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Emily Wax. Pakistan. Una campionessa dei diritti umani
14 Novembre 2007
 

Lahore, Pakistan. La donna guardia carceraria siede nel salotto di Asma Jahangir (foto), riempito di arte, e la guarda mentre sorseggia il tè, fuma una sigaretta e parla di quanto è fiera di essere pakistana.

Jahangir, un'avvocata che dirige la Commissione per i Diritti Umani del Pakistan, è stata posta agli arresti domiciliari da sabato scorso, e da allora il governo ha trasformato la sua casa a due piani in una prigione. Più di venti guardie, alcune dotate di mitragliatori, stazionano nel suo giardino e ufficiali in borghese spiano dalle finestre.

Il suo paese è ora in subbuglio, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del presidente Pervez Musharraf, il che ha incluso il licenziamento della Corte Suprema e la detenzione di centinaia di leader dell'opposizione, avvocati ed attivisti per i diritti umani. Ma Jahangir rimane provocante e di buon umore: saluta con la mano i vicini di casa e continua a lavorare su documenti che spiegano come ripristinare il primato della legge, avere un sistema giudiziario indipendente e dare stabilità al Pakistan.

La vita sotto arresto è stata «piacevole, e non mi ha urtata», mi ha detto Jahangir, 55enne e madre di tre figli, durante l'intervista che le ho fatto in casa sua venerdì. «Sono molto orgogliosa dei pakistani, e in special modo dei nostri avvocati, che hanno parlato ed hanno avuto le teste rotte per un Pakistan migliore. Siamo un popolo molto resistente. Io ho il massimo rispetto per la dignità ed il coraggio dei pakistani e vorrei che il mondo riconoscesse questo lato del paese, un paese dove anche i professionisti chiedono democrazia. È uno spirito che non può essere spezzato».

Il governo ha accusato Jahangir di terrorismo, ed ha ordinato il suo confino nella sua propria casa per novanta giorni. Non può più recarsi al suo ufficio, ma neppure sedere in giardino. Tuttavia, questo ha solo fatto crescere la sua popolarità, e i media in Pakistan e all'estero la stanno paragonando da un'altra icona dei diritti umani, la birmana Aung San Suu Kyi. I pakistani che vivono all'estero la stanno inondando di e-mail di sostegno, dice Jahangir.

«Quando pensi ai diritti umani in Pakistan, pensi ad Asma Jahangir», racconta Maria Hasan, di recente laureatasi all'Università per le scienze del management di Lahore, uno dei teatri delle dimostrazioni contro lo stato d'emergenza. «Lei è la nostra eroina nazionale. Rischia molto e noi, specialmente le donne, la ammiriamo davvero per questo».

Grazie alla pressione diplomatica, settanta leader della società civile, inclusi docenti, poeti e medici, sono stati rilasciati dalle prigioni o dagli arresti domiciliari domenica, allo scopo di partecipare ad una riunione della Commissione per i Diritti Umani. Ma a Jahangir non è stato permesso lasciare la propria casa.

«C'è un limite alla sopportazione della forza bruta da parte della gente», dice. «Io ne sono preoccupata, il sangue versato non mi piace e non voglio vedere questo nel mio paese». Quando le guardie carcerarie tentano di ascoltare la nostra conversazione, Jahangir chiede loro gentilmente e fermamente di andarsene: «Per favore, andate nell'atrio. Prendete una sedia e rilassatevi. Non ascolterete l'intervista». E le guardie escono dalla stanza.

Musharraf ha dichiarato che lo stato di emergenza era necessario per combattere l'estremismo. Ma i critici fanno notare che in realtà ha preso di mira l'opposizione politica e membri della società civile che egli vede come una minaccia alla sua presa sul potere. Musharraf ha una volta invitato Jahangir a far parte del governo, lei mi racconta, ma la donna ha rifiutato. Più tardi il presidente l'ha accusata di anti-patriottismo per aver espresso critiche a quella che lui chiama «la cultura pakistana».

Asma Jahangir, sua sorella ed altre donne fondarono il primo studio legale completamente femminile in Pakistan. Alle loro prime uscite, i casi più pubblicizzati riguardavano donne accusate di adulterio, che in Pakistan è un reato punibile con dieci anni di prigione e fustigazioni pubbliche. Dopo anni di derisione e insulti, dicono le attiviste, Jahangir si è guadagnata come avvocata il rispetto persino dei suoi oppositori, grazie al duro lavoro, alla compassione e all'aver vinto moltissimi processi. Jahangir ha inoltre ricevuto numerosi premi internazionale per il suo lavoro con le donne che cercano di divorziare da mariti violenti, con le adolescenti minacciate di morte, e per i suoi sforzi contro l'estremismo. Dice di sentirsi ispirata dalle tante e tante prigioniere che ha incontrato. Ad esempio, è diventata intima amica di una donna cieca, che era stata accusata di adulterio dopo aver subito uno stupro di gruppo. Jahangir si occupò del caso, e mandò questa storia in giro per il mondo. La donna venne rilasciata.

«Asma Jahangir è una leader straordinaria, amatissima in un luogo in cui gli eroi sono ben pochi», dice Ali Dayan Hasan, ricercatore nell'Asia del sud per Human Rights Watch. «E Musharraf vuole ridurre al silenzio chiunque metta in questione il suo dominio».

Jahangir, che ha ricevuto minacce di morte, dice di trovare le accuse contro di lei del tutto ridicole, specialmente quelle che concernono il terrorismo. «Musharraf crede veramente che io sia una terrorista?», ride addentando una tartina di pomodori e spezie. «Una hooligan, una che va in giro a metter bombe e a razziare e a creare terrore?»

Il suo orgoglio viene da una lunga storia familiare di attivismo. Suo padre era un impiegato statale, che si licenziò per protesta dopo il primo colpo di stato militare in Pakistan. Era un'idealista, dice Jahangir, che entrò ed uscì di prigione durante tutta la sua infanzia. «Ogni volta in cui venivano a prenderlo mi diceva: Faccio questo perché tu possa vivere in un paese più libero. Ora stiamo attraversando queste terribili doglie, nel nostro paese. Devono essere fermate. Non si possono tollerare le dittature. Ci sono troppi pakistani che subiscono violenza solo perché protestano. Ci sono le mogli degli avvocati che si sono vendute gli anelli di nozze perché i loro mariti non guadagnano più nulla o sono in galera. Guarda in giro per il mondo, quanta sofferenza c'è... Essere agli arresti domiciliari è il più piccolo dei sacrifici, il minimo che io posso fare».

 

Emily Wax

(The Washington Post, 10 novembre 2007, trad. Maria G. Di Rienzo)


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