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NNI 7. Antonino Genovese e la narrativa per ragazzi
Antonino Genovese
Antonino Genovese 
07 Dicembre 2007
 

Antonino Genovese, nasce all’ottavo mese. Aveva fretta fin dalle origini. Da piccolo non sta mai fermo un secondo, tanto che per cercare di tenerlo seduto sulla sedia le zie gli regalano un albo da colorare, ma si accorgono che il bambino non è portato per le arti grafiche e allora lo sostituiscono con un libro da leggere. Da allora non ha mai smesso di leggere. Anzi, ha cominciato a scrivere e pubblicare.

Nel dicembre 2005 vince il concorso “Racconti corsari” e in giuria c'è Bruno Gambarotta. Nel 2004 dà alla luce il romanzo breve noir Teste (Ed. Il Foglio), che gli permette di entrare nel giro della letteratura underground. Nel 2005 pubblica Questioni d'onore (Ed. Il Foglio), una raccolta di racconti sulla mafia. Il 2007 è però l'anno della svolta, perché comprende che la sua dimensione è la letteratura per ragazzi. Le Edizioni Il Foglio - suo editore di riferimento - credono ne Il principe marrone e lo pubblicano. Tra l’altro il libro va bene, piace ed è tra i più venduti della casa editrice nel primo semestre 2007. Antonino Genovese non è un principe azzurro, né mai vorrà esserlo. I principi azzurri sono snob e se la tirano, lui preferisce essere un principe marrone.

La narrativa per ragazzi è un genere che difficilmente rende noto il suo autore, anche se bravo e pubblicato da editori medio-grandi. Ho davanti agli occhi l’esempio di Aldo Zelli, grande scrittore dimenticato persino a casa propria, visto che a Piombino non c’è scuole elementare che legge ancora i suoi libri. In compenso hanno dato il suo nome a una strada, per ironia della sorte proprio quella dove hanno costruito la nuova scuola elementare del Perticale. Com’è strana la vita…

Antonino Genovese prova a percorrere la strada difficile della narrativa per ragazzi. Io sono convinto che abbia talento. Voi cosa ne dite?

 

Gordiano Lupi

 

 

 

PICCIONI INVESTIGAZIONI.

 

 “Mike il piccione e le gattine maculate”



Mike il piccione se ne stava seduto dietro la vecchia scrivania, nel suo ufficio dentro un buco al piano terra della vecchia quercia sul lago.

Un periodo di magra come quello non si era mai visto. Sembrava che a Lagobello non succedesse niente che richiedesse la sua attenzione.

Mike il piccione era un ispettore privato. Un duro d’altri tempi. Era diventato famoso per il suo intuito. Se un malvivente era in giro, ci potevate scommettere le penne che lo avrebbe scovato anche in capo al mondo.

Quando Lulù, una gattina maculata, mise piede nell’ufficio della Piccioni Investigazioni, Mike si era appena appisolato, appoggiando la testa sulla scrivania. Il profumo che la splendida gattina emanava e la sua andatura flessuosa e civettuola lo fecero andare a sbattere contro il soffitto. Un duro, si sa, non riesce a resistere al fascino di una bella donna.

Benvenuta, — disse Mike, con la voce impastata dal sonno.

Ho bisogno del tuo aiuto.

Mike era rimasto impassibile. Aveva beccato una vecchia mollica di pane abbrustolita al sole ed aveva ascoltato la richiesta di Lulù.

Mia sorella Dudù è scomparsa.

Quando? — chiese Mike.

Non si fa viva da tre giorni.

Chi è stato l’ultimo a vederla?

Pino il porcospino.

Hai una foto di Dudù?

Non ce n’è bisogno. È tale e quale a me. Siamo gatte gemelle.

Mike annuì.

Andrò a parlare con Pino il porcospino.

Sei veramente come ti avevano descritto.

E cioè?

Un duro affascinante.

Lulù era proprio una bella gattina, ma Mike era un duro, e un duro non s’innamora.

Prima di andare a far visita a Pino il porcospino, Mike si fermò a osservare il ritratto del padre. Turi il piccione era stato un grande investigatore privato. Il migliore che Lagobello avesse mai avuto. Dopo aver seguito un caso per un gruppo di galline cinesi si era ammalato della febbre dei polli e non era riuscito a guarire.

