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Valter Vecellio. A Padova, le sfide, gli impegni 
Punti e spunti per un possibile dibattito. Sette
25 Ottobre 2007
 

Da tempo Marco Pannella ha lanciato una proposta politica. Lo ha fatto in numerosi interventi a Radio Radicale e in dichiarazioni scritte. In sostanza – e nella speranza di non tradire troppo quello che Pannella sostiene – si parte dall’assunto che i “germi” della libertà hanno comunque “infettato” i “palazzi” della politica e del potere, anche quelli vaticani e clericali; al punto che, contro la loro volontà, e un po’ tutti i giorni, sono costretti a fare i conti con questioni come la libertà di ricerca scientifica, testamento biologico, eutanasia, laicità dello Stato. Temi che tentano disperatamente di relegare sul solo piano “umano”, negandone la politicità. Sono ormai “infettati”, e per quanto barrichino la porta, quello che non vogliono entri, passa dalla finestra.

 

Non accade identica “infezione” per quel che riguarda i temi del lavoro, le questioni sociali. Qui l’“infezione” è altra. Quel tipo di “infezione” che per esempio ha descritto qualche giorno fa su La Stampa Luigi La Spina, quando ha sollevato la questione della “dittatura delle minoranze”.

L’ha fatto proprio a partire dalle questioni del welfare: c’è un protocollo che viene approvato da una consultazione che raccoglie l’80 per cento e passa di SÌ. Poi forze politiche che rappresentano una minoranza – per quanto determinante, sempre minoranza – impongono altre modifiche, e altre ancora ne prefigurano.

I radicali hanno un “pacchetto” di proposte liberali e liberiste da contrapporre a quanto vorrebbe la sinistra comunista e massimalista. Sarà un confronto tutt’altro che facile e semplice. Sarebbe da marziani, evidentemente, prescindere dai rapporti di forza, e non possiamo ignorare in che condizioni lavorano e operano i parlamentari radicali. Né si può dimenticare la situazione di generale illegalità in cui ci si trova, paradigma della quale è la vicenda degli otto senatori eletti, ma non proclamati. Violano la loro stessa legge, ma non solo: di quegli otto senatori, buona parte verrebbero assegnati alla maggioranza, che, dunque, al Senato si rafforzerebbe. È un masochismo politico che non ha apparente spiegazione – o forse sì, e noi semplicemente non ne conosciamo il motivo – il fatto che accettino di non incrementare il numero dei senatori di maggioranza.

Come sia, Pannella propone di puntare molte delle nostre risorse e delle nostre energie su questo terreno del welfare: nella tradizione salveminiana, aprendo un confronto e uno scontro politico con la sinistra comunista e conservatrice, e con il sindacato; anche a costo di far sembrare che le nostre tradizionali battaglie laiche le facciamo passare in secondo piano. È un bel terreno di sfida, quello che Pannella ci propone. Anche perché si tratta di sfatare un luogo comune, un “qualcosa” che accredita più di un osservatore: che i problemi siano in buona parte risolti se si riesce a spuntare le cosiddette “estreme” e al suo posto si cementa un blocco di “centro”. Non è questione, evidentemente, di sostituire una maggioranza traballante con una più stabile. È questione di assicurare al paese una politica liberale e liberista, e nel cosiddetto “centro” non è che si sia meno statalisti rispetto alle “estreme”. Dire che Alleanza Nazionale, Forza Italia, CCD sono forze liberali e liberiste è una scempiaggine. Fin dal 1946 Salvemini annotava: «Il liberalismo di Cavour era stato ‘liberista’. I liberali del secolo XX erano quasi tutti protezionisti, salvo a diventare ‘liberisti’ intransigenti non appena il governo interveniva nella vita economica, minacciando le posizioni delle classe danarose. Sorse così una strana contraddizione fra il ‘liberalismo’ dei paesi che parlano inglese e il ‘liberalismo’ dell’Italia e in generale dell’Europa continentale. In Italia, in Francia, in Germania, il ‘liberalismo’ era diventato francamente conservatore. In Inghilterra continuò a chiamarsi ‘liberale’ solamente chi si opponeva al partito conservatore». La situazione non è mutata di molto, sessant’anni dopo.

È evidente che la proposta di Pannella, come tutte le novità, comporta dei tempi di maturazione e di “digestione”; come corpo politico dobbiamo discuterne, ragionarci, confrontarci; è una proposta che possiamo rifiutare o accettare, emendare, perfezionare. Quello che non possiamo e dobbiamo fare è ignorarla.

 

L’altra sfida, se possibile ancora più ambiziosa ed impegnativa, è quella che per comodità possiamo definire “Israele nell’Ue”, e che naturalmente va molto al di là del “semplice” (magari fosse semplice!) allargamento di Israele nella Unione. Lo scenario che si sta determinando (e aggravando giorno dopo giorno, ora dopo ora) è sotto gli occhi di tutti, inutile quindi descriverlo. Diciamo solo che “Israele nella Ue” è la stessa “follia” che portò Ernesto Rossi, Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni a redigere il “Manifesto di Ventotene”.

Questi sono i due architravi di una nostra possibile prossima politica. Per questo occorre guadagnare tempo: perché i “germi” liberali possano propagarsi e diffondersi. Perché queste idee possano diventare patrimonio e consapevolezza comune. «Le idee», diceva Ernesto Rossi, «sono come i semi: dopo essere rimaste sterili per anni e secoli, si diffondono con rapidità fulminea». Nessuno si augura, evidentemente, di dover attendere “secoli”, però abbiamo bisogno di tempo. E dobbiamo conquistarci spazi di informazione. È un enorme lavoro, quello che ci aspetta, e non ci possiamo permettere quelli che Pannella definisce “salti nel buio”. Non siamo pronti, la situazione non è favorevole e non lo consente.

Siamo dunque un po’ come degli equilibristi, dobbiamo cercare di conciliare cose apparentemente incompatibili tra loro. Soluzioni prefabbricate, da scodellare pronte non ce ne sono. Dobbiamo essere pragmatici, empirici, fantasiosi, concreti. Sembra riferirsi ai nostri giorni, si riferiva invece alla situazione del 1912, Salvemini, quando individuava la necessità di «riprendere contatto con i problemi generalissimi interessanti la vita di tutto il paese, il dovere di tornare a subordinare gli interessi speciali agli interessi generali».

 

In questo anno 2007 che sta finendo, i radicali hanno fatto tanto, e tanto di importante, necessario e utile: come iniziativa politica e come paziente, umile, costante lavoro di “muratura” della “galassia”. Bisognerà trovare il modo di farne un consuntivo e una sintesi politica, non foss’altro per non smarrirne noi stessi la memoria e garantircene la conoscenza non episodica. Si deve essere fieri di appartenere a un corpo politico che con i mezzi, le risorse e le forze di cui dispone, ha saputo fare e fa tutto quello che fa e ha fatto. Ma, per usare la metafora della marcia, quello che ci attende è ancora un lungo cammino, ci attendono – possiamo esserne sicuri – giorni e sfide che non ci consentiranno molti momenti di noia.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 23 ottobre 2007)


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