Il 6° Congresso di Radicali Italiani si è concluso nel segno dell’annuncio di una prossima “Primavera radicale”. Finalmente dovremo raccogliere i frutti di un anno faticoso, difficile ma molto proficuo. A partire dalla felice chiusura di una prima fase fondamentale della lunga battaglia per la moratoria delle esecuzioni capitali: il deposito all’ONU della risoluzione da parte di Brasile e Nuova Zelanda. E di buon auspicio, nella domenica di chiusura del Congresso, è stata la bella iniziativa lanciata da Emma Bonino per far sì che Antonio Baldini, il nostro miglior maratoneta, corresse la famosa New York City Marathon indossando la maglia pro moratoria. Per il sottoscritto è stata una doppia felicità: quella di radicale e quella di corridore che per due volte si è cimentato nella Maratona della “grande mela”.
Una primavera annunciata dal bellissimo simbolo lanciato nel Congresso: una splendida rosa rossa con una grande R di “RADICALI”; che sono questi e solo questi. Ma anche di “RIFORMATORI” e, mi permetto di aggiungere, di “RIVOLUZIONARI”, appunto di “Rivoluzione Liberale”. In questa epoca di “genocidio culturale” dei Radicali, e di scippo dei nostri valori fondanti, quali quello della nonviolenza, fino a quello scandaloso del nostro stesso nome, utilizzato da una sinistra che si vergogna di chiamarsi con il proprio, ebbene in questa epoca di scippi e furti di identità, è stato importantissimo – anche attraverso questo bel simbolo – rilanciare con forza il nostro “Radical Pride”. Come dire, seguendo il Vangelo, “diamo ai Radicali quello che è dei Radicali, e ai Comunisti quello che è dei Comunisti”.
Se il buon giorno si vede dal mattino, allora possiamo essere fiduciosi per l’incipiente primavera radicale. La nostra “quattro giorni”, infatti, a me è parsa davvero un bel Congresso; espressione di una cultura radicale ricca e in grado di elaborare la difficile arte della simbiosi tra Utopia e Concretezza. L’arte dell’assoluto pragmatismo dell’Utopia. La consapevolezza che la “prospettiva”, anche in uno scenario di lungo periodo, si costruisce qui e ora. Quindi “idee-forza” per come liberare e trasformare questa nostra società, a partire dal pragmatismo della proposta concreta, seria, realizzabile subito. Insomma, tutto quello che non fanno le altre forze politiche, assorbite solo in violente battaglie di mero potere personale, senza uno straccio di idea progettuale, senza futuro, ma seguendo esclusivamente la filosofia del “galleggiare”, del “tirare a campare”.
Tra i molti spunti preziosi di un dibattito serio e approfondito, sia nelle commissioni che in plenaria, vorrei enucleare un punto che possa servire ad inquadrare quella che è stata definita, per l’oggi, la priorità dell’azione politica radicale: le riforme radicali economico sociali. L’Italia vive da tempo un periodo di grande sofferenza, forse maggiore di quella percepita dai nostri concittadini. Il paese è bloccato da due grandi questioni: la mancanza delle necessarie riforme strutturali e la proliferazione dei poteri di veto delle innumerevoli corporazioni che controllano il paese. Ed essere bloccati in un’epoca di incredibili trasformazioni è la cosa più assurda che possa fare una classe dirigente responsabile: un vero e proprio suicidio annunciato.
In effetti le due questioni sono il frutto avvelenato di quello che viene definito il “caso Italia”. Purtroppo molti esperti, anche quelli più vicini a noi, difettano di un’analisi strutturale del sistema Italia: se non si coglie la specificità negativa del nostro paese di essere governato da un regime di “monopartitismo imperfetto”, prosecuzione del regime dei fasci e delle corporazioni, non si può intendere e percepire la gravità della nostra situazione. Non si riesce a cogliere come questo enorme proliferare delle corporazioni, espanse come metastasi tumorali nel nostro tessuto socio economico, possa paralizzare il paese e rendere sempre più deboli le sue difese immunitarie. Paralisi di un paese in preda alla fitta rete dei poteri di veto dei vari gruppi oligarchici e di pressione, peraltro sempre più rappresentativi soltanto di interessi parziali e minoritari.
Ecco il perché dell’urgenza, in questa fase storica, di “tirare il filo” delle riforme radicali economico sociali per “destabilizzare” il regime corporativo italiano. Quando diciamo che debba essere prioritario affrontare la grande questione del Debito Pubblico, non si afferma solo un’esigenza di risanamento doveroso dei nostri conti pubblici, ma si inizia a mettere in discussione uno dei principali strumenti perversi del mantenimento e consolidamento del regime: l’utilizzo, senza freni e senza remore, della spesa pubblica. È qui il nocciolo della questione, è qui lo snodo di una vera e propria azione rivoluzionaria.
Piero Capone
(da Notizie radicali, 6 novembre 2007)