Padre, non ti deluderò, — disse Mike a voce bassa.

 

Pino il porcospino aveva un corpo tozzo, ricoperto da aculei lunghi e rigidi. Stava mangiando tranquillamente radici rinsecchite, quando la voce di Mike lo fece trasalire.

Pino! Proprio te cercavo!

Dalla paura tutti gli aculei di Pino si drizzarono in segno di difesa.

Che ti prenda un accidente! Mi hai fatto spaventare.

Rinfodera le armi, non hai motivo di preoccuparti!

La prossima volta cerca di non arrivarmi alle spalle in quel modo!

Cercherò di stare attento.

Come mai da queste parti?

Ho bisogno di sapere quando hai visto la gattina Dudù.

Sarà stato tre giorni fa.

Ti ricordi con precisione quando e dove?

Sono un dormiglione, quindi l’ho vista nel pomeriggio, vicino al campo di grano.

E cosa ci facevi vicino al campo di grano?

Pino il porcospino tirò di nuovo fuori gli aculei involontariamente. Quando si sentiva braccato o in difficoltà, non riusciva a trattenersi, gli aculei venivano fuori belli dritti.

Perché ti preoccupi? — chiese Mike. Il suo fiuto da sbirro cominciava a pizzicargli il becco.

Non ho fatto nulla di male, — esclamò Pino.

E allora dimmi perché sei arrivato fino al campo di grano! — il tono di Mike non ammetteva repliche. Era un duro e non aveva paura di niente (o quasi!).

Mi hanno detto che laggiù c’è un tesoro sepolto e allora ho pensato di andare a dare un’occhiata.

E volevi tenerti il segreto tutto per te!

Ero curioso…

Chi ti ha dato questa informazione?

La gattina Dudù.

Mike aveva il becco che gli pizzicava in continuazione. Qualcosa non quadrava in quella faccenda e lo sbirrume che c’era dentro di lui si era acceso.

Dove poteva essersi cacciata Dudù? Forse in un bel guaio, o forse aveva trovato il tesoro ed era scappata col bottino.

Di una cosa era certo. Per vederci chiaro doveva recarsi al campo di grano.

 

Aveva volato a perdifiato. Dudù aveva bisogno del suo aiuto. Di certo era in un puzzolente pantano di guai.

Il campo di grano era illuminato dalla luce del tramonto. Tutto si ammantava di rosso, mentre Mike, guardingo, si era nascosto dietro una roccia, cercando di scorgere eventuali movimenti sospetti. Era così concentrato che non vide un piccolo topolino di campagna raggiungerlo alle spalle.

Ehilà! — disse il topolino.

Mike saltò in aria dallo spavento. Sentiva ancora il cuore battergli forte nel petto e la testa che ronzava come se fosse un nido di vespe.

Io sono Tip e tu come ti chiami? — chiese il topolino, mostrando un sorriso smagliante.

Mike si alzò da terra e si sistemò il cappello da detective, ignorando la domanda.

Ti ho forse spaventato? — chiese Tip con fare ingenuo.

Forse non mi conosci, ma io sono Mike il piccione e sono un duro! Non ho paura di niente.

Eppure mi sembrava di averti spaventato.

Togliti dai piedi. Sono in missione.

Wow! Una missione segreta! Posso darti una mano, se vuoi.

Non è roba per topolini di campagna!

Ma io conosco tutta la zona, potrei esserti d’aiuto.

Io lavoro da SOLO! — Mike si era spazientito. Di certo un topolino così piccolo non avrebbe potuto aiutarlo.

Tutti i più grandi investigatori hanno un aiutante.

Io però lavoro da solo.

Prendi Sherlock Holmes per esempio, il suo aiutante era Watson. Io potrei farti da Watson!

Senti Tip, io sono nel bel mezzo di un’indagine complicata, puoi lasciarmi in pace prima che perda la pazienza?

Non essere scontroso! Volevo aiutarti!

Devo trovare una gattina maculata di nome Dudù, se tu mi stai sempre addosso, come faccio?

Una gattina maculata?!— esclamò Tip.

Mike annuì.

Io l’ho vista pochi minuti fa!

Ne sei sicuro?

Certo! Era in compagnia della sua gattina gemella!

