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Pannella si rivolge a Prodi per una grande marcia di Natale per l'amnistia, la giustizia e la libertà  
Come hanno scritto sia Voltaire sia Dostoevskij: il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri
11 Dicembre 2005
 

Marco Pannella in questo intervento scritto per Notizie Radicali affronta i temi legati alla più grande questione sociale del nostro tempo in Italia, costituita dalla situazione nelle carceri e dalla cattiva amministrazione della giustizia. Ricordiamo che dalla mezzanotte di domenica Pannella inizia un digiuno di dialogo, chiedendo ai leader del centro-sinistra e del sindacato di dare precise risposte ai temi e alle questioni che pone da giorni.


Il 30 novembre scorso il Consiglio d’Europa ha denunciato che «i ritardi della giustizia in Italia sono causa di numerose violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sin dal 1980», ritardi che «costituiscono un pericolo effettivo per il rispetto dello stato di diritto in Italia».

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Francesco Favara, stima che per ognuno dei 6 milioni di processi penali pendenti, siano almeno 5 le persone coinvolte, mentre 2 sono quelle coinvolte nelle oltre 3 milioni di cause civili pendenti, la maggior parte in ragione delle loro funzioni pubbliche, ma milioni e milioni per ragioni e cause personali. E’ comunque fuori ogni ragionevole dubbio, in vario modo e in varia misura, che almeno dieci milioni di famiglie hanno nel loro vissuto e nella loro vita attuale sofferto, spesso in modo atroce, il loro coinvolgimento nella giustizia e nell’ordinamento penitenziario.

Nelle carceri italiane la percentuale di suicidi è 19 volte quella registrata al di fuori delle carceri. Grave, intollerabile è anche la situazione degli altri residenti, operatori pubblici dell’Amministrazione, per primi gli agenti della Polizia penitenziaria.

Si può affermare, constatare, che quello della cosiddetta Giustizia è oggi il massimo problema sociale, coinvolge il massimo di famiglie e di individui che vivono nel nostro Paese. Ogni giorno vi sono casi clamorosi di veri e propri omicidi colposi o preterintenzionali di individui per lo più malati, lasciati per violazione delle leggi alla violenza di agonie e di morti; lo Stato è all’origine, causa consapevole di questa realtà senza alcun dubbio criminale e criminogena.

Questa immensa realtà sociale è tale anche perché la cultura dominante della classe dirigente politica e no, da decenni (e in questi anni in un crescendo letteralmente spaventoso), la risolve in pratica negandola, comunque condannandola alla clandestinità ed al silenzio.

Non è più morale, e legale, subire inerti questa tragedia. Solamente la straordinaria maturazione morale e civile che è avvenuta nella popolazione, in tutta la popolazione carceraria, ancor più straordinaria in quanto avvenuta nella istituzione chiusa, ha impedito e impedisce rivolte, moralmente e umanamente comprensibili se non giustificabili, ma che avrebbero un carattere distruttivo e non creativo, suicida e oltre che “assassino di ritorno”.

Occorre subito, se non è già troppo tardi, denunciare e superare l’enorme responsabilità, decisiva, che porta il mondo politico e sociale organizzati, le istituzioni ma anche i poteri sindacali, corporativi, associativi-assistenziali che detengono in modo anonimo, inconoscibile, non studiato o pubblicizzato, il sistema organizzativo della manifestazioni, del manifestarsi dei disagi, delle sofferenze, delle barbarie pubbliche statali e del parastato di regime, e monopolio di ceti, categorie, associazioni dette sociali che, come sistema, danno all’Italia, impongono a tutti noi “grandi manifestazioni” (che finiscono per comunicare e ripetere il ridotto a nulla dell’ovvio e dello scontato). E, a gogò, ci danno continue manifestazioni di un milione, cinquecentomila, decine e decine di migliaia, convocate e moltiplicate, per invaderci nelle nostre case e nelle nostre coscienze, in un paese ridotto a simulare “lotte”, “forze popolari”, a grandi spettacoli da Colosseo audiovisivo dove si preparano e ammanniscono, alle nuove plebi che siamo, i “giochi”, le “distrazioni”, gli “insegnamenti”, in realtà gli ordini e gli auspici del potere-sovrano, nelle sue forme di turno.

Così, negli ultimi decenni, e ormai con una penetrazione e una occupazione ben più pericolosa, articolata, di conscio e inconscio collettivo rispetto alla violenza elementare e ormai troppo evidente e insopportabile, in Italia si sono sviluppate e si sviluppano gravissime questioni SOCIALI: e sono quelle che non vengono istituzionalmente, nel parastato dopolavoristico e assistenzialista, garantite da “rappresentanze” corporative, assistenziali, pseudo-sindacali, di diritto o di fatto “riconosciute” da coloro che sono responsabili, autori, cause di queste realtà SOCIALI, di questi drammi umani, civili, giuridici, statali e parastatali.

Così, non si è assistito mai nemmeno a girotondi, non a Manifestazioni di massa, di falsa opposizione SOCIALE e Politica, “nazionali”…

Così mai uno spazio venne e viene dato, per decenni, ai fuori-legge del matrimonio, dell’amore familiare, nemmeno quando erano ormai cifrabili in almeno tre milioni di persone, rese perfino vergognose di sé e della loro forza morale e d’amore. Mai. quando in pochissimi, si impose la chiusura dei lager manicomiali, la fine di quella tragedia. O di quella dei milioni di donne massacrate, raschiate, distrutte dalla piaga degli aborti, molitiplicatisi del non-detto ufficiale e “sociale”. O... “ECC”.

Da settimane, ufficialmente, abbiamo chiesto al sistema anonimo ma evidentissimo della “creazione” delle “grandi manifestazioni di popolo”, alle loro forze politiche e sociali di riferimento - in gran parte impegnate sullo stesso fronte di lotta elettorale al quale la Rosa nel Pugno concorre - di cessare di letteralmente impedire, con l’arma dell’ignoranza, dell’estraneità, dell’omissione di servizi e di soccorso, la manifestazione della massima realtà, della sofferenza, di rivolta umana, civile, SOCIALE, per consentire a questa questione che riguarda e tortura il vivere, il vissuto con la disperazione che dilaga, di manifestare, di manifestarsi. L’unica risposta è di ostilità psicologica, antropologica, quasi; di timore e di irrazionale paura con il riflesso catastrofico dello struzzo dinanzi al pericolo.

Chiedo con tutta la speranza e l’amore della nonviolenza e della virtù della prudenza, con questi modesti 3 giorni di sciopero della fame, che simbolizzano il mio e il nostro farvi fiducia e trasmettervi tutta la povera forza fisica mia, che il leader della opposizione, della quale io stesso e i miei compagni facciamo autonoma parte, recuperi il ritardo che sta per impedire la tenuta della Grande Marcia di Natale per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, o continui a immergere e sommergere il presente e il futuro della nostra società e delle nostre coscienze.

Lo chiedo, ovviamente, anche al leader dello schieramento contrapposto, in ragione della sua responsabilità di Presidente del Consiglio, di capo della Maggioranza parlamentare...

Come hanno scritto sia Voltaire sia Dostoevskij: il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri.


Marco Pannella

(da Notizie Radicali, 11 dicembre 2005)


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