L’ulteriore commetto di Anna Lanzetta ci pare chiarisca meglio alcune ambiguità che, ci perdoni, emergevano nel suo primo articolo.
Permangono tuttavia alcune perplessità, forse riferibili alla naturale limitatezza del linguaggio scritto o forse alla naturale confusione che si apre poi al confronto quando si affrontano temi e vissuti che non ci sono propri.
Perplessità forse anche riferibili al fatto che le parole esprimono la tensione ideale che è dentro di noi, derivando a volte nel mare del pensiero Unico…
Ci riferiamo, in primis, alla sottolineatura che «tra le diatribe delle parti, il prezzo più alto lo pagano gli studenti».
Vorremmo comprendere meglio e soprattutto toglierci quel leggero senso di colpa che ci è venuto, come genitori, nella lettura. Non è facile per i genitori effettuare una scelta che pone in essere, ipso facto, una discriminazione (ci riferiamo ovviamente alle scuole dell’obbligo). Non è facile far finta di effettuare una scelta quando l’offerta esiste solo sulla carta e la vera “alternativa”, per non esporre i figli alla “sindrome vagante da corridoio” o a “traslochi improvvisati” in altre classi, magari inferiori di grado, è l’uscita anticipata o il rientro posticipato. Tale soluzione, tra l’altro, espone a numerosi problemi organizzativi ed economici, poiché spesso entrambi i genitori lavorano e, già normalmente, non è facile adattarsi al fluttuante calendario scolastico.
Per non parlare delle dinamiche nel gruppo classe che occorre gestire in famiglia e legate, ovviamente, alla diversità espressa che, non sempre (o quasi mai?) è utilizzata dagli insegnanti come stimolo alla riflessione, alla condivisione, alla ricomposizione dei conflitti. Spesso è vissuta dai dirigenti e dagli insegnanti con fastidio poiché costringe ad interrogarsi, anche se purtroppo quasi sempre solo sul piano organizzativo, producendo risposte spesso pensate come congrue all’istituzione scuola e non all’alunno.
È per questo che molti genitori, scelgono di non scegliere e si adeguano, con il mal di pancia, alla frequenza IRC.
Rigettiamo con molta chiarezza l’ipotesi che l’ora di IRC possa essere intesa come momento di lettura trasversale alle diverse materie e che diventi un momento educativo di eccellenza. Questa ci appare essere una forzatura, un ritorno al passato, un retaggio di nazioni che ancora non hanno (e se ne vedono i disastri!) separato scienza e filosofia dalla teologia. Lei scrive che il «sapere nutre il pensiero, aiuta a capire e allontana il pregiudizio»… francamente non ne comprendiamo la connessione con l’IRC mentre non avremmo problemi di comprensione se questa frase fosse riferita agli obiettivi che la scuola nel suo insieme si dovrebbe assumere. Allora, estremizzando, come diventerebbe criticabile l’ora di marxismo, l’ora di nazionalsocialismo o l’ora di negazionismo della Shoà?
Ora, anzi ore, (può piacere o dispiacere ma è così al di là delle diverse personalità dei docenti) dove si insegna a credere non a dubitare, dove si insegnano dogmi non metodo della ricerca e della scienza (che, da Popper in poi, falsifica e non verifica), dove si insegna a disconoscere leggi in vigore nel nostro stato (divorzio ed aborto) a volte tramite proiezioni di filmetti horror di dubbia moralità (aborto). Tutto questo, a nostro avviso, non dovrebbe essere possibile in una scuola pubblica, laica, di tutti.
Cosa poi c’entri l’ora/e di IRC con l’insegnamento dell’arte, delle religioni, delle filosofie, delle visioni del mondo, dei grandi o piccoli, a volte ridicoli (ma questa è un opinione: ci salvi Voltaire da ulteriori strali…), romanzi spirituali o d’avventura, proprio fatichiamo a comprendere.
Che l’arte occidentale di molti periodi storici sia permeata di visioni mistiche e religiose appartenenti al cattolicesimo pensiamo sia noto ai più. Che sia indispensabile una conoscenza del significato dei segni mistici/religiosi per comprendere l’intero i messaggio artistico, ci pare ovvio, ma che cosa c’entri l’IRC di nuovo, non ne cogliamo il senso. O forse non è chiaro ai più che cosa sia l’IRC e quali siano i suoi programmi, obiettivi, metodi.
Per studiare i dettami del pensiero totalitario delle grandi (purtroppo) dittature del secolo scorso, devo aderire alle loro concezioni? Devo avere un professore loro simpatizzante che mi catechizza? Per comprendere Donatello, Michelangelo o il pittore dei santi di Campovico devo essere cattolico?
Rispetto poi alla necessità, lei dice, di non chiedere l’uscita da scuola come tentativo di eliminare le differenze, ci permetta …ma non si eliminano le differenze occultando il problema anche istituzionale, eliminando la differenza stessa o chiedendo all’altro di camuffarsi (scegliendo la frequenza) o di accettare soluzioni avvilenti (andare in un’altra classe e seguire quello che c’è). La differenza non va eliminata, va gestita, in modo serio e competente dalla scuola e dai suoi insegnanti.
Questo chiediamo, oltre al rispetto per aver effettuato una scelta difficile e non conformista.
Scuola e Diritti
la Segreteria dell'Associazione