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Maria G. Di Rienzo. Notizie di novembre
23 Novembre 2007
 

A Nuova Delhi, il 30 ottobre, la Ministra per il benessere di donne e bambini ha organizzato una tavola rotonda sulla violenza domestica: invitando gli uomini, una rappresentanza che va dai direttori d'industria ai blogger. «Gli uomini non possono continuare ad essere il nostro problema, devono diventare parte della soluzione», ha detto la Ministra Renuka Chowdhury (foto). «Voglio sentire le loro voci, capire che cosa loro intendono per violenza domestica, cosa gli fa pensare che vada bene picchiare le loro mogli». L'incontro fa parte delle verifiche sulla “Legge per la protezione delle donne dalla violenza domestica”, emanata nel 2005. «Sono molto impressionata dalla sensibilità degli uomini giovani», ha aggiunto Renuka. «Gli studenti universitari hanno fatto volontariato per la nuova legge, andando porta a porta a spiegare alle famiglie che esisteva».

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Che gli uomini siano parte della soluzione devono pensarlo anche le donne del villaggio nepalese di Pang. Dopo che le assistenti sociali le hanno raggiunte ed hanno spiegato loro come proteggersi dalle malattie a trasmissione sessuale, le donne hanno spedito preservativi ai loro mariti che lavorano all'estero. «Quando abbiamo appreso che rapporti non sicuri rendono una persona vulnerabile all'Hiv/Aids abbiamo scritto ai nostri mariti di non averne, ma se del caso abbiamo accluso i condom», ha spiegato la signora Laxmi Sunar.

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La pressione internazionale funziona: l'attivista per i diritti umani delle donne Delaram Ali, iraniana, condannata a più di due anni di galera e dieci frustate per aver partecipato a una manifestazione pacifica, si è vista improvvisamente “sospendere” la sentenza. Il giudice sta decidendo se riconsiderare il caso dopo che Amnesty International, Equality Now, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani, Front Line, Human Rights First, Women Living Under Muslim Laws e l'Organizzazione mondiale contro la tortura si erano mosse in favore della ventiquattrenne, il cui unico “reato” è chiedere uguaglianza legale per le donne nel proprio paese.

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C'è anche chi lavora attivamente per insegnare la diseguaglianza di genere.

Lo fa, dichiaratamente, la signora Dorothy Paige Patterson con un corso universitario a Fort Worth, Texas. Il corso, riservato alle donne, si chiama “Modello biblico per la casa e la famiglia” e insegna come ci si sottomette “con grazia” all'autorità del marito, come lo si aiuta a far carriera, come si usa una lavatrice e come si cucinano biscotti al cioccolato. Mi sfugge perché tutto questo sia chiamato “seminario teologico”, ma non sfugge solo a me. «Confondono la cultura americana degli anni '50 con le Scritture», ha detto il pastore battista Wade Burleson, che appartiene alla stessa fede di Mrs. Dorothy. «Io non riesco a vedere dove Gesù Cristo abbia posto limiti ai ruoli che una donna può rivestire».

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Il Primo Ministro cambogiano, Hun Sen, dev'essere una persona confusa. Ha infatti dichiarato ai giornali che disconoscerà la figlia adottiva perché quest'ultima è lesbica, di modo che non possa ereditare nulla da lui, ma allo stesso tempo ha invitato i cambogiani a non discriminare gli omosessuali: «La maggior parte di essi sono brave persone, e non si dedicano all'alcol, alle droghe, o alle gare automobilistiche» (sic). Il suo discorso si è concluso con questa frase: «Mia figlia ha una moglie: sono molto seccato».

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La notizia dello stupro di gruppo in cui si punisce la donna vittima a carcere e frustate (9 novembre scorso), in Arabia Saudita, ha miracolosamente raggiunto in questi giorni alcuni quotidiani italiani. Non è mai troppo tardi. Mi preme però far sapere loro anche che:

1) a Bassora, in Iraq, gli estremisti religiosi hanno dato inizio a una campagna del terrore contro le donne che non si vestono secondo la loro interpretazione dell'Islam e contro i medici di sesso maschile che curano donne. «Uccidono le donne e lasciano un messaggio sul cadavere, oppure dopo averle ammazzate le vestono come se fossero prostitute, per giustificare i loro orribili crimini». Non lo dicono le femministe, queste sono parole del capo della polizia di Bassora, Abdul Jalil Khalaf. I “militanti” hanno ucciso 42 donne in questo modo fra luglio e settembre. Ventidue medici hanno ricevuto minacce di morte, e due sono stati uccisi: erano ginecologi e secondo gli assassini i dottori di sesso maschile non devono vedere gli organi riproduttivi femminili. Disgrazia vuole che se non si lasciano andare le bambine a scuola sarà ben difficile che arrivino a specializzarsi in ginecologia.

«I medici hanno paura di continuare il lavoro, molti lasciano, e il numero delle ginecologhe è troppo basso per coprire la domanda di cure», attesta Mayada Zuhair dell'Associazione per i diritti delle donne irachene.

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2) Le bambine e le ragazze stanno smettendo di frequentare la scuola anche in Afghanistan. Il 19 ottobre scorso un liceo femminile è stato distrutto con lancio di granate, ma gli attacchi andavano avanti dall'8 ottobre, tanto che il 30% delle scuole della provincia di Herat ha chiuso in un mese. Il responsabile dell'istruzione per la zona, Saeed Ibrar Agha, dice che: «L'insicurezza cresce, le aggressioni dei Talebani anche, e mancano risorse».

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3) In Iran, il governo ha lanciato l'ennesima campagna di moralità pubblica che come al solito riguarda principalmente il modo in cui si vestono le donne. Ne stanno arrestando, picchiando e ammonendo a migliaia: per farvi un esempio, il “reato” di molte è che la loro sciarpa per coprire la testa era “troppo piccola”.

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4) In Siria, a Damasco, gli estremisti religiosi hanno cominciato a lanciare acido in faccia alle donne che si vestono in modo che loro disapprovano.

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5) In Turkmenistan, in cui dal 1994 è proibito alle donne indossare jeans, calzoncini o gonne corte, dal primo settembre scorso le insegnanti sono state costrette, per decreto governativo, a presentarsi al lavoro con sciarpe in testa e lunghe vesti “tradizionali” a maniche lunghe. Chi si rifiuta viene licenziata. «Questo è uno stato laico”, ha commentato un'insegnante di Ashgabat che deve ovviamente restare anonima, «perché devo andare al lavoro con la testa coperta? Sarebbe meglio, se vogliono pensare alla scuola, che le autorità ci dotassero delle strutture e dei fondi di cui abbiamo bisogno per farla funzionare». Che prosaica, 'sta donna.

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Naturalmente non voglio ritrattazioni, mea culpa o genuflessioni dai fautori/fautrici del “quella è la loro cultura” eccetera eccetera, mi basta che ripetano questo mantra: “La violenza non ha giustificazioni e deve uscire dalla storia”. Provate, non è difficile.

 

Maria G. Di Rienzo

(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, n. 282 del 23/11/2007)

 

 

Fonti: Bbc, Irin News, Gulf News, Al Arabiya, Reuters, The Telegraph Calcutta, Radio Free Europe, New York Times, Los Angeles Times, The Associated Press.


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