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Paolo Roversi. Niente baci alla francese
28 Novembre 2007
 

Paolo Roversi

Niente baci alla francese

Mursia, pagg. 204, Euro 14,00

 

Paolo Roversi è uno che sa scrivere. Ormai l’ho detto così tante volte che i miei pochi lettori si saranno stufati di sentirlo ripetere. Ho già scritto che non amo il giallo, tanto tanto sopporto il noir se mi ricorda Scerbanenco e i film di Fernando di Leo, ma il giallo non ce la faccio a leggerlo, mi annoia, penso che ormai sia stato detto tutto e poi, via, non se ne può più di queste case editrici che pubblicano soltanto gialli. Non basta, ché come conseguenza nascono come i funghi critici grotteschi e scrivono che Faletti è un genio, che la nuova narrativa italiana va cercata in cabaret, mica è più tempo di cassolacalvinopavese, adesso la letteratura è diversa. Diversa un par di ciufoli, dico io. La letteratura racconta la vita, narra la realtà contemporanea, fruga tra le ferite, soffre e fa soffrire, invita a pensare, fa riflettere sulla storia. La letteratura è utile. Le boiate no. Ergo Faletti non è letteratura. È una boiata.

Tutta questa premessa per dire che Roversi non è Faletti.

Roversi non aspira al best-seller, non rinnega il suo amore per Bukowski e nel suo ultimo libro cita pure Scerbanenco e il personaggio Duca Lamberti. Roversi usa il romanzo giallo con protagonista Enrico Radeschi, giornalista freelance e lettore di manoscritti per una piccola casa editrice, per descrivere la società contemporanea. Ne viene fuori un ritratto amaro di una Milano corrotta nelle mani di politicanti che vivono di squallidi traffici economici e popolata da uomini e donne che hanno perso la loro essenza di persone. Nel romanzo di Roversi ci sono grandi descrizioni della vita milanese e della vita parigina, che si alternano a omicidi di primi cittadini e momenti di vera letteratura. Radeschi alzò il cielo e si stupì. Non si vede mai il cielo a Milano. Non c’è il cielo a Milano. Stelle men che meno. Tranne quella notte. Senza illuminazione pareva una città irreale. Un non luogo, lugubre a sprazzi, puntellato di un lenzuolo di stelle. Buio pesto in corso Buenos Aires, il Duomo spento, corso Vercelli una lingua nera d’asfalto, il Pirellone inghiottito dalle tenebre. Niente luna. Solo rumori, grida e, alle finestre dei palazzi, rari lumicini tremolanti. la metropoli si era spenta.

Lo stile è il punto di forza di Roversi, una scrittura che si lascia leggere e che cattura, ti impedisce di mollare il libro prima che tu ne abbia fatte fuori un centinaio di pagine. Resta solo una domanda. Perché uno scrittore così bravo scrive soltanto gialli? So la risposta. In Italia non si pubblica altro. Sconfortante. In ogni caso leggete Roversi. Vale la pena.

 

Gordiano Lupi


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