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Don Oreste Benzi: Devozione e Rivoluzione
Don Oreste Benzi
Don Oreste Benzi 
12 Novembre 2007
 

 

 

In ricordo di don Oreste Benzi, scomparso di recente, propongo la lettura del suo ultimo intervento pubblico a Pisa il 19 ottobre scorso alla “Settimana sociale dei cattolici italiani”, convinto che questo sia il modo miglioro per ricordarlo e continuarne gli insegnamenti.

 

Piero Cappelli

 

 

 

Mi chiedevo mentre ascoltavo gli splendidi oratori: ma come realiz­zare il bene comune? Io ho visto, penso e credo che il nemico – perdonate la parola – del bene comune è... siamo noi cattolici. In che senso? Ovunque ci si gira si è persa, si è sbriciolata e poi scomparsa la co­scienza di essere popolo, popolo di Dio, con una missione di salvezza da portare. Oggi però, oggi, 19 ottobre, ieri, domani. Il mes­saggio di Gesù, meglio, la soluzione dell’esi­stenza umana che ci dà Gesù, l’ha affidata a noi, ma non si può portare avanti così, sbriciolata. L’interesse di partito, l’interesse del potere, l’interesse delle stanze dei bottoni e tutto ciò che è collegato a esso è diventato la coscienza pratica ed attuativa, e così si ha il tradimen­to della rivoluzione cristiana, come dice Benedetto XVI, della rivoluzione di Dio. Perché mancano le strategie comuni da portare avanti. Ogni realtà, ogni gruppo ecclesiale, ogni parrocchia, ogni movimento.

Dice bene Seneca che il vento favorevole a poco giova, se il marinaio non sa dove andare. E quando la barca sta troppo ferma corre il rischio di affondare. Per inerzia, per una legge interna, dell’inutilità. Mancano questi piani. Facciamo un esempio. Oggi, mentre siamo qui, in media, 500 bambini vengono sgozzati e uccisi. Omicidio premeditato, voluto, in Italia. 180mila l’anno. Ma queste creature urlano, e il grido loro sale a Dio. Mentre si sta vicino a Dio questo grido lo si sente, ma se non lo si sente, vuol dire che qualcosa c’è da rivedere nel nostro rapporto con Dio e con i fratelli. Non posso dare indirettamente il mio permesso; chi tace – ma non è un tacere con la parola soltanto – chi tace con i fatti è complice del delitto. Le nostre mani – si voglia o no, anche se dà fastidio – grondano sangue. Non c’è tempo, ma possiamo vedere i modi concreti.

Un’altra cosa: centomila donne sono tenute sotto sfruttamento in Italia. Non ascoltate quel che dicono, che sono libere. Vorrei portarvi tutti sulla strada, portare almeno due donne in casa ad ognuno di quelli che sostengono che sono libere. Vergogna! E allora io dico: perché viene mantenuto un massacro, un orrore simile? Non si vuol perdere il voto di 10 milioni di cosiddetti clienti. Mi diceva un pezzo grosso, grossissimo (siccome abbiamo fatto una proposta di legge di iniziativa popolare): chi vuole che glielo approvi, padre? Qual è quel partito che è disposto a perdere anche un solo voto? E io ho detto: siete dei prostituti politici. Date le dimissioni e andatevene. Non potete fare questo, la dissacrazione.

Perché non viviamo noi la visione dell’autorità come ce la dà Gesù, che è la via e la rivoluzione, perché unifica il popolo? Voglio di­re: in 4 o 5 mesi si potrebbero liberare tutte le centomila schiave. Perché non lo si fa? Il vento favorevole poco giova se il marinaio non sa dove andare. E noi dobbiamo evita­re quel rischio terribile. Come dice il pro­verbio: chi sa fa. Chi sa e non fa si mette ad insegnare. E questo è un problema grave per tutti noi. E allora la necessità concreta.

Perché non guardiamo le carceri? Lo sapete, si stanno riempiendo di nuovo. Ebbene, ma perché? Perché c’è una non-coscienza nel popolo cristiano. Questa gente, ventiseimila, che è uscita, ma dove va? Il popolo cristiano apre la casa, le braccia e vive insieme con loro? Le settimane sociali. Ma vuol dire che io detengo il tuo bene, e tu il mio bene? Perché non me lo dai? Allora potremmo continua­re. Adesso inizia lo sciopero della fame a Spoleto, nel supercarcere, per l’abolizione dell’ergastolo. Hanno ragione. Che senso ha dire che le carceri sono uno spazio dove si recupera la persona se è scritta la data di entrata e la data di uscita mai? È una contraddizione in termini. Perché non devono aver il diritto di dare prova che sono cambiati? Sono degli immensi collegi con la disperazione, colui che è dentro non vuole studiare.

Non è giusto questo. È arrivata l’ora dell’azione. Mo, meglio, della concretezza. E concludo: oggi voglio dire ancora che occorrono strategie comuni da attuare, ognuno nel dono carismatico che ha, nel dono della parrocchia in cui è, nella diocesi in cui si trova. Ma dobbiamo veder i fatti, la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo le parole di speranza, ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta, non basta. Soprattutto le masse giovanili non le avremo mai più con noi, se non ci mettiamo con loro per rivoluzionare il mondo e far spazio dentro. Ma il vento è favorevole, perché il cuore dei giovani, ve lo dico – e non badate alle cassandre – oggi batte per Cristo. Però ci vuole chi senta quel battito, chi li organizzi e li porti avanti in una maniera meravigliosa.

