME senza contestazioni del tipo: in italiano dite me, ma i Transilvani…) e mi piace che si chiami così, come
TOTH il dio egizio della conoscenza.
TOTH sarebbe il Tutto della conoscenza!
Il Me di Toth è la conoscenza assoluta e quella degli ultimi 2500 anni; quest’ultima è ME per i SU ME RI : ME > Me > me, per me.
L’accrescimento di sapere così acquisito concerne unicamente il soggetto, il Me, ed è prodotto immediato della presa di coscienza di una differenza specifica che rivela istantaneamente al soggetto della praxis il suo stato ontico singolare d’essere Me, spazio paradossale della riflessività pura: il nuovo sapere è il prodotto della conoscenza del Me-oggetto da parte dello stesso Me nell’ipostasi simultanea del Me-soggetto. (: 50)
Il libro della Genesi ce ne ha trasmesso la nuova e gli ha accordato il significato e il valore che merita: I loro occhi si sono aperti, essi hanno visto d’essere nudi e hanno avuto paura, hanno avuto consapevolezza del peccato che hanno commesso; Adamo ed Eva si sono presi la libertà di sapere e, innanzitutto, di conoscere il bene ed il male. (: 93-94)
La mela mangiata è ME LA, andar oltre (LA) il ME divino! Ed hanno perduto l’innocenza infantile.
Il ME di Sumer mostra Eva come E UA, ‘casa di Cielo-Terra’, che ha mangiato la ME LA mentre non doveva.
Il ME di Sumer è il potere creativo del mondo in proprietà esclusiva dei primi sette Dèi [Questo è il NU ME RO ed il motivo che ha reso il sette così famoso in tante culture che vogliono essere indipendenti].
La prima riflessione, dal nome del Dio al suo ME oggettivo.
Ed è ME A TUM > meatus > meato.
Un flash ed è ME LAM MU, un lampo che lega il ME creativo al MU il nome che rende immortali!
Che Me-tamorfosi incredibile può aver fatto questo ME tale da esser completamente diverso dal Me di Toth?
Indicate voi le strade alternative, i dubbi le domande –anche le più sciocche– a questo me: carlo.forin1@virgilio.it
Carlo Forin