Mi hanno fregato! — esclamò Mike.

Come?

È una storia lunga, Tip. Ho bisogno di un favore.

Sono il tuo aiutante, allora?

Diciamo che sei… in prova!

Grazie capo! Posso chiamarti capo?

Chiamami come vuoi, ma io devo trovare un tesoro.

Io so dove si trova!

Mike stava quasi per cadere alla tentazione di abbracciare Tip, ma poi si ricordò che era un duro, e un duro non si lascia andare alle smancerie. Il topolino però non era un duro e si gettò ad abbracciare il piccione. Erano diventati amici.

Tip aveva accompagnato Mike alle pendici delle Montagneombrose, poco distanti dal campo di grano. Molti anni prima un gruppo di pirati, braccati dai gendarmi, avevano sepolto un immenso tesoro in una caverna, sperando di recuperarlo in seguito, ma una frana ne aveva ostruito l’ingresso. Le intemperie e il trascorrere del tempo avevano formato un ingresso secondario, molto piccolo per un uomo, ma abbastanza grande per un piccione o un topolino. Il tesoro era rimasto nascosto nella caverna fino ad allora.

 

Il giorno seguente…

Hai trovato Dudù? — chiese Lulù, con la sua voce civettuola.

No. Ma ho trovato un tesoro!

Lo hai detto a qualcuno? — si affrettò a chiedere la gattina.

Mike fece cenno di no con la testa.

Andiamo a recuperarlo!

Da solo non posso tirarlo fuori. È davvero enorme! — esclamò Mike.

Arrivati a pochi passi dal tesoro, Mike esclamò: — Guarda, laggiù c’è il forziere!

Alle parole di Mike, un’ombra oscurò l’ingresso della caverna. Era Bratto il ratto. La feccia dei delinquenti. Il peggior ladro e malvivente sulla faccia della terra.

Grazie, stupido piccione.

Dovevo immaginare che c’eri tu dietro tutta questa storia!

Ma non l’hai fatto, — il tono di Bratto era sprezzante.

Non vorrai mica prenderti il tesoro, io non te lo permetterò!

Non ho paura di te, piccione! Sei cascato nel nostro tranello.

Mike guardò Lulù con un’espressione delusa.

Anche tu eri d’accordo?

Lulù annuì.

E la tua gemella?

Un’altra ombra comparve nella caverna, illuminata solo dai raggi di sole, che riuscivano a penetrarvi.

Io non sono mai scomparsa. È stata tutta una messa in scena.

Voi non riuscivate a trovare il tesoro e vi siete serviti di me! — disse Mike.

Per questo abbiamo spifferato tutto a Pino il porcospino. Lui è un gran chiacchierone e ti avrebbe detto tutto, — disse Dudù.

Ti abbiamo sfruttato per arrivare fin qui, — disse Lulù.

Basta parlare, — disse Bratto, — andiamo a vedere questo tesoro!

Mike cercò di opporsi, ma il ratto lo fece andare a sbattere contro le pareti della grotta con una spinta poderosa.

Dudù aprì il forziere, impaziente di contare tutti i gioielli e le monete d’oro, ma il suo sguardo tradì una profonda delusione.

Ma qui non c’è niente, — esclamò Bratto.

Come? — chiese Lulù che era rimasta più distante.

Bratto si sporse per vedere meglio. A quel punto Mike lo spinse dentro il forziere, che richiuse con un colpo d’ala.

Dudù e Lulù cercarono di scappare, ma Tip e due gendarmi si piazzarono all’uscita della grotta. Li aspettava un lungo soggiorno nella prigione di Ombranera.

 

Durante la notte, Mike e Tip, con l’aiuto degli abitanti di Lagobello, avevano trasportato via tutto il tesoro.

Il nostro investigatore, fiutata aria di tranello, aveva orchestrato una bella trappola per le gattine, ma non si sarebbe mai aspettato che dietro tutto ci fosse Bratto il ratto.

Per fortuna era andato tutto bene. Il tesoro era stato diviso in parti uguali tra tutti gli abitanti di Lagobello, che festeggiarono per tutta la notte.

 

Antonino Genovese

ninogenovese84@tin.it

www.antoninogenovese.it


Foto allegate

A.Genovese con G. Lupi
Immagine per Piccioni Investigazioni
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