Nubi di fiato rappreso
s'addensano sugli occhi
in uno strano scorrere
di ombre e di ricordi:
una festa,
un frusciare di gonne,
uno sguardo,
due occhi di rugiada,
un sorriso,
un nome di donna:
Amore
Non
Ne
Avremo.
(P. Impastato)
Nel mio navigare su Internet sono incappata, ieri, nel sito dedicato a Peppino Impastato. Questo nome è stato riportato alla memoria soprattutto dopo il bel film di Marco Tullio Giordana I cento passi in cui si traccia la biografia di una vita sacrificata alla causa della lotta contro la mafia.
Peppino venne, infatti, ucciso nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1978. Solo dopo quasi venticinque anni di montature si è giunti alla condanna all'ergastolo del mandante dell'omicidio, quel Tano Badalamenti, capomafia di Cinisi, che abitava appunto a cento passi dalla casa di Peppino e da quest'ultimo, per anni, apertamente accusato di delitti e affari criminali che imperversavano nel territorio di Cinisi e Terrasini. La storia di Peppino, giovane uomo di trent'anni, messa in ombra in quei giorni da un'altra tragedia italiana, il ritrovamento del cadavere di Moro, e successivamente da illazioni che lo volevano suicida durante una rivendicazione terroristica (lui, dilaniato da una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia), è vicenda di grande impatto emotivo che deve assolutamente essere ricordata. Peppino, nel portare avanti la sua lotta, si fece il vuoto intorno; il primo ad abbandonarlo fu il padre, egli stesso appartenente alle fila della mafia locale, che lo cacciò di casa, poi buona parte dei suoi compaesani. Una passione civile come quella di Peppino Impastato è difficile da fermare perché disposta a tutto. Per non poter essere ricattabile egli decise di rinunciare ad affetti troppo profondi, all'amore di una ragazza, di interrompere i contatti con l'amatissima madre e col fratello, gli amici più cari quando questi legami si potevano fare più stretti fino ad indicare ai suoi nemici la via attraverso la quale obbligarlo alla resa.
È, la sua, una storia d'amore per la giustizia, per la sua gente, per la sua Sicilia, per i giovani del futuro. Grazie a lui l'anno dopo, in occasione del primo anniversario della sua uccisione, ci fu la prima manifestazione popolare d'Italia contro la mafia, cui parteciparono duemila persone.
Il nostro Paese, in cui continuamente si rischia la dimenticanza opportunistica se non il revisionismo (assecondando, in questo, una tendenza di buona parte del mondo), deve doverosamente ricordare una persona come Peppino Impastato, accanto a Falcone, Borsellino, Livatino, Dalla Chiesa, solo per citarne alcuni e ai molti altri che hanno scientemente messo in pegno se stessi nella lotta contro la mafia. (il sito www.girodivite.it propone un interessante articolo sul 21 marzo, giornata della memoria delle vittime innocenti di mafia)
Frasi come quella di Lunardi, nelle vesti di Ministro della Repubblica, che afferma «la mafia c'è sempre stata e sempre ci sarà: dobbiamo conviverci» devono offendere ciascuno di noi.
La madre di Peppino, Felicia, è morta nel dicembre dello scorso anno; dal '78, dal giorno in cui «mi fecero a pezzetti me figghiu» ha portato il lutto stretto, ma non ha smesso di portare anche il suo corpo asciutto e fragile in giro per piazze e procure, a testimoniare, insieme all'altro figlio Giovanni e ai compagni di militanza e del centro di documentazione di Peppino, lo stesso amore che lo animava. Davvero certe persone sono dotate di un coraggio che impressiona, davvero questa è la passione dell'amore!
Annagloria Del Piano