Avremmo preferito non raccontarvi di questa storia e aspettare in un lieto fine, ma questa non è una favola e pensiamo che serva l’aiuto di tutti per porre fine a questa violenza.
L’incolpevole protagonista è Jurka, un’orsa di nove anni, è stata infatta portata in Italia per una precisa scelta delle istituzioni locali, all'interno di un progetto di reintegrazione degli orsi nelle Alpi del Trentino – chiamato “Life Ursus” – finanziato in parte dall'Unione Europea. Con questo progetto sono stati introdotti in Italia 9 orsi prelevati dalla Slovenia. Nel corso di 6 anni, da 13 cucciolate sono nati 27 piccoli. Jurka, una delle 6 femmine, ne ha messi al mondo 5.
Fin qui sembrerebbe una bella storia ma qualche mese fa l’orsa si avvicina un po’ di più ai centri abitati, rovista alcuni cassonetti, forse uccide una pecora e alcune galline e così il 29 giugno scorso Jurka è stata catturata e messa in un recinto nel Santuario di San Romedio in Val di Non. Il recinto misura 30 x 50 metri, per un’animale vissuto sempre in libertà è un’angusta cella. Così scattano le proteste da tutta Europa, in Italia vengono raccolte 14.000 firme ma la situazione non cambia.
E anzi peggiora. Si è venuto a sapere che sabato 13 ottobre, di mattina presto, con un blitz dei forestali a S. Romedio, Jurka è stata prima narcotizzata e poi sterilizzata. A quanto si sa, questa è la quinta volta in tre mesi e mezzo che Jurka viene narcotizzata, e questo è davvero pesante ed estremamente invasivo per un animale selvatico. Tutto questo, assieme alla prigionia in un luogo troppo piccolo, fa concludere che Jurka sia sottoposta a un vero e proprio maltrattamento. In Italia, esiste una legge contro il maltrattamento, ma evidentemente le istituzioni non si danno pena di rispettarla. Né danno risposte su quale sarà la sorte di questo animale.
Proprio il 13 ottobre era il giorno di una grande manifestazione per Jurka, fra l’altro molto partecipata e sentita, però al momento le cose non sono cambiate.
Intanto inizia a manifestare chiari segni di sofferenza: ha la bava alla bocca e intorno al recinto c’è un filo spinato con la corrente, passa le giornate ad arrampicarsi sui pali per cercare di uscire dalla fossa. Per un’animale nato libero la cattività è pure peggiore della morte e se non sarà liberata al più presto potrebbe risentirne in modo permanente sia psicologicamente che fisicamente.
Ci chiediamo che senso ha avviare progetti di reintroduzione quando non si possono dare garanzie certe sulla sorte degli animali, che non sono cassette da spostare da un posto all’altro ma esseri senzienti come noi.
Per informazioni e adesioni:
michele.mottini@cheapnet.it
LEAL Sezione di Sondrio
(per 'l Gazetin, novembre 2007)