Jonathan Safran Foer
Molto forte, incredibilmente vicino
Edizioni Guanda 2005, pagg. 351, Euro 16,50
Si è parlato e scritto con frequenza del romanzo Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer (già noto autore di Ogni cosa è illuminata).
Bisogna dire che le critiche entusiastiche sono state davvero fondate. A me il libro è piaciuto. E molto.
Leggerlo significa fare la conoscenza con un bambino speciale, Oskar Schell, inventore dal cervellino perennemente in azione. Nella sua mente nascono mille marchingegni che potrebbero rendere più lievi le esistenze, più tollerabili i dolori. Come quello, immenso, che Oskar prova da quando è morto suo padre, e con lui la certezza di essere amato da quel genitore in modo preferenziale, complice com'era di stupori e fantasie, di esperimenti irripetibili e discorsi infiniti e magnifici.
Come resistere ad un tale senso di mancanza? Come riprendere la scuola, la vita di ogni giorno senza colui che la rendeva sempre curiosa e spiegabile?
E se la tragedia non è solo tua, ma è quella irragionevole, non scordabile, non accettabile di tutte le morti negli attentati terroristici dell'11 settembre a New York?
Oskar non vuole dimenticare, anzi si mette sulla pista di un solo, piccolo indizio, come lui e suo padre amavano definire qualche strana situazione in cui si imbattevano, facendola assurgere a primo tassello di un mistero da risolvere. La sua speranza è quella di avvicinarsi ancora una volta a lui con qualcosa di concreto, di riaverlo forte e incredibilmente vicino come un tempo e come in fondo continua ad essere, ma in maniera tanto dura da capire e condividere. E allora, eccolo intraprendere questa impresa, questa drammatica raison d'être. Oskar ne ha altre, ragioni d'esistere cui sa restare incrollabilmente fedele, a costo di farsi del male. Una di esse, ad esempio, è non far sapere a sua madre che quel giorno, il giorno più brutto, ha potuto sentire la voce di papà su cinque messaggi telefonici in segreteria. Un'altra è l'amore profondamente empatico che lo lega alla nonna paterna, anch'ella protagonista di una storia nella storia: la sua vita di ragazzina colpita dalla guerra negli affetti più cari e abbandonata anche da adulta, da un marito altrettanto disperato per analoghi motivi. Una famiglia particolare quella di Oskar (ma non lo sono un po' tutte?), i cui componenti sembrano inadatti al vivere e, per una ragione o per l'altra, si arrabattano per farcela, alcuni riuscendoci, altri no.
Il libro ha un ritmo che cattura, scritto da un così giovane autore (del '77) appare di una maturità e consapevolezza della vita che stupisce. Sullo sfondo quello che si è voluto considerare il punto di svolta della nostra civiltà, il crollo delle Torri Gemelle – ci sarebbe ora da chiedersi se davvero è stato così – raccontato nella sua essenza più umana, nel pensiero di chi è morto in quegli attimi, di ogni singola vita, del suo pianto, o coraggio o salto nel vuoto... di quanto un'ultima parola che affiora alle labbra sia sempre necessaria, nella certezza che potrebbe essere la parola definitiva. Eppure, nonostante la pesantezza di quest'argomento, oltre tutto visto attraverso gli occhi e gli strumenti di un ragazzino, il romanzo sa portare, senza alcun pietismo o supponenza, messaggi di solidale compassione, fa conoscere una galleria di personaggi autentici che andranno in aiuto di Oskar, contagiati dalla sua schiettezza, dall'ironia di certi tratti, dalle sue battute scherzose e domande dirette, dalla sua tenacia. Una storia di puro amore che si diffonde fra le pagine e i protagonisti scaldando il lettore e facendolo riflettere. E una splendida dichiarazione d'amore fra padre e figlio.
Annagloria Del Piano