La Habana como un Chevrolet
Fotografie di Graziano Bartolini
Testi di Raffaele Paloscia, Nino Marcellino, Danilo Manera e Liber Arce Matos
Traduzioni di Carmen Rey Blanco
Edizioni Estemporanee, pagg. 110, € 35,00 (formato gigante)
Uno stupendo libro fotografico curato da un artista come Graziano Bartolini, uomo innamorato di Cuba, un italiano che dieci anni fa è rimasto stregato dal fascino caraibico e questa storia non mi è nuova, purtroppo…
La più antica e affascinante città coloniale scoperta e conquistata nel suo splendore decadente di luogo fuori dal tempo, immerso in una storia fatta di contraddizioni e di progetti incompiuti, riflesso di cadenti palazzi coloniali a picco su un mare in tempesta. Bartolini ritrae L’Avana tra decadenza e vitalità, miseria e nobiltà, vizio, perversione e sensualità, città percorsa da auto d’epoca che non sono un lusso ma una tragica necessità. Lo straniero non comprende e osserva stupito, non può sapere quanto sia difficile vivere da avanero nella città delle colonne, tra strade piene di buche, palazzi screpolati dal salmastro e facciate cadenti. L’avanità raccontata da Cabrera Infante è immortalata dagli scatti di Bartolini, soprattutto nel cuore di Centro Habana, polmone della vita quotidiana e quartiere tipicamente avanero, zona senza regole e al di là di ogni regola. Centro Habana porta inequivocabilmente al mare che si intravede da ogni angolo della città vecchia, soprattutto dagli alti palazzi condominiali delle strade più povere e nascoste. Bartolini non dimentica il Malecón, lungomare salottiero, set cinematografico in disarmo, parte di città bombardata dai cicloni, devastata dal tempo e dall’incuria. Liber Arce Matos nel contributo intitolato “Il peso dell’Avana” (lo scritto migliore del volume) lo definisce divano sgangherato dell’Avana, panchina su cui sedersi a godere il mare e a respirare la brezza serale. Il turismo sta danneggiando quel che resta dell’avanità, ma Centro Habana resiste…
La Habana como un Chevrolet è un grande libro fotografico, ma resta l’impressione che le parole non servono a raccontare un mondo quando sono frenate e manca la libertà di dire ciò che si vorrebbe. Liber Arce Matos sa scrivere e regala dei buoni pezzi di prosa, ma al momento opportuno si ferma e decide di non andare oltre. Danilo Manera introduce storicamente il viaggio avanero e conclude con un interessante racconto nel mondo della santería, tra culti e superstizioni afrocubane. Raffaele Paloscia e Nino Marcellino compilano due parti che non vanno oltre il diligente compitino scritto con cura ma senza passione. Per fortuna Graziano Bartolini non mette freni e bavagli all’obiettivo e scatta foto ispirate di Habana Vieja e Centro Habana per documentare la vita di un popolo stanco. Un ottimo volume che entusiasmerà gli appassionati di Cuba e tutti coloro che hanno lasciato un pezzo di cuore nel Caribe. A mio giudizio il solo limite del libro è che gli autori cercano di non dire cose scomode per risultare graditi anche al governo cubano e avere la possibilità di uscire per Letras Cubanas. Peccato, perché un libro importante ha il dovere di essere pericoloso.
Gordiano Lupi