spara
c’è che sono un vigliacco,
c’è che ti ho detto
Spara, spara
colpiscimi.
ti ho detto, Spara
e poi me ne sono andato.
ho vagato come un cane,
disperso e abbandonato
tra le pieghe di questa città.
i fuochi fatui della notte,
i fuochi allegri di spente bevute
e nella testa, in mezzo alla festa,
nella testa il suono affusolato
della tua voce,
nelle mani il sangue rappreso
del mio intestino.
d’un tratto ho incontrato la mia macchina
parcheggiata in qualche dove,
ho guidato fino a sfinirmi,
ho guidato fino a sentire il sonno
anestetizzare le mie membra,
sono andato lontano e lontano
dove finiscono le case
dove le strade
diventano terra, acqua e ciliegie.
un’altra volta,
un’altra volta
era tornato il momento
di incontrare un me stesso
perduto nella storia con te.
ho pagato un amore
che ho speso in una manciata
di stupidi minuti,
e dopo essere venuto
sono entrato in un bar
e ho guardato in silenzio
l’uomo coi baffi
in piedi
dietro il bancone.
il tizio non ha detto una parola,
ha continuato a sbrigare le sue faccende
per dieci minuti almeno.
poi si è fermato, ha incrociato i miei occhi.
Qualcosa da bere?,
ha farfugliato con una voce
che pareva quella di mio padre.
avrei voluto dirgli
che ero arrivato fin lì per bere,
che mi pareva ovvia la faccenda,
avrei voluto dirgli
che volevo
uno scotch
una vodka
e poi un negroni.
sono scoppiato a piangere,
lacrime e singhiozzi come
uno stupido moccioso del cazzo.
mi sono girato di spalle, e sono uscito.
mio padre erano anni che non lo rivedevo,
per quel che ne sapevo
poteva anche essere morto e felice
da qualche parte.