Dora Akunyili (foto) appare molto serena, per essere una donna che è scampata ad un tentativo di assassinarla, la cui famiglia è perseguitata, e che ora ha otto guardie armate attorno a sé tutto il giorno. Ma, come lei stessa sottolinea: «Se lascio il mio lavoro, i falsificatori di medicine ne usciranno vittoriosi». Nei sei anni da quando è stata nominata direttrice generale dell'Agenzia nazionale nigeriana per il controllo e la somministrazione di cibo e medicinali (Nafdac), Akunyili ha portato avanti una lotta senza sosta contro la contraffazione di medicine nel suo paese. La sua battaglia è anche personale: nel 1988, sua sorella morì perché le fu data dell'insulina fasulla per il suo diabete. Dora ricorda: «Non solo non c'era insulina, ma la sostanza era anche contaminata, e le causò degli ascessi. Il suo organismo non rispondeva più agli antibiotici e tutto quello che abbiamo potuto fare è stato guardarla morire».
Prima che Dora Akunyili si facesse carico del lavoro, i decessi correlati a medicine fasulle erano comuni in Nigeria. Si stima che almeno il 41% dei medicinali in circolazioni fossero contraffatti. E questa, dice Dora, era una stima prudente. Alcuni rapporti suggerivano percentuali attorno all'80%. L'anno scorso, una ricerca su 600 campioni di medicinali in Nigeria ha mostrato che la proporzione è calata al 16,7%: è solo un indicatore, ma mostra che Dora sta avendo qualche successo.
Il problema dei medicinali finti non è un'istanza da paesi in via di sviluppo, ma è un problema globale. L'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) stima che le vendite di queste sostanze ammontino ad una somma totale di 32 miliardi di dollari annui. Questo costa 46 miliardi di perduto profitto all'industria farmaceutica e mette in pericolo la vita di milioni di individui.
Dora Akunyili e la sua squadra (Dora dirige 3.000 persone che parlano più di 300 lingue) hanno suscitato la consapevolezza dell'opinione pubblica tramite campagne e concorsi scolastici, hanno creato centri di controllo nei porti marini e negli aeroporti, ed hanno pubblicamente dato fuoco a finte medicine per un valore di 150 milioni di dollari. Le azioni dell'Agenzia hanno portato a 45 arresti e 60 casi ancora pendenti nei tribunali.
Come una delle sue colleghe all'OMS dice: «Se il continente africano fosse pieno di Dore, sarebbe facile sbarazzarci dei contraffattori». Ma la lotta ha un suo prezzo. Dora Akunyili ha ricevuto innumerevoli minacce di morte e teme costantemente per la propria vita. Nel 2003, uno dei suoi figli è scampato di un soffio al rapimento sostenendo che Dora non era sua madre, ma sua zia. Alcuni uffici del Nafdac sono stati bruciati o distrutti da atti vandalici. Tutto ciò è culminato nel tentativo di uccidere Dora stessa, alla fine del 2003, quando le fu sparato addosso mentre tornava al suo villaggio. «Le pallottole infransero il lunotto posteriore della mia auto, traforarono il fazzoletto che portavo in testa e mi bruciarono il cuoio capelluto come acqua bollente. Un conducente di autobus morì sul colpo a causa della raffica». Sposata e con sei bambini, nata nel 1954, Dora racconta che la sua famiglia l'ha ripetutamente supplicata di licenziarsi. La maggior parte dei figli sono stati mandati a vivere negli Usa dopo che la famiglia ha ottenuto una “carta verde”, e Dora e il marito avevano trattenuto con loro solo il più piccolo. A seguito dell'attentato del 2003, il bimbo ha raggiunto i suoi fratelli.
Ne vale la pena?, le chiedo. «Se mollo, i delinquenti penseranno di aver vinto. Se mollo, ciò scoraggerà tutte le persone che lavorano con me, e scoraggerà ogni persona onesta da prendere il mio posto. E la faccenda diventerà ancora più pericolosa di quanto lo è per me». Oggi Dora ha una scorta e un'automobile a prova di proiettile, ma evita di recarsi in alcuni luoghi, come Lagos: «Non è sicuro», dice.
Dora Akunyili è cresciuta in una famiglia della classe medio-alta, figlia di un famoso uomo d'affari e politico. Poiché era una bambina brillante, il padre decise che non si sarebbe occupata dei lavori di casa, e li lasciò tutti ai suoi fratelli e sorelle: «Pranzava con me, e non con loro. Mi trattava come se fossi figlia unica. Mia madre non era contenta, e le mie sorelle e i miei fratelli ancor meno». All'età di dieci anni, fu mandata dal padre al villaggio della nonna, nel sud, dove un suo zio insegnante avrebbe potuto darle un'istruzione. «La vita del villaggio era l'inferno in terra, per me. Ero scioccata, perché avevo l'abitudine di mangiare buon cibo e di avere a disposizione l'acqua corrente, e mi trovavo in un posto senza gabinetti e senz'acqua corrente».
Tuttavia la giovane Dora si mise d'impegno a studiare e ottenne la licenza per frequentare il liceo. Dopo l'interruzione dovuta alla guerra civile nigeriana ne ottenne un'altra per andare all'università dove studiò farmacia e, dopo aver lavorato per un po' in un ospedale, si laureò. Salì fra i ranghi accademici come docente e lettrice in varie università, nel mentre portava avanti le sue ricerche. Nel 1997 fu incaricata dal governo locale di coordinare i progetti del Petroleum Trust Fund (PTF) volti a migliorare le infrastrutture nella Nigeria del sudest. L'occasione di contrastare i contraffattori di medicinali venne quando Dora si ammalò nel 1999 e fu mandata a Londra per essere operata. Il PTF coprì tutte le sue spese, e le diede 12.000 sterline per l'operazione. Dopo gli esami, i dottori scoprirono che il suo problema poteva essere risolto senza intervenuto chirurgico, con delle semplici medicazioni. Così Dora restituì il denaro al PTF. E ciò non mancò di essere notato, in un paese piagato dalla corruzione. Allo stesso presidente Obasanjo fu narrata la storia della donna che aveva restituito 12.000 sterline al suo datore di lavoro. Il presidente volle incontrarla e le offrì il difficile compito di dare una ripulita all'ambito del controllo sui medicinali. Ci fu una dura opposizione alla sua nomina. «Non avevo una tessera politica», spiega Dora. «Non appartenevo al partito di governo. Non avevo un padrino politico e il mio genere era anche un problema. Più di tutto, io sono Igbo, di una tribù Igbo. L'allora Ministro della salute era Igbo, e un bel po' dei contraffattori sono Igbo».
Dora Akunyili ricorda che si sentiva insicura ad assumersi il rischio di quell'incarico: «La gente che faceva parte del Nafdac non credeva che io potessi confrontarmi con la mafia, che era rimasta priva di contrasto per almeno tre decenni. Per i contraffattori fu un brutale shock lo scoprire che rifiutavano ogni discussione o negoziazione rispetto al fatto che i loro affari potessero continuare come sempre». Dora doveva anche eliminare la corruzione interna, rimuovere il personale corrotto e ingaggiarne di nuovo. Il lavoro era duro per tutti, ma per tutti remunerativo. Come lei stessa fa notare: «Non è solo il fatto che i delinquenti sono al palo, ma dagli ospedali mi arrivano rapporti che le percentuali di decessi stanno calando, i medici sono felici, e gli affari stanno prosperando perché ora c'è un nuovo terreno pulito su cui giocare: le industrie locali sono passate dalle 70 del 2001 alle 150 di oggi. Le ditte estere che avevano lasciato la Nigeria a causa della frustrazione stanno tornando, perché l'ambiente ora ha delle regole. Il bando sulle medicine prodotte in Nigeria, che esisteva in diversi paesi dell'Africa occidentale, è stato tolto».
Dora tuttavia ammette che la lotta è lungi dall'essere finita e che, globalmente, la situazione sta invece peggiorando: «Ogni anno aumenta, in modo tremendo. Nei paesi in via di sviluppo l'acquisto di medicinali via internet sta alimentando il problema».
Persino da noi in Gran Bretagna, in cui vi è una regolamentazione capillare, le medicine contraffatte hanno avuto un giro d'affari di tre milioni di sterline durante l'anno finanziario 2006/2007. E si stima che ciò si ripeterà l'anno prossimo.
Dora enfatizza il suo punto di vista al proposito: «Questa malvagità delle finte medicine è peggio della piaga della malaria, dell'Hiv/Aids, delle rapine a mano armata e delle droghe: la malaria può essere prevenuta o curata, l'Hiv/Aids può essere evitato, i rapinatori possono non uccidere e la cocaina la compra chi può permettersela, ma le medicine contraffatte le prendono tutti e chiunque può esserne vittima». Ma dietro al suo coraggio c'è anche la paura. «I contraffattori continuano a giurare che non importa quanto tempo ci metteranno, ma arriveranno ad uccidermi. Io prego, perché non voglio morire. Voglio rivedere i miei figli, e voglio vedere i miei nipoti».
Dora Akunyili intende completare il suo secondo ciclo quinquennale al Nafdac. «E credo fortemente che terminerò su una nota alta, se sarò ancora viva per arrivarci».
Marianne Barriaux
(The Guardian, 09/11/2007 - trad. M.G. Di Rienzo)