La conclusione è questa: perché non individuiamo in Italia dei target da raggiungere. I nostri vescovi li dicano e la Chiesa li indichi. E poi tutti insieme portino il resoconto. E alle settimane sociali raccontiamo il cambiamento avvenuto, la trasformazione. E il grido dei poveri che finalmente viene ascoltato. Cosa ci serve, se no? Qui mancano i protagonisti delle conseguenze che ci sono state dette così bene, profondamente. Nella giornata Onu per l’estrema povertà, io al consiglio comunale di Rimini ho chiesto che ogni consigliere comunale prenda accanto a sé uno dei nostri barboni – li chiamiamo così, ma sono uomini creativi di storia – e lo usi come assistente, però con i pantaloni con le pezze, perché ricordino agli altri che son lì per diventare poveri, cioè per farsi prossimo, altrimenti abbiamo una testa che ragiona, ma non dà più ordini al cammino.

Ecco, io vorrei che fossimo un cammino di popolo. È la grande ora della Chiesa. Questo è il kairos, il tempo dell’intervento di Dio è giunto, il vento è favorevole, però bisogna dare una mossa creativa. I nostri ragazzi, i nostri piccoli angeli crocifissi, i nostri barboni che andiamo a prendere tutte le sere alla stazione, in realtà sono i soggetti attivi e creativi di umanità. Il bene che fanno loro ai giovani è incalcolabile. Dobbiamo riconoscerlo e dare una svolta più concreta a questi incontri. Grazie.

 

Oreste Benzi

Biografia: Don Oreste Benzi

Nasce in un paesino nell'entroterra collinare romagnolo a 20 km da Rimini, da una povera famiglia di operai, settimo di 9 figli. All'età di 12 anni (nel 1937) entra in seminario a Rimini e viene ordinato sacerdote il 29 giugno 1949. Il 5 luglio dello stesso anno viene nominato cappellano della parrocchia di San Nicolò a Rimini.

Nell'ottobre 1950 viene chiamato in seminario a Rimini quale insegnante e insieme nominato vice-assistente della Gioventù Cattolica di Rimini (ne sarà poi assistente nel 1952). È in questo periodo che matura in lui la convinzione dell'importanza di essere presenti ai giovani adolescentii (la fascia dei cosiddetti teen-agers) nei quali si formano i metri di misura definitivi dei valori di vita. Riteneva fondamentale, infatti, realizzare una serie di attività che favorissero un «incontro simpatico con Cristo» per coinvolgere la maggior parte degli adolescenti che venivano ad avere incontri decisivi con Cristo. In questo progetto rientra anche la costruzione di una casa alpina ad Alba di Canazei (TN) per soggiorni di adolescenti, realizzata dal 1958 al 1961. Migliaia di adolescenti hanno potuto fare e fanno tuttora un'esperienza "liberante" per scegliere i valori cristiani facendoli rientrare nel proprio ciclo vitale.

Mantenendo l'impegno fra gli adolescenti, nel 1953 divenne direttore spirituale nel seminario di Rimini per i giovani nella fascia di età dai 12 ai 17 anni. Attraverso tale compito (protrattosi fino al 1969) ha potuto approfondire più intensamente la conoscenza dell'animo giovanile. Nel frattempo, dal 1953, oltre al seminario, insegnò religione alla scuola agraria San Giovanni Bosco di Rimini, frequentata dagli adolescenti nei primi tre anni dopo le elementari. Questo ruolo costituì per lui un ulteriore punto di osservazione e campo di azione nel mondo degli adolescenti.

Nel 1959, continuando l'ufficio di padre spirituale in seminario e la presenza fra gli adolescenti in Diocesi, viene trasferito al Liceo Ginnasio Statale "Giulio Cesare" di Rimini, poi nel 1963 al Liceo Scientifico "Alessandro Serpieri" di Rimini, ed infine nel 1969 al Liceo Scientifico "Alessandro Volta" di Riccione. Proprio in questi anni iniziò a lavorare con alcuni giovani che decisero di impegnare le proprie vacanze nell'animazione dei soggiorni montani per adolescenti in difficoltà. Nel 1968, con questo gruppo di giovani e con alcuni altri sacerdoti dà vita all'Associazione  Comunità Papa Giovanni XXIII, che ottenne poi il riconoscimento della personalità giuridica con DPR 5/7/72.

Grazie alla disponibilità a tempo pieno di alcuni giovani, Oreste Benzi guida l'apertura della prima Casa-famiglia dell'Associazione a Coriano (Rimini) il 3 luglio 1972.

Don Oreste Benzi è morto il il 2 novembre 2007 alle 2.22 in seguito a un attacco cardiaco nella sua casa di Rimini, all'età di 82 anni.
Per volere della Comunità Papa Giovanni XXIII i funerali, officiati da monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, si sono svolti al Palacongressi di Rimini per consentire la partecipazione di quegli "ultimi" che Don Oreste Benzi amava. Vi hanno partecipato più di diecimila persone.

 

